liberazione 30-4-04

Animata discussione tra gli operai. La proposta Fiom passa all'unanimità

Melfi, via i blocchi
la lotta prosegue

 

 

Melfinostro inviatoHanno sospeso i presìdi che da undici giorni vegliavano sulle strade di accesso allo stabilimento, ma la lotta degli operai della Fiat Sata di Melfi non si ferma. Contestualmente alla rimozione di gazebo e transenne, infatti, i lavoratori al termine di un dibattito acceso hanno altresì deciso all'unanimità di accettare la proposta della Fiom di trasformare i presìdi in assemblea permanente con sciopero di 8 ore per ogni turno di lavoro. «Sarà la stessa assemblea, sulla base dell'andamento del negoziato, ad assumere le ulteriori decisioni sulla lotta», chiarisce con un comunicato il sindacato dei metalmeccanici Cgil. Il punto della situazione verrà fatto in assemblea già lunedì prossimo.

Nessun cedimento, dunque, anzi una ulteriore dimostrazione di forza e di compattezza. «Non dobbiamo offrire alibi a chi ha interesse a non far partire la trattativa. Se ci sono carte truccate in casa Fiat, vogliamo vederle», spiega il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, a un gruppo di contestatori. Addirittura sulle prime c'è chi gli dà del «venduto», suscitando però l'indignata reazione della grande maggioranza degli operai raccolti attorno al camper adibito a tribuna per gli oratori. «La Fiom ha sostenuto la nostra lotta fin dall'inizio, Rinaldini ha pure preso le bastonate dalla polizia», ricorderà in seguito un operaio. Alla fine la proposta del numero uno della Fiom riesce a mettere tutti d'accordo. Ma quanta fatica! Quando Giorgio Cremaschi scende dal camper ha l'aria tesa (per effetto dell'adrenalina) e insieme soddisfatta di chi ha appena superato un esame a pieni voti: «E' stata una grande prova di democrazia e di maturità, la dimostrazione che a stare con i lavoratori ci si guadagna sempre», il commento a caldo del segretario nazionale della Fiom.

Un'atmosfera carica di nervosismo e tensione accompagna fin dalle prime battute l'assemblea che si svolge sul piazzale antistante la Barilla, gremito dai lavoratori. Del resto, è persino normale che sia così: «Se sbagliamo, perdiamo tutto», riassume un operaio. Rinaldini deve dar fondo a tutta la sua esperienza di sindacalista: «Siamo in una fase nuova - attacca -: non c'è più la richiesta di un negoziato ma l'apertura di un negoziato senza pregiudiziali. Vogliamo fare una trattativa breve, dandoci un tempo che possa essere dieci, quindici giorni». Dalla platea si alzano rumorose grida di dissenso: «Garanzie, garanzie», «Vogliamo risposte subito», «Avete detto nero su bianco e nero su bianco deve essere».

«Se non sospendiamo i presìdi - insiste il segretario della Fiom - la Fiat ribalterà su di noi l'accusa di non volere la trattativa. E stampa e televisioni ci daranno addosso. Ci sono poi le ordinanze del giudice civile di Melfi, che sono state recapitate alla Fiom e che ci espongono a denunce e a nuovi tentativi di sgombero che saranno ancora più violenti. Il problema che vi sto proponendo è rispetto a come continuare la lotta, non di cessare la lotta». Ma viene di nuovo interrotto. A quel punto la parola passa ai lavoratori.

I più agitati sono gli operai dello Slai Cobas e i rappresentanti di Alternativa sindacale, favorevoli a proseguire il presidio assieme a qualche iscritto all'Ugl. La loro tesi è questa: «Se rientriamo in fabbrica siamo fregati, non riusciremo più riprendere la mobilitazione». Opinione rispettabile, anche se c'è chi tenta di fomentare gli animi giocando la carta della provocazione: «Non è vero che la Fiom ha ricevuto l'ordinanza del giudice civile - azzarda un funzionario di Alternativa sindacale -, voglio vedere le lettere». Cremaschi, smettila di essere arrogante, fammi parlare», urla l'anziano sindacalista in faccia al dirigente della Fiom. Il quale, intelligentemente, non cade nella trappola, mentre sono gli stessi lavoratori a chiarire che le ordinanze ci sono: «Le abbiamo ricevute anche noi».

