Animata
discussione tra gli operai. La proposta Fiom passa all'unanimità |
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Melfi,
via i blocchi |
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Melfinostro inviatoHanno sospeso i presìdi che da undici
giorni vegliavano sulle strade di accesso allo stabilimento, ma la lotta
degli operai della Fiat Sata di Melfi non si ferma. Contestualmente alla
rimozione di gazebo e transenne, infatti, i lavoratori al termine di un
dibattito acceso hanno altresì deciso all'unanimità di accettare la proposta
della Fiom di trasformare i presìdi in assemblea permanente con sciopero di 8
ore per ogni turno di lavoro. «Sarà la stessa assemblea, sulla base
dell'andamento del negoziato, ad assumere le ulteriori decisioni sulla
lotta», chiarisce con un comunicato il sindacato dei metalmeccanici Cgil. Il
punto della situazione verrà fatto in assemblea già lunedì prossimo. Nessun
cedimento, dunque, anzi una ulteriore dimostrazione di forza e di
compattezza. «Non dobbiamo offrire alibi a chi ha interesse a non far partire
la trattativa. Se ci sono carte truccate in casa Fiat, vogliamo vederle»,
spiega il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, a un gruppo di
contestatori. Addirittura sulle prime c'è chi gli dà del «venduto»,
suscitando però l'indignata reazione della grande maggioranza degli operai
raccolti attorno al camper adibito a tribuna per gli oratori. «La Fiom ha
sostenuto la nostra lotta fin dall'inizio, Rinaldini ha pure preso le
bastonate dalla polizia», ricorderà in seguito un operaio. Alla fine la
proposta del numero uno della Fiom riesce a mettere tutti d'accordo. Ma
quanta fatica! Quando Giorgio Cremaschi scende dal camper ha l'aria tesa (per
effetto dell'adrenalina) e insieme soddisfatta di chi ha appena superato un
esame a pieni voti: «E' stata una grande prova di democrazia e di maturità,
la dimostrazione che a stare con i lavoratori ci si guadagna sempre», il
commento a caldo del segretario nazionale della Fiom. Un'atmosfera
carica di nervosismo e tensione accompagna fin dalle prime battute
l'assemblea che si svolge sul piazzale antistante la Barilla, gremito dai
lavoratori. Del resto, è persino normale che sia così: «Se sbagliamo,
perdiamo tutto», riassume un operaio. Rinaldini deve dar fondo a tutta la sua
esperienza di sindacalista: «Siamo in una fase nuova - attacca -: non c'è più
la richiesta di un negoziato ma l'apertura di un negoziato senza
pregiudiziali. Vogliamo fare una trattativa breve, dandoci un tempo che possa
essere dieci, quindici giorni». Dalla platea si alzano rumorose grida di
dissenso: «Garanzie, garanzie», «Vogliamo risposte subito», «Avete detto nero
su bianco e nero su bianco deve essere». «Se non
sospendiamo i presìdi - insiste il segretario della Fiom - la Fiat ribalterà
su di noi l'accusa di non volere la trattativa. E stampa e televisioni ci
daranno addosso. Ci sono poi le ordinanze del giudice civile di Melfi, che
sono state recapitate alla Fiom e che ci espongono a denunce e a nuovi
tentativi di sgombero che saranno ancora più violenti. Il problema che vi sto
proponendo è rispetto a come continuare la lotta, non di cessare la lotta».
