Part-time, diritti a metà
ANTONIO SCIOTTO
Il part-time cresce a ritmi sempre più veloci,
lasciando indietro il vecchio full time, il classico lavoro a
tempo pieno. E' uno dei mezzi più utilizzati per entrare nel
mondo del lavoro: nel 2000, quasi un quarto dei nuovi dipendenti
- il 22,4% - ha "debuttato" con un contratto part-time.
In molti ormai - almeno il 35% dei lavoratori - lo
"scelgono" come ripiego per l'impossibilità di trovare
un posto a tempo pieno e, da "traghetto" verso un
impiego full time, si è progressivamente trasformato in un modo
stabile di lavorare. Inoltre, è prettamente femminile: il 72%
dei part-timers italiani, quindi quasi i tre quarti, sono donne.
I dati vengono dall'ultimo rapporto Isfol, La riforma del
part-time.
Ma quanti sono i part-time in Italia? In tutto, circa 1 milione e
ottocentomila, e rappresentano l'8,4% del totale degli occupati.
Negli ultimi otto anni sono cresciuti con un tasso medio del 6,7%
annuo, mentre la crescita dei full time era negativa nel biennio
'93-'95, e limitata tra lo 0,1% e l'1,3% negli anni successivi.
Evidentemente, per buona parte sono stati proprio i part-time a
trainare la crescita complessiva dell'occupazione nel nostro
paese, che nel '99-2000 ha registrato un aumento dell'1,9%.
Secondo il decreto legislativo n. 61/2000, che ne ha regolato
l'uso, il part-time è il rapporto in cui "l'orario di
lavoro fissato dal contratto individuale risulti comunque
inferiore alle 40 ore settimanali o inferiore all'eventuale minor
orario normale fissato dai contratti collettivi applicati".
Sotto le 40 ore, ma senza un minimo: quasi il 60% dei lavoratori,
nel 2000, ha avuto un orario tra le 15 e le 27 ore settimanali, e
l'11% addirittura sotto le 15 ore. Inoltre, la media delle ore
settimanali lavorate è in continua discesa: è passata dalle
25,5 ore del '93 alle 24,1 del 2000.
A peggiorare il quadro, i dati sugli ingressi: oltre il 53% dei
part-time stipulati nello scorso anno, proveniva da impieghi full
time e soltanto il 47% dal settore dei non occupati. Per molti,
quindi, un peggioramento del rapporto lavorativo, tanto più se
si considera che, come si è già detto, il 35% dei part-timers
lo è per necessità e non per scelta, mentre un buon 37%
dichiara di esserlo "per motivi personali", ovvero
perché l'opzione del full time è impedita da orari troppo
rigidi e dalla mancanza di strutture sociali di supporto. E
soltanto il 28% sono part-timers "volontari". Ciliegina
sulla torta, dal 1995 al 2000, sono diminuite le possibilità di
trovare un'occupazione a tempo pieno, mentre si è incrementata,
passando dal 53% al 59%, la percentuale dei lavoratori che, a un
anno dal loro ingresso, permangono nel part-time senza riuscire a
trasformarlo in full time.
Parallelamente alla crescita quantitativa, il panorama
legislativo italiano è stato regolato, ma, nell'ultimo anno,
sono intervenute delle modifiche che hanno peggiorato
sensibilmente la qualità di questo tipo di contratto, rendendo
il lavoratore maggiormente esposto al datore di lavoro. Centrale,
è il già citato decreto 61/2000, con cui il governo di
centrosinistra in scadenza ha cercato di dare una serie di norme
al settore. Non si è fissata, si è detto, una base minima di
ore giornaliere: cosicché si possono configurare contratti anche
di una o due ore al giorno, o per un solo giorno di lavoro alla
settimana.
A tutela del lavoratore è stato fissato il principio della
"volontarietà" del rapporto di lavoro part-time:
cosicché sono garantite, per esempio, la necessità del suo
consenso per la trasformazione del tempo pieno in part-time,
l'accettazione e il ripensamento rispetto alle cosiddette
"clausole elastiche", ovvero, della possibilità che il
datore cambi gli orari pattuiti secondo le diverse esigenze
dell'azienda, l'accettazione del "lavoro
supplementare", ovvero delle ore che eccedono il part-time
senza superare il corrispondente orario di un full time.
E proprio dall'abuso delle clausole elastiche può venire il
danno maggiore per il lavoratore: lasciando mano libera al
padrone nel cambiare gli orari, si configura il "lavoro a
comando". Già la Corte Costituzionale, nel '92, ha
osservato che legittimare lo ius variandi del datore senza
fissare in modo preciso i turni, viola gli articoli 36 e 37 della
Costituzione. Il governo uscente, al contrario, ha lasciato, con
un decreto dello scorso febbraio (n. 100/2001), uno
sgradevolissimo regalo ai part-timers: i contratti collettivi
potranno prevedere un termine per il preavviso, rispetto al
cambio di orario previsto dalle clausole elastiche, non inferiore
alle 48 ore. Prima, il termine di preavviso era un po' più
umano: dieci giorni. Una vera e propria servitù nei confronti
dei tempi aziendali, insomma. La servitù a cui sono stati
piegati molti giovani dei McDonald's: a Firenze, sono stati
risarciti per part-time troppo "elastici". E se tali
aperture alle richieste di Confindustria le ha concesse un
governo di centrosinistra, sarà opportuno tenere gli occhi
doppiamente aperti da giugno, quando palazzo Chigi sarà occupato
dal centrodestra.