Dino, delegato Fiom, non ci sta a passare per uno che vuole fare un passo indietro: «Con la nostra mobilitazione - sottolinea - abbiamo costretto la Fiat a trattare con il coordinamento delle Rsu, un fatto mai avvenuto prima. Inoltre, l'eventuale accordo sarà convalidato da un referendum. Non dobbiamo avere paura di tornare in fabbrica. Veramente pensiamo che la gente non è entrata perché c'erano i blocchi? Su quei pullman, lunedì scorso - ricorda Dino -, c'erano appena 15 capetti». Dopo poche ore arriverà la conferma. Nonostante la rimozione dei blocchi, infatti, i bus-navetta continueranno a presentarsi all'ingresso dello stabilimento praticamente vuoti.

Donato, uno degli attivisti sindacali cacciati dalla Fiat con un pretesto, pensa che il clima sia cambiato: «Se torniamo in fabbrica - afferma fiducioso - poi possiamo uscire di nuovo e essere più forti di oggi». Tonino, anche lui licenziato, la vede invece diversamente: «Se rientriamo non avremo più gli stessi rapporti di forza, perché i capetti - avverte - riprenderanno a intimidire i lavoratori». «La nostra forza sta nel fatto che siamo coscienti di essere tutti uniti», ribatte Giorgia, delegata Fiom. Parole che troveranno conferma al momento della votazione, effettuata per alzata di mano: tutti favorevoli, nessun voto contrario, nessun astenuto. Risultato salutato da un forte applauso dal sapore liberatorio.

Roberto Farnet

Parte la trattativa nella sede di Confindustria

 

Fiom: «Mobilitazione fino alla conclusione positiva della vertenza»

«La mobilitazione, nelle forme decise dall'assemblea, proseguirà fino alla conclusione positiva della vertenza». E' con questo biglietto da visita che ieri sera i dirigenti della Fiom hanno varcato il portone della sede di Confindustria in viale dell'Astronomia. Se potesse, il presidente di Federmeccanica Alberto Bombassei dichiarerebbe illegali anche gli scioperi della Fiom a Melfi. Scioperi che ieri hanno ottenuto un successo totale. Ma questa volta deve ingoiare il rospo. I blocchi sono stati tolti, ma la lotta continua. E così è costretto ad ammettere tra i denti: «Sono soddisfatto del fatto che hanno rimosso i blocchi. Era prevedibile».

Anche Savino Pezzotta è costretto ad arrampicarsi sugli specchi con affermazioni del tipo, «l'accordo programmatico che Fim e Uilm avevano raggiunto venerdì scorso elencava anche quali erano i temi da affrontare come i turni di notte o la questione salariale. Mi sembra che si riparta da dove eravamo arrivati venerdì scorso».

La versione della Fiom, ovviamente, è completamente diversa. «Sono i continui rinvii dell'azienda che hanno portato i lavoratori a decidere la lotta di questi giorni». Per rendere l'iniziativa ancora più incisiva, la Fiom ha deciso di lanciare una campagna di sottoscrizione (conto corrente numero 000000151758, Nuova Banca Mediterranea, viale Marconi - 85100 Potenza. Cin R - Abi 05332 - Cab 04200. Causale: "Fondo solidarietà lavoratori sito Fiat Melfi"). «La decisione dei lavoratori in lotta per una piattaforma che ha trovato il consenso non solo di tutti i dipendenti del sito, ma di gran parte dell'opinione pubblica del paese - è scritto in una nota firmata dalla segreteria - richiede ora una trattativa rapida e conclusiva. Sta a questo punto alla Fiat fare in modo che il negoziato, a partire dalle questioni salariali e delle condizioni di lavoro, giunga in tempi rapidi in porto».