Ma viene di nuovo interrotto. A quel punto la parola passa ai lavoratori. I più agitati
sono gli operai dello Slai Cobas e i rappresentanti di Alternativa sindacale,
favorevoli a proseguire il presidio assieme a qualche iscritto all'Ugl. La
loro tesi è questa: «Se rientriamo in fabbrica siamo fregati, non riusciremo
più riprendere la mobilitazione». Opinione rispettabile, anche se c'è chi
tenta di fomentare gli animi giocando la carta della provocazione: «Non è
vero che la Fiom ha ricevuto l'ordinanza del giudice civile - azzarda un
funzionario di Alternativa sindacale -, voglio vedere le lettere». Cremaschi,
smettila di essere arrogante, fammi parlare», urla l'anziano sindacalista in faccia
al dirigente della Fiom. Il quale, intelligentemente, non cade nella
trappola, mentre sono gli stessi lavoratori a chiarire che le ordinanze ci
sono: «Le abbiamo ricevute anche noi». Dino, delegato
Fiom, non ci sta a passare per uno che vuole fare un passo indietro: «Con la
nostra mobilitazione - sottolinea - abbiamo costretto la Fiat a trattare con
il coordinamento delle Rsu, un fatto mai avvenuto prima. Inoltre, l'eventuale
accordo sarà convalidato da un referendum. Non dobbiamo avere paura di tornare
in fabbrica. Veramente pensiamo che la gente non è entrata perché c'erano i
blocchi? Su quei pullman, lunedì scorso - ricorda Dino -, c'erano appena 15
capetti». Dopo poche ore arriverà la conferma. Nonostante la rimozione dei
blocchi, infatti, i bus-navetta continueranno a presentarsi all'ingresso
dello stabilimento praticamente vuoti. Donato, uno
degli attivisti sindacali cacciati dalla Fiat con un pretesto, pensa che il
clima sia cambiato: «Se torniamo in fabbrica - afferma fiducioso - poi
possiamo uscire di nuovo e essere più forti di oggi». Tonino, anche lui
licenziato, la vede invece diversamente: «Se rientriamo non avremo più gli
stessi rapporti di forza, perché i capetti - avverte - riprenderanno a
intimidire i lavoratori». «La nostra forza sta nel fatto che siamo coscienti
di essere tutti uniti», ribatte Giorgia, delegata Fiom. Parole che troveranno
conferma al momento della votazione, effettuata per alzata di mano: tutti
favorevoli, nessun voto contrario, nessun astenuto. Risultato salutato da un
forte applauso dal sapore liberatorio. Roberto Farnet |
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Parte
la trattativa nella sede di Confindustria |
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Fiom:
«Mobilitazione fino alla conclusione positiva della vertenza» |
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«La mobilitazione, nelle forme decise dall'assemblea,
proseguirà fino alla conclusione positiva della vertenza». E' con questo
biglietto da visita che ieri sera i dirigenti della Fiom hanno varcato il
portone della sede di Confindustria in viale dell'Astronomia. Se potesse, il
presidente di Federmeccanica Alberto Bombassei dichiarerebbe illegali anche
gli scioperi della Fiom a Melfi. Scioperi che ieri hanno ottenuto un successo
totale. Ma questa volta deve ingoiare il rospo. I blocchi sono stati tolti,
ma la lotta continua. E così è costretto ad ammettere tra i denti: «Sono soddisfatto
del fatto che hanno rimosso i blocchi. Era prevedibile». Anche Savino
Pezzotta è costretto ad arrampicarsi sugli specchi con affermazioni del tipo,
«l'accordo programmatico che Fim e Uilm avevano raggiunto venerdì scorso
elencava anche quali erano i temi da affrontare come i turni di notte o la
questione salariale. Mi sembra che si riparta da dove eravamo arrivati
venerdì scorso». La versione
della Fiom, ovviamente, è completamente diversa. «Sono i continui rinvii
dell'azienda che hanno portato i lavoratori a decidere la lotta di questi
giorni». Per rendere l'iniziativa ancora più incisiva, la Fiom ha deciso di
lanciare una campagna di sottoscrizione (conto corrente numero 000000151758,
Nuova Banca Mediterranea, viale Marconi - 85100 Potenza. Cin R - Abi 05332 -
Cab 04200. Causale: "Fondo solidarietà lavoratori sito Fiat
Melfi"). «La decisione dei lavoratori in lotta per una piattaforma che
ha trovato il consenso non solo di tutti i dipendenti del sito, ma di gran
parte dell'opinione pubblica del paese - è scritto in una nota firmata dalla
segreteria - richiede ora una trattativa rapida e conclusiva. Sta a questo
punto alla Fiat fare in modo che il negoziato, a partire dalle questioni
salariali e delle condizioni di lavoro, giunga in tempi rapidi in porto». Per Carla
Cantone, della segreteria nazionale della Fiom, «è importante che i
lavoratori abbiano condiviso le proposte della Fiom e della Cgil per poter
così aprire un vero confronto con la Fiat, in quanto la sospensione dei
presidi ci consentirà di verificare le reali intenzioni della Fiat al tavolo
negoziale». «Il nostro obiettivo - conclude la Cantone - era e rimane la
conquista di importanti risultati per tutti i lavoratori del sito produttivo
di Melfi». Per Paolo Ferrero, della segreteria nazionale del PRc, il
risultato dell'assemblea è il frutto della grandissima prova di maturità dei
rappresentanti sindacali e della Fiom e di un percorso assolutamente
democratico messo in campo dal sindacato». «La democrazia sindacale si è
confermata come un eccezionale arma per l'unità di classe e per il possibile
esito positivo della vertenza». Intanto,
l'attività produttiva di Fiat Auto in Italia, ferma da alcuni giorni per i
blocchi nel comprensorio di Melfi, riprenderà oggi in tutti gli stabilimenti.
