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Pietro Ferrero, nato a Grugliasco (TO) il 15/5/1892, di
Giuseppe, operaio.
Aderisce giovanissimo all’anarchismo, diventando nel 1911, all’atto
della sua fondazione, il segretario della Scuola Moderna creata dai
libertari torinesi per la formazione dei militanti operai.
Esponente del Circolo di Studi Sociali della Barriera di Milano e,
successivamente, tra i fondatori del Fascio Libertario Torinese, è sempre
in prima fila nelle agitazioni popolari dell’epoca in cui gli anarchici
hanno un ruolo di primo piano (scioperi di protesta per la condanna a
morte del pedagogo libertario catalano Francisco Ferrer, agitazioni contro
la guerra libica, settimana rossa, moti del 1917 contro la guerra, ecc.).
Pietro Ferrero, dopo essere uscito, insieme a Maurizio Garino e altri
anarchici, dal Sindacato Metallurgico aderente all’USI, che nel 1912 non
era riuscito a concludere vittoriosamente un importante sciopero, aderisce
alla FIOM, diventando il redattore responsabile del mensile «La Squilla»,
supplemento di propaganda al «Metallurgico federale». Le motivazioni
alla base di questa scelta sono dovute ad una maturata concezione unitaria
delle lotte operaie, per cui si reputa dannosa la divisione in sindacati
diversi tra operai rivoluzionari e operai di tendenza socialista. Secondo
tale teoria, il compito dei rivoluzionari deve essere quello di spingere
le masse proletarie su obiettivi e parole d’ordine rivoluzionarie,
agendo all’interno dello stessa organizzazione sindacale. Ferrero,
guadagnandosi la stima e la fiducia degli operai, diventa subito un
esponente di punta dell’organizzazione confederale dei metalmeccanici
torinesi. Nel 1919 un’assemblea di commissari di reparto delle varie
fabbriche metallurgiche torinesi lo elegge, a grande maggioranza,
segretario della FIOM strappando la carica alla corrente riformista.
Conscio della responsabilità dell’ora, egli abbandona il suo posto di
lavoro, quale modesto operaio, per assumere la carica ma dichiarando, al
tempo stesso, di non aspirare al ruolo di funzionario e di essere pronto,
non appena la sua opera non sarebbe più stata necessaria, a riprendere il
lavoro in fabbrica. E’ firmatario, assieme a Maurizio Garino, del
“Manifesto per il Congresso dei Consigli”, pubblicato su «L’Ordine
Nuovo», e tenace assertore, all’interno del movimento anarchico, delle
tesi dei Consigli operai torinesi quali germe libertario della rivoluzione
sociale. Notevole è il suo impegno nelle lotte operaie del biennio rosso
che culminano nelle occupazioni delle fabbriche.
“La sua azione fu sempre coerente e indifferente ad ogni pericolo
personale, spostandosi giorno e notte da una fabbrica all’altra, per
mantenere il contatto fra gli operai armati, non esitava, dal suo posto di
responsabilità, a sostenere l’azione risolutiva respingendo ogni
compromesso”.
Al Convegno nazionale della FIOM di Milano, difende la posizione
rivoluzionaria del Consigli di fabbrica opponendosi strenuamente
all’accordo D’Aragona-Giolitti per lo sgombero delle fabbriche. Anche
dopo la sconfitta operaia e la restituzione delle fabbriche ai padroni,
Ferrero continua instancabilmente la sua attività in difesa degli
interessi del proletariato torinese. Spesso il suo nome ricorre tra gli
oratori di innumerevoli meeting sia di difesa sindacale, sia contro la
repressione governativa, sia contro il fascismo. La sera del 17 dicembre
1922 numerose squadre fasciste si concentrano a Torino con il pretesto di
vendicare due di loro, Lucio Bazzani e Giuseppe Dresda, uccisi dal
tranviere comunista Francesco Prato che aveva sparato per difendersi da
un’aggressione. Il giorno seguente la strage. Quattordici morti
accertati e numerosi feriti sono il bilancio delle tragiche giornate in
cui i criminali in camicia nera ferirono e trucidano vigliaccamente
numerosi militanti operai indifesi. Pietro Ferrero e Carlo Berruti,
comunista ma “in gioventù fervente anarchico”, segretario dello Sfi
(Sindacato ferrovieri italiani) torinese, sono le vittime più conosciute,
ma non è mai stato possibile fare il calcolo preciso degli assassinati
(forse 30), poiché di molti venne fatto sparire il cadavere, e dei
numerosi feriti. I fascisti si scatenano aggredendo e trucidando a sangue
freddo non solo tutti coloro che sono conosciuti come sovversivi, ma anche
quelli che osano protestare alla vista di tali iniquità. Ferrero,
sorpreso verso mezzogiorno alla Camera del Lavoro, occupata dalle camicie
nere, viene pestato a sangue con gli altri militanti sindacali presenti
all’interno del locale (tra cui il deputato socialista Vincenzo
Pagella), dopodiché è lasciato andare. Egli non si può allontanare da
Torino perché è depositario della cassa della FIOM (£. 19.000). Dopo
essere andato a casa per medicarsi le ferite, si reca alla Cassa dei
Disoccupati dove deposita la somma. Poi, incurante dei rischi che corre
aggirandosi per la città, dove ormai è aperta la caccia all’uomo,
cerca di rintracciare il segretario della Camera del Lavoro, Giovanni
Roveda, presumibilmente perché ha ancora delle consegne da dare prima di
mettersi in salvo. Infine decide di andare a dare un’occhiata alla
Camera del Lavoro, nella speranza che i fascisti se ne fossero andati, ma
quando arriva la trova in fiamme, incendiata dalle camice nere.
Riconosciuto tra la folla dei curiosi, viene nuovamente aggredito.
“Pietro Ferrero, dopo essere stato colpito ferocemente, è stato legato
per i piedi ad un camion e trascinato a lungo per i viali di Torino. Il
suo corpo, martirizzato, irriconoscibile, è stato abbandonato presso
l’aiuola di un viale non molto distante della Camera del Lavoro”.
I funerali, svoltisi nell’indifferenza generale, sanciscono la sconfitta
del proletariato torinese di fronte al fascismo. Gli squadristi autori
degli eccidi, godranno dell’assoluta impunità. Il ricordo di Pietro
Ferrero, sarà ancora vivo durante la resistenza quando una brigata SAP
torinese assumerà il suo nome.
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