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Omicidio Romero, trent anni d
impunità
di Gianni Beretta
su il manifesto del 25/03/2010
L'uccisione del religioso ha
dato l'avvio a una lunga guerra civile, su cui il paese centroamericano
non si è ancora interrogato. «Ci vorrebbe una commissione verità e
giustizia» come in Sudafrica, secondo padre Josè Maria Tojeira, rettore
di quell'Università centro-americana in cui nel novembre del 1989 furono
assassinati sei gesuiti Il 24 marzo del 1980 l'arcivescovo di El Savador
fu ucciso in chiesa. Nessuno è stato condannato per l'assassinio
Era mattino presto; il portone
della cappella dell'ospedale Divina provvidenza spalancato, per il caldo.
Monsignor Oscar Arnulfo Romero stava celebrando la messa, quando un killer
degli squadroni della morte, appostato all'esterno su un'auto, lo freddava
con un solo colpo al petto, durante l'elevazione. Il giorno prima
l'arcivescovo di San Salvador aveva incentrato quella che fu l'ultima sua
omelia sull'osservanza del sesto comandamento, «non uccidere», intimando
ai soldati dell'esercito di non sparare sulla propria gente. Le esequie di
monsignor Romero, nella piazza della cattedrale, si convertirono in una
carneficina di gente povera, falciata dai cecchini piazzati sui tetti
degli edifici circostanti. Era l'inizio di una guerra civile che si
protrasse per dodici anni con un bilancio di 75mila vittime.
L'assassinio di monsignor Romero è rimasto impunito, il suo killer senza
nome. Ma a tutti fu noto fin da subito il mandante: il maggiore Roberto D'Aubuisson
(scomparso anni più tardi per un cancro alla lingua) fondatore del
partito della destra di Arena, che ha governato El Salvador per due decadi
fino all'affermazione della ex guerriglia del Fronte Farabundo Martì
nelle elezioni di un anno fa. Una delle parole d'ordine di D'Aubuisson era
«fai patria, ammazza un prete». E in effetti fu grande il tributo di
sangue della chiesa salvadoregna fra sacerdoti, monache e delegati della
parola assassinati. Fino alla cruda mattanza dei sei gesuiti
dell'Università Centro-Americana (Uca) del novembre 1989. A trent'anni da
quel 24 marzo 1980 abbiamo incontrato l'attuale rettore della Uca, padre
Josè Maria Tojeira.
Padre, il sacrificio di monsignor Romero e di chi lo ha seguito è forse
stato vano?
I sacrifici non sono mai inutili. Certo raramente producono benefici
nell'immediato. In Salvador persistono le cause che generarono il
conflitto: una grande povertà, differenze sociali enormi e crescenti, e
tanta violenza. Tuttavia, se prima chi la pensava diversamente dal settore
dominante veniva sistematicamente perseguitato, oggi c'è più libertà di
pensiero, capacità critica e garanzie politiche. Mentre il lascito di
monsignor Romero per una giustizia sociale e una convivenza pacifica resta
intatto.
Fino a che punto è stata fatta giustizia di questi crimini?
In realtà siamo ancora molto distanti. L'amnistia decretata a suo tempo
dal governo di Arena fu una vergognosa presa in giro perché sentenziava
l'inesistenza di qualsivoglia crimine di lesa umanità. E le pressioni di
organi giuridici internazionali non sono servite a nulla.
Che fare allora, al di là del perdono a nome dello stato chiesto da
Mauricio Funes, presidente di un governo scaturito dal recente successo
elettorale dell'ex guerriglia?
Lo schema fin qui seguito è stato quello del cancellare e dimenticare. Ma
il nostro proposito non è quello di mandare qualcuno in galera (e
sarebbero molti); tanto più che le carceri di questo paese straripano di
detenuti. Noi ci stiamo spendendo per una legge di riconciliazione che in
primo luogo garantisca la ricerca della verità. Si deve prevedere poi una
riparazione morale e materiale delle vittime, soprattutto nelle aree
rurali che sono le più povere. E tutto ciò deve passare per la
restituzione della dignità delle vittime. Insomma, un percorso simile a
quello seguito dal Sudafrica dove le responsabilità dei crimini vengano
riconosciute alla presenza delle vittime, o dei loro familiari, e di chi
ne è stato autore; escludendo però ogni pena carceraria. È quella che
noi chiamiamo «giustizia restaurativa».