«La produzioen riprenderà domani mattina in tutti gli stabilimenti, tranne
Cassino che riparte con il turno del pomeriggio», ha detto un portavoce Fiat.
Lo stop produttivo iniziato la settimana scorsa a Melfi «ha comportato la
perdita complessiva di circa 30.000 vetture», ha aggiunto il portavoce.
Riaprono quindi i battenti gli impianti di Pomigliano, Termini Imerese,
Mirafiori, Cassino (secondo turno) e Sevel, ha dettagliato il portavoce. Fa. Seba. |
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Cronaca
di una lotta straordinaria |
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Alla fine molti giornalisti erano lì quasi con la bocca
aperta. Non avevano mai visto una vera assemblea operaia. Poi hanno assistito
a un evento e, un po' alla volta, hanno dimenticato il lavoro, hanno
cominciato a guardare, alcuni anche a partecipare, hanno vissuto l'assemblea.
Questa è la democrazia operaia quando si esprime con il rigore e la passione
migliori. Poteva non essere così. Fin dall'inizio
la vertenza di Melfi ha avuto questo carattere di crescita vorticosa della
coscienza delle persone. Venti giorni fa in quello stabilimento i lavoratori
si avvicendavano nei turni, spesso senza conoscersi l'un l'altro sullo stesso
posto di lavoro. Erano tante fabbriche diverse che lavoravano di giorno, di
pomeriggio, la notte, nella Fiat vera e propria e nelle aziende terziarizzate
dell'indotto. Tutti sottoposti a un regime autoritario, da Tempi moderni, ove
il massimo della produttività europea nell'industria dell'auto si sosteneva
anche con migliaia di multe e tanti licenziamenti. Poi, improvvisamente, è
cambiato tutto, naturalmente nulla nasce dal nulla. Alle spalle della lotta
di questi giorni c'è il lungo e il duro lavoro dei delegati, della Fiom
soprattutto, ma anche di altre organizzazioni, che non hanno mai chinato la
testa nei momenti difficili. Nell'indotto soprattutto in questi anni era
cresciuta la mobilitazione e la capacità di lotta. Ma lo stabilimento Sata
sembrava inviolabile. L'azienda applicava con assoluta scientificità la
contrapposizione dei lavoratori gli uni agli altri. Se un reparto scioperava,
si mandavano a casa tutti gli altri, la cosiddetta messa in libertà. Ogni
sciopero parziale diventava un possibile blocco della fabbrica e proprio
questo blocco si ritorceva contro gli scioperanti e ne indeboliva la forza.