Per Carla Cantone, della segreteria nazionale della Fiom, «è importante che i lavoratori abbiano condiviso le proposte della Fiom e della Cgil per poter così aprire un vero confronto con la Fiat, in quanto la sospensione dei presidi ci consentirà di verificare le reali intenzioni della Fiat al tavolo negoziale». «Il nostro obiettivo - conclude la Cantone - era e rimane la conquista di importanti risultati per tutti i lavoratori del sito produttivo di Melfi». Per Paolo Ferrero, della segreteria nazionale del PRc, il risultato dell'assemblea è il frutto della grandissima prova di maturità dei rappresentanti sindacali e della Fiom e di un percorso assolutamente democratico messo in campo dal sindacato». «La democrazia sindacale si è confermata come un eccezionale arma per l'unità di classe e per il possibile esito positivo della vertenza».

Intanto, l'attività produttiva di Fiat Auto in Italia, ferma da alcuni giorni per i blocchi nel comprensorio di Melfi, riprenderà oggi in tutti gli stabilimenti. «La produzioen riprenderà domani mattina in tutti gli stabilimenti, tranne Cassino che riparte con il turno del pomeriggio», ha detto un portavoce Fiat. Lo stop produttivo iniziato la settimana scorsa a Melfi «ha comportato la perdita complessiva di circa 30.000 vetture», ha aggiunto il portavoce. Riaprono quindi i battenti gli impianti di Pomigliano, Termini Imerese, Mirafiori, Cassino (secondo turno) e Sevel, ha dettagliato il portavoce.

Fa. Seba. 

Cronaca di una lotta straordinaria

 

 

Alla fine molti giornalisti erano lì quasi con la bocca aperta. Non avevano mai visto una vera assemblea operaia. Poi hanno assistito a un evento e, un po' alla volta, hanno dimenticato il lavoro, hanno cominciato a guardare, alcuni anche a partecipare, hanno vissuto l'assemblea. Questa è la democrazia operaia quando si esprime con il rigore e la passione migliori. Poteva non essere così.

Fin dall'inizio la vertenza di Melfi ha avuto questo carattere di crescita vorticosa della coscienza delle persone. Venti giorni fa in quello stabilimento i lavoratori si avvicendavano nei turni, spesso senza conoscersi l'un l'altro sullo stesso posto di lavoro. Erano tante fabbriche diverse che lavoravano di giorno, di pomeriggio, la notte, nella Fiat vera e propria e nelle aziende terziarizzate dell'indotto. Tutti sottoposti a un regime autoritario, da Tempi moderni, ove il massimo della produttività europea nell'industria dell'auto si sosteneva anche con migliaia di multe e tanti licenziamenti. Poi, improvvisamente, è cambiato tutto, naturalmente nulla nasce dal nulla. Alle spalle della lotta di questi giorni c'è il lungo e il duro lavoro dei delegati, della Fiom soprattutto, ma anche di altre organizzazioni, che non hanno mai chinato la testa nei momenti difficili. Nell'indotto soprattutto in questi anni era cresciuta la mobilitazione e la capacità di lotta. Ma lo stabilimento Sata sembrava inviolabile. L'azienda applicava con assoluta scientificità la contrapposizione dei lavoratori gli uni agli altri. Se un reparto scioperava, si mandavano a casa tutti gli altri, la cosiddetta messa in libertà. Ogni sciopero parziale diventava un possibile blocco della fabbrica e proprio questo blocco si ritorceva contro gli scioperanti e ne indeboliva la forza. Anche una decina di giorni fa, un venerdì, la Fiat ha giocato la stessa carta. Era in corso uno sciopero di un'azienda dell'indotto e, per stroncarlo, la Fiat ha deciso di mandare a casa tutti i dipendenti della Fiat di Melfi. Ma a quel punto invece che rivolgersi, come avveniva nel passato, contro chi scioperava, i lavoratori della Sata hanno scelto l'obiettivo giusto, hanno detto adesso basta alla Fiat e sono scesi in lotta. E' la Fiat che ha inventato i blocchi e, paradosso del conflitto sociale, ora questa sua invenzione le si ritorce contro.