Compresi gli assassinii di monsignor Romero e dei 6 gesuiti?
In questi due casi il popolo salvadoregno ha già dato da tempo il suo
verdetto, restituendo piena dignità al loro sacrificio. Il problema è
l'infinito numero di persone che sono rimaste vittime della repressione e
non sono mai state riconosciute come tali. Un esempio su tutti il massacro
di El Mozote, dove sono stati uccise oltre mille persone, fra esse 131
bambini, minori di sei anni, rinchiusi nella chiesa mentre ammazzavano i
loro genitori; e a loro volta trucidati perché non sapevano come
disfarsene.
Trent'anni dopo la morte di monsignor Romero a che stadio è il suo
processo di beatificazione?
Non so bene a che punto sia. Quello che posso affermare è che procede con
una lentezza vergognosa.
Appena eletto papa, Ratzinger prese di mira pubblicamente gli scritti del
teologo della liberazione Jon Sobrino, unico dei gesuiti a salvarsi dalla
mattanza della Uca, semplicemente perché non era lì a dormire...
Si trattò solo di un'avvertenza su due punti dottrinari: uno riguardante
l'umanità e la divinità di Cristo in un'unica persona, dove Sobrino
sottolineava l'umano senza negare il divino; e l'altro sulla nascita della
Chiesa, frutto più dell'azione dei poveri che dello spirito santo. In
ogni caso il padre Sobrino non è mai stato convocato a Roma al riguardo;
e continua a prestare il suo servizio qui alla Uca.
Veniamo al nuovo governo di Mauricio Funes e della ex guerriglia che si
avvia a compiere un anno.
Funes è diventato presidente in piena crisi finanziaria internazionale
che ha determinato in Salvador la caduta del 12% delle rimesse familiari
(prima fonte di divisa del paese, ndr) dei nostri emigrati negli Stati
uniti. Gran parte delle maquilas (zone franche industriali, ndr) hanno
chiuso creando decine di migliaia di nuovi disoccupati. Col risultato che
la povertà è cresciuta in due anni del 10%, ovvero 600mila poveri oltre
a quelli che c'erano.
Per di più Arena aveva lasciato le casse dello stato pressoché vuote e
con un forte indebitamento.
I margini del nuovo governo non sono dunque grandi per migliorare le cose,
pur con i suoi programmi sociali. Credo che il passo in avanti più
significativo di Funes sia stata la nomina di alcuni magistrati decenti
(nel senso della loro indipendenza) alla Corte suprema di giustizia, fino
a ieri completamente piegata ad Arena.
L'ultimo rapporto delle Nazioni Unite definisce il Centro America (El
Salvador compreso) come la regione più violenta al mondo.
Le ragioni sono tante. E una di esse è la povertà che in Salvador,
secondo lo stesso rapporto arriva, all'80% della popolazione. Ma la causa
fondamentale sono le differenze sociali pazzesche. La violenza non è solo
generata dalla miseria in sé, ma da un'elevata povertà che convive con
l'opulenza. A questo si deve aggiungere il modello di consumo per il quale
se non consumi non sei nessuno. Qui a fianco alla Uca c'è una grande
pubblicità che recita: «Sei dove vivi». Ci sono zone rurali
estremamente povere dove la violenza non esiste. Mentre è massima nelle
concentrazioni urbane.
Di qui il fenomeno delle maras, le bande giovanili che imperversano nella
capitale e non solo.
È un fenomeno grave, anche se il rapporto delle Nazioni unite lo
inserisce come terzo fattore della violenza dopo il narcotraffico e la
criminalità comune. In questo senso, per fare dei passi in avanti reali,
le trasformazioni sociali dovranno essere accompagnate simultaneamente dal
consolidamento delle istituzioni, nel senso soprattutto di un sistema
giudiziario funzionante e di un'azione efficace e preventiva delle forze
di polizia. |
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