Anche una decina di giorni fa, un venerdì, la Fiat ha giocato la stessa
carta. Era in corso uno sciopero di un'azienda dell'indotto e, per
stroncarlo, la Fiat ha deciso di mandare a casa tutti i dipendenti della Fiat
di Melfi. Ma a quel punto invece che rivolgersi, come avveniva nel passato,
contro chi scioperava, i lavoratori della Sata hanno scelto l'obiettivo
giusto, hanno detto adesso basta alla Fiat e sono scesi in lotta. E' la Fiat
che ha inventato i blocchi e, paradosso del conflitto sociale, ora questa sua
invenzione le si ritorce contro. Ma la Fiat fa
fatica a cambiare strada, reagisce sempre con gli stessi stereotipi. Fallita
la mossa della divisione immediata dei lavoratori ha giocato quella della
divisione dei sindacati. Non era una carta difficile. A Melfi, e non solo lì,
Fim, Uilm e Filmic, sono conosciuti per la loro malleabilità, disponibilità,
collaborazione con l'azienda. Si è quindi concordata con questi sindacati
un'intesa che avrebbe dovuto condannare la lotta. La Fiom naturalmente, ma la
Fiat lo sapeva benissimo, non poteva sottoscrivere un testo di questo genere
che aveva il solo scopo di provocare la reazione di tutti i lavoratori del
gruppo contro quelli di Melfi, di replicare su base più allargata la politica
delle mandata a casa che si fa nello stabilimento. Stranamente tutti i
telegiornali hanno dato notizia di un appello di lavoratori di Mirafiori agli
scioperanti perché smettessero di lottare. Questo appello nelle fabbriche di
Torino non si è visto, ma il Tg1 l'ha diffuso come se fosse una nuova
edizione della marcia dei 40mila. Falliti questi mezzucci si è passati allora
alla repressione vera, i lavoratori di tutta Italia erano solidali con quelli
di Melfi, anche se venivano mandati a casa, allora bisognava usare altri
mezzi. Si pensava evidentemente che questo bastasse per intimorire quella
parte non piccola di lavoratori che vuole scioperare ma ha paura di farlo
vedere e preferisce che ci sia il picchetto, per poter dire al capo che
telefona alla sera che è stato impossibile entrare. Ma la carica della polizia
ha sortito l'effetto opposto. Non solo ha fatto crescere in tutta Italia la
solidarietà verso la lotta di Melfi, ma ha unito ancora di più la fabbrica.
Dopo le cariche, al lavoro non si è presentato praticamente più nessuno.
Allora la Fiat ha capito che bisognava manovrare, ma come essa fa sempre, non
rinunciando mai a indebolire e a dividere chi lotta. L'azienda ha dichiarato
la disponibilità a trattare su tutto, a condizione che si togliessero i
famigerati "blocchi". Era chiaro il tentativo di dividere gli
scioperanti, di farli litigare l'uno con l'altro, di ottenere per altre vie
quello che ci si era prefisso fin dall'inizio. Come pappagallini sulla spalla
i sindacati collaborativi ripetevano che bisognava smettere se no non c'erano
le trattative e che per colpa della lotta i lavoratori perdevano risultati
importantissimi. Allora si è convocata l'assemblea. E' stata
l'assemblea a trovare, in una discussione aspra e difficile, la soluzione che
ha messo d'accordo tutti. Quella che toglieva i presidi per togliere alla
Fiat ogni pretesto per non trattare, ma decideva la continuazione dello
sciopero per far capire che non si voleva cedere. Quando si è
votato all'unanimità, i lavoratori si sono abbracciati: non ci si rompeva, si
stava assieme anche facendo una difficile manovra. Questo è il risultato di
una velocissima crescita della coscienza e della capacità di iniziativa
politica delle lavoratrici e dei lavoratori di Melfi. In pochi giorni si sono
bruciati anni e anni. Quelle altre organizzazioni sindacali, che hanno scelto
finora di fiancheggiare acidamente i comportamenti aziendali ora hanno di che
riflettere. C'è ancora un percorso difficile davanti, la Fiat ora deve
trattare sul serio. Ma alle spalle c'è un percorso altrettanto duro che è
stato superato. Così, con coscienza e passione si costruisce una classe
operaia. Giorgio Cremaschi |
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Una
rivolta contro la precarietà senza confini |
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MayDay MayDay, ovvero la parade contro la precarietà di
Milano, organizzata per la prima volta nel 2001 e diventata l'anno scorso la
più partecipata mobilitazione del 1° Maggio. Un appuntamento che rompe con la
ritualità, riscoprendo il senso originario, di giornata di lotta, del primo
maggio. E non vi è dubbio che oggi la precarietà del lavoro, del reddito e
della vita non è soltanto condizione sociale sempre più tipica, ma altresì
paradigma del modello di società che il liberismo ci consegna. L'emergenza e
la diffusione della precarietà nel mondo del lavoro era accompagnata
dall'illusione che si trattasse di un fenomeno limitato alla "new
economy" e ad alcune fasce d'età. La realtà si è poi incaricata di
raccontare un'altra storia, la stessa che in questi giorni la rivolta civile
degli operai di Melfi sta mettendo a nudo. La precarietà non conosce confini,
pervade ogni settore dell'economia e ogni fase della vita, dilaga in maniera
generalizzata. Le condizioni
di lavoro nella grande distribuzione, nei call-center o nei fast-food sono i
simboli della precarietà, ma essa si sta diffondendo rapidamente anche
nell'industria, dove l'utilizzo del lavoro interinale è spesso - e non a caso
- contestuale alla cassaintegrazione per gli operai "fissi". Nel
pubblico impiego, considerato ancora da molti la patria dei
"garantiti", il lavoro precario è in rapida espansione, non
soltanto a causa delle esternalizzazioni, ma anche grazie al "blocco
delle assunzioni", reiterato da ogni Finanziaria, il quale tuttavia
blocca soltanto le assunzioni a tempo indeterminato e non quelle precarie.