Ma la Fiat fa fatica a cambiare strada, reagisce sempre con gli stessi stereotipi. Fallita la mossa della divisione immediata dei lavoratori ha giocato quella della divisione dei sindacati. Non era una carta difficile. A Melfi, e non solo lì, Fim, Uilm e Filmic, sono conosciuti per la loro malleabilità, disponibilità, collaborazione con l'azienda. Si è quindi concordata con questi sindacati un'intesa che avrebbe dovuto condannare la lotta. La Fiom naturalmente, ma la Fiat lo sapeva benissimo, non poteva sottoscrivere un testo di questo genere che aveva il solo scopo di provocare la reazione di tutti i lavoratori del gruppo contro quelli di Melfi, di replicare su base più allargata la politica delle mandata a casa che si fa nello stabilimento. Stranamente tutti i telegiornali hanno dato notizia di un appello di lavoratori di Mirafiori agli scioperanti perché smettessero di lottare. Questo appello nelle fabbriche di Torino non si è visto, ma il Tg1 l'ha diffuso come se fosse una nuova edizione della marcia dei 40mila. Falliti questi mezzucci si è passati allora alla repressione vera, i lavoratori di tutta Italia erano solidali con quelli di Melfi, anche se venivano mandati a casa, allora bisognava usare altri mezzi. Si pensava evidentemente che questo bastasse per intimorire quella parte non piccola di lavoratori che vuole scioperare ma ha paura di farlo vedere e preferisce che ci sia il picchetto, per poter dire al capo che telefona alla sera che è stato impossibile entrare. Ma la carica della polizia ha sortito l'effetto opposto. Non solo ha fatto crescere in tutta Italia la solidarietà verso la lotta di Melfi, ma ha unito ancora di più la fabbrica. Dopo le cariche, al lavoro non si è presentato praticamente più nessuno. Allora la Fiat ha capito che bisognava manovrare, ma come essa fa sempre, non rinunciando mai a indebolire e a dividere chi lotta. L'azienda ha dichiarato la disponibilità a trattare su tutto, a condizione che si togliessero i famigerati "blocchi". Era chiaro il tentativo di dividere gli scioperanti, di farli litigare l'uno con l'altro, di ottenere per altre vie quello che ci si era prefisso fin dall'inizio. Come pappagallini sulla spalla i sindacati collaborativi ripetevano che bisognava smettere se no non c'erano le trattative e che per colpa della lotta i lavoratori perdevano risultati importantissimi. Allora si è convocata l'assemblea.

E' stata l'assemblea a trovare, in una discussione aspra e difficile, la soluzione che ha messo d'accordo tutti. Quella che toglieva i presidi per togliere alla Fiat ogni pretesto per non trattare, ma decideva la continuazione dello sciopero per far capire che non si voleva cedere.

Quando si è votato all'unanimità, i lavoratori si sono abbracciati: non ci si rompeva, si stava assieme anche facendo una difficile manovra. Questo è il risultato di una velocissima crescita della coscienza e della capacità di iniziativa politica delle lavoratrici e dei lavoratori di Melfi. In pochi giorni si sono bruciati anni e anni. Quelle altre organizzazioni sindacali, che hanno scelto finora di fiancheggiare acidamente i comportamenti aziendali ora hanno di che riflettere. C'è ancora un percorso difficile davanti, la Fiat ora deve trattare sul serio. Ma alle spalle c'è un percorso altrettanto duro che è stato superato. Così, con coscienza e passione si costruisce una classe operaia.

Giorgio Cremaschi 

Una rivolta contro la precarietà senza confini

 

 

MayDay MayDay, ovvero la parade contro la precarietà di Milano, organizzata per la prima volta nel 2001 e diventata l'anno scorso la più partecipata mobilitazione del 1° Maggio. Un appuntamento che rompe con la ritualità, riscoprendo il senso originario, di giornata di lotta, del primo maggio. E non vi è dubbio che oggi la precarietà del lavoro, del reddito e della vita non è soltanto condizione sociale sempre più tipica, ma altresì paradigma del modello di società che il liberismo ci consegna.

L'emergenza e la diffusione della precarietà nel mondo del lavoro era accompagnata dall'illusione che si trattasse di un fenomeno limitato alla "new economy" e ad alcune fasce d'età. La realtà si è poi incaricata di raccontare un'altra storia, la stessa che in questi giorni la rivolta civile degli operai di Melfi sta mettendo a nudo. La precarietà non conosce confini, pervade ogni settore dell'economia e ogni fase della vita, dilaga in maniera generalizzata.

