Shell riceve un premio fatto in casa
Marina Forti il manifesto 6/03/01
Il prossimo 18 maggio, con solenne cerimonia a
Washington, la Royal Duch Shell riceverà la Medaglia
d'oro 2001 per "Meriti ambientali internazionali" (International
Corporate Environmental Achievement), premio attribuito alle
aziende dal World Environment Center (Wec). Ebbene sì,
"meriti ambientali". Il Centro mondiale per
l'ambiente, fondato nel 1974, si definisce
"organizzazione indipendente, non a scopo di lucro, che
promuove lo sviluppo sostenibile e la responsabilità sociale e
incoraggia la leadership ambientale". Dal 1985 atttribuisce
un premio a "una grande azienda multinazionale con una
notevole, creativa, sostenuta e ben applicata politica ambientale
globale". Secondo il Wec, Shell merita questo premio
"per il suo impegno nello sviluppo sostenibile, sia come
principio guida delle sue operazioni mondiali che come
riferimento fondamentale nei valori gestionali
dell'azienda". Proprio la Shell che ha inquinato per
40 anni il delta del Niger, e si è resa complice della
repressione militare contro la popolazione...
Non c'è che dire, la pubblicità sortisce i suoi effetti. E Shell
non ha badato a spese: negli ultimi mesi la multinazionale
petrolifera ha comprato fior di pagine sulla grande stampa
internazionale, in particolare anglosassone, per lanciare una
campagna intitolata "Profitti e principi. C'è una
scelta?". Meravigliose foto di animali selvatici, foreste
lussureggianti e bei visi di genti africane, sono accompagnate da
testi come "Sempre più spesso, alla Shell scopriamo
quanto paga rispettare l'ambiente nel fare affari", oppure:
"Se stiamo esplorando riserve di petrolio e gas in regioni
delicate dal punto di vista ambientale, noi consultiamo i diversi
gruppi di interesse locali e globali per garantire che la
biodiversità in ogni luogo sia preservata". E naturalmente:
"Siamo impegnati a sostenere i diritti umani
fondamentali" (vedi terraterra del 19 dicembre 2000).
I fatti, nel delta del Niger, sono tutt'altra cosa. Da quando è
arrivata l'azienda petrolifera, nel 1958, per i circa 500mila
abitanti del Ogoniland è cominciato un incubo. Pozzi, pipeline e
terminali petroliferi hanno portato devastazione ambientale, il
crollo dell'economia locale (basata su pesca e un po' di
agricoltura), disoccupazione rampante e povertà. Tutto questo
con la complicità dei successivi governi nigeriani, chiamati a
garantire la sicurezza delle attività. Il risultato è una
repressione brutale: circa 80mila persone hanno avuto i propri
villaggi distrutti da operazioni militari di "mantenimento
dell'ordine", 2 mila sono state uccise. Nel 1993 il
conflitto era arrivato al culmine, quando il Movimento per la
rinascita del Ogoniland (Mosop), aveva dichiarato la Shell
"persona non grata" nella regione. Era cominciato un
movimento di boicottaggio. Il governo (allora militare) della
Nigeria ha mandato le truppe a riportare ordine. Nove dirigenti
del movimento, tra cui lo scrittore Ken Saro Wiwa, sono stati
impiccati nel novembre 1995.
Shell, che aveva dovuto sospendere le attività in
Nigeria, punta a tornare e per questo ha bisogno di ripulire la
propria immagine. Così ha cominciato a fare qualche concessione,
un po' di beneficenza, dichiarazioni di disponibilità al
dialogo. Ma restano i fatti: "7.000 chilometri quadrati di
foresta di mangrovie negli stati di Rivers e Bayelsa, nel delta
nigeriano, contengono 349 siti di perforazione, 700 chilometri di
tubature, 22 stazioni di pompaggio, un terminal. Secondo un
rapporto dell'unione europea, le acque del delta nigeriano
contengono livelli di petrolio che vanno da 8 a 60 parti per
milione ... questi livelli sono nocivi per la vita sia acquatica
che umana", riferisce un rapporto sul rispetto dell'ambiente
e dei diritti umani nelle attività Shell, 1996-'97,
citato dall'ultimo bollettino elettronico del World Rainforest
Movement. La medaglia per "meriti ambientali" alla Shell
si spiega solo guardando la lista dei fondatori del cosiddetto World
Environment Centre: le aziende petrolifere British
Petroleum, Occidental petroleum, Exxon, Texaco, e poi International
Paper, e le agro-biotech Novartis e Monsanto,
le chimiche Basf e Dow Chemical...Un premio fatto
in casa.