Così, al Comune di Milano su 18mila dipendenti ben 3mila sono ormai precari. E qui entra in
scena una seconda illusione, qualche volta interessata, cioè che la
precarietà sia un prodotto naturale dello sviluppo economico moderno. Invece,
i rapporti di lavoro precari solitamente non trovano le loro ragioni in
esigenze tecnico-organizzative della produzione, bensì nella semplice volontà
di sostituire lavoratori dotati di tutele e diritti con altri che ne sono
privati e pertanto ricattabili. Non a caso ogni testo sacro liberista,
radicale o "temperato" che sia, invoca "riforme" del mercato
del lavoro e "flessibilizzazione" della manodopera. Non è questione
di esigenze produttive, è questione di egemonia liberista. A quanti tre
anni fa promossero la prima MayDayParade va il merito di un'intuizione,
quella di costruire un evento e uno spazio pubblico plurale contro la
precarizzazione. Forse oggi si prospetta la possibilità di osare di più, di
far derivare dalla MayDay percorsi comuni di lotta contro la precarietà.
Infatti, l'edizione 2004 non vede soltanto una crescita numerica, bensì un
allargamento sia geografico che politico della partecipazione. Non si tratta
dunque di far precipitare discussioni e dibattiti, ma di sperimentare nella
pratica convergenze e lotte. Due ci paiono
essere i poli attorno cui costruire la mobilitazione: la lotta contro la
precarizzazione e la continuità del reddito. Il primo polo indica anzitutto
la necessità di contrasto e di boicottaggio dell'applicazione della legge 30,
detta legge Biagi, che lungi dal sancire semplicemente l'esistente, rompe
tutti gli argini e riduce il lavoro a merce pura, sempre "a
disposizione". Senza dimenticare quella autentica bomba ad orologeria
depositata in Parlamento, la 848bis, contenente la sospensione dell'articolo
18 e la manomissione degli ammortizzatori sociali. Il secondo polo è rappresentato
dalla battaglia per il reddito o salario sociale, al fine di sottrarre il
lavoratore disoccupato ed intermittente al ricatto del lavoro qualsiasi e a
qualsiasi condizione. Due poli che
richiedono una mobilitazione generale, sul posto di lavoro, sul territorio e
nelle istituzioni, e che non possono essere separati. Non avrebbe senso la
battaglia per forme di reddito sociale disgiunte dal contrasto attivo della
precarizzazione, poiché rischierebbero la fine dell'assegno di povertà. E ovviamente,
come ogni iniziativa di movimento, la MayDay non può non farsi carico della
necessità di lotta contro la guerra. Ovvero, sarà anche un primo maggio
contro la guerra, per il ritiro immediato delle truppe d'occupazione
dall'Iraq. Luciano Muhlbauer |
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Una
grande festa |
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Paolo
Ferrero (Prc) |
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Primo maggio: dai precari dell'Euromayday alla Fiat?
«Quest'anno non ha certo caratteristiche rituali» sottolinea Paolo Ferrero,
della segreteria nazionale del Prc. «Il valore aggiunto del Mayday è nella
capacità di leggere la precarietà come paradigma di tutta la condizione
lavorativa». «A Melfi, dentro un passaggio non semplice della lotta - guidato
brillantemente dai delegati sindacali e della Fiom - può essere un grande momento
di unità, di solidarietà, di ricarica delle energie. A fianco di tutte le
altre iniziative, li assumiamo entrambi quindi come punti centrali della
nostra iniziativa politica». |
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