Le condizioni di lavoro nella grande distribuzione, nei call-center o nei fast-food sono i simboli della precarietà, ma essa si sta diffondendo rapidamente anche nell'industria, dove l'utilizzo del lavoro interinale è spesso - e non a caso - contestuale alla cassaintegrazione per gli operai "fissi". Nel pubblico impiego, considerato ancora da molti la patria dei "garantiti", il lavoro precario è in rapida espansione, non soltanto a causa delle esternalizzazioni, ma anche grazie al "blocco delle assunzioni", reiterato da ogni Finanziaria, il quale tuttavia blocca soltanto le assunzioni a tempo indeterminato e non quelle precarie. Così, al Comune di Milano su 18mila dipendenti ben 3mila sono ormai precari.

E qui entra in scena una seconda illusione, qualche volta interessata, cioè che la precarietà sia un prodotto naturale dello sviluppo economico moderno. Invece, i rapporti di lavoro precari solitamente non trovano le loro ragioni in esigenze tecnico-organizzative della produzione, bensì nella semplice volontà di sostituire lavoratori dotati di tutele e diritti con altri che ne sono privati e pertanto ricattabili. Non a caso ogni testo sacro liberista, radicale o "temperato" che sia, invoca "riforme" del mercato del lavoro e "flessibilizzazione" della manodopera. Non è questione di esigenze produttive, è questione di egemonia liberista.

A quanti tre anni fa promossero la prima MayDayParade va il merito di un'intuizione, quella di costruire un evento e uno spazio pubblico plurale contro la precarizzazione. Forse oggi si prospetta la possibilità di osare di più, di far derivare dalla MayDay percorsi comuni di lotta contro la precarietà. Infatti, l'edizione 2004 non vede soltanto una crescita numerica, bensì un allargamento sia geografico che politico della partecipazione. Non si tratta dunque di far precipitare discussioni e dibattiti, ma di sperimentare nella pratica convergenze e lotte.

Due ci paiono essere i poli attorno cui costruire la mobilitazione: la lotta contro la precarizzazione e la continuità del reddito. Il primo polo indica anzitutto la necessità di contrasto e di boicottaggio dell'applicazione della legge 30, detta legge Biagi, che lungi dal sancire semplicemente l'esistente, rompe tutti gli argini e riduce il lavoro a merce pura, sempre "a disposizione". Senza dimenticare quella autentica bomba ad orologeria depositata in Parlamento, la 848bis, contenente la sospensione dell'articolo 18 e la manomissione degli ammortizzatori sociali. Il secondo polo è rappresentato dalla battaglia per il reddito o salario sociale, al fine di sottrarre il lavoratore disoccupato ed intermittente al ricatto del lavoro qualsiasi e a qualsiasi condizione.

Due poli che richiedono una mobilitazione generale, sul posto di lavoro, sul territorio e nelle istituzioni, e che non possono essere separati. Non avrebbe senso la battaglia per forme di reddito sociale disgiunte dal contrasto attivo della precarizzazione, poiché rischierebbero la fine dell'assegno di povertà.

E ovviamente, come ogni iniziativa di movimento, la MayDay non può non farsi carico della necessità di lotta contro la guerra. Ovvero, sarà anche un primo maggio contro la guerra, per il ritiro immediato delle truppe d'occupazione dall'Iraq.

Luciano Muhlbauer 

Una grande festa
del lavoro da Milano a Melfi

Paolo Ferrero (Prc)

 

 

Primo maggio: dai precari dell'Euromayday alla Fiat? «Quest'anno non ha certo caratteristiche rituali» sottolinea Paolo Ferrero, della segreteria nazionale del Prc. «Il valore aggiunto del Mayday è nella capacità di leggere la precarietà come paradigma di tutta la condizione lavorativa». «A Melfi, dentro un passaggio non semplice della lotta - guidato brillantemente dai delegati sindacali e della Fiom - può essere un grande momento di unità, di solidarietà, di ricarica delle energie. A fianco di tutte le altre iniziative, li assumiamo entrambi quindi come punti centrali della nostra iniziativa politica».