liberazione 1-5-04

Oltre la festa

 

 

«Questa è la nostra Festa», disse Giovanna Marini, accarezzando la sua chiatarra, dal palco del concerto di piazza San Giovanni. Era giusto un anno fa, il 1 maggio 2003, quando ancora a quel concerto era concessa la diretta tv. Sembra così ovvia, questa dizione, ma non lo è, nient'affatto. La Festa del Lavoro, che prima di entrare nei calendari ufficiali era costata lunghe lotte, sangue e morti, celebrava il ruolo centrale dei lavoratori dipendenti, degli operai, degli ultimi: un contenuto eversivo che irrompeva nell'agenda istituzionale - e la rompeva. Una giornata di segno classista che, una volta ogni trecentosessanticinque giornate, accettava la sfida, e il rischio, dell'integrazione. Vincendola anzitutto nella sua concretezza simbolica: perchè la Festa del lavoro era il non-lavoro. Era la sospensione generalizzata dell'atto del produrre, l'arresto di quella che oggi chiameremmo la "tecnomacchina". Era, soprattutto, l'idea della liberazione del e dal lavoro salariato - sfruttato, alienato. In quel giorno, in quei Primi Maggi, la società intera, la società borghese, era costretta a guardare suo malgrado ad un'altra possibilità: quella di un mondo dove il lavoro non sarebbe stato più sfruttato, ma poteva trasformarsi in una libera attività degli esseri umani associati.


E oggi? Oggi la Festa celebra se stessa riallacciandosi alla sua forma più antica: quella della lotta. La rivolta operaia di Melfi ci parla proprio di questo: della insopportabilità di una condizione operaia che sa di schiavitù, sia pure di schiavitù modernissima e ipertecnologizzata. E che si ricollega quasi direttamene agli operai che scendevano in piazza per chiedere le otto ore e la fine di ritmi disumani di lavoro: proprio come il capitalismo del XXI secolo assomiglia tremendamente a quello selvaggio, ottocentesco o protonovenentesco, che non tollerava nè rivendicazioni organizzate nè manifestazioni di autonomia dei subalterni. In realtà, la storia non si ripete mai. La lotta di classe che riesplode nel cuore della crisi della globalizzazione non è solo un ritorno, e forse non è affatto un ritorno - è soprattutto un nuovo inizio. Gli operai di Melfi, come i lavoratori dell'Alitalia, come qualche mese fa gli autoferrotranvieri - ma anche come il nuovo precariato giovanile che sfilerà oggi tra Milano e Barcellona - rispondono a un nuovo potere padronale che prevede per loro solo uno stato di totale assoggettamento. Che sopprime le garanzie e i diritti più elementari, a cominciare da quello di un contratto decente. Che pretende di controllare (appropriandosene) tutto il loro tempo. La precarizzazione del lavoro e della vita, ecco l'unico progetto di cui è capace il capitalismo nella sua fase tardoliberista e regressiva. L'angosciosa guerra guerreggiata che divampa in Iraq e nel Medio Oriente ha il suo organico pendant nella più silenziosa ma quasi altrettanto feroce guerra scatenata contro il lavoro. Altro che festa!


Il nuovo movimento operaio - quello che ricompone i giovani precari con la classe operaia ex-garantita, l'intellettualità di massa con i soggetti alla ricerca di "spazio pubblico", i movimenti nati dal rifiuto della globalizzazione con le antiche organizzazioni dei lavoratori - trova qui, in questo Primo Maggio, le sue ragioni e le sue radici. Oggi è anche il giorno in cui l'Europa si allarga a dieci nuovi membri. Ma, se vorrà davvero esistere, essa non potrà non essere l'Europa della pace e dei lavoratori.

Rina Gagliardi          


 

Perfino la questura smentisce: «No, non c'è stata alcuna aggressione». Ma per la Fim, la Uilm e la Fiat no

 

 

Perfino la questura smentisce: «No, non c'è stata alcuna aggressione». Ma per la Fim, la Uilm e la Fiat non ha nessun valore. In effetti, nessuno è stato preso a sassate ieri davanti ai cancelli di Melfi. Evidentemente, la Pubblica Sicurezza va bene solo quando picchia i lavoratori e non quando dà la giusta versione della realtà. E dire che gli agenti erano proprio lì davanti. L'unica scena cui hanno assistito è stata quella degli applausi ironici all'indirizzo di un gruppo di lavoratori che aveva manifestato l'intenzione di entrare.

La montatura della delegata a cui sarebbe stato impedito fisicamente di entrare è comunque un'ottima scusa per rompere improvvisamente il tavolo delle trattative a Roma e chiedere la fine degli scioperi, una vera e propria spina nel fianco, questa, di Roberto Di Maulo, Giorgio Caprioli e Paolo Rebaudengo. Mentre i primi due sono i due segretari generali di categoria di Fismic e Fim, il terzo è il capo delle Relazioni sindacali di Fiat. Savino Pezzotta, da Gorizia, invece di preoccuparsi di verificare la fondatezza di quanto gli riferiscono dà immediatamente la necessaria copertura politica a tutta l'operazione. «Questi episodi sono un brutto segnale in un momento in cui stiamo tentando di ricucire - dice - gesti inammissibili di intolleanza fuori dal nostro percorso e per questo abbiamo deciso di non interrompere le trattative ma comunque di sospenderle in segno di protesta». Protesta di che? La cronaca della giornata di ieri, la prima di una trattativa vera, è tutta qui. Oltre, naturalemente alla piena riuscita degli scioperi che a Melfi verranno interrotti solo dalla festività del Primo Maggio.

La reazione di Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom, è al vetriolo: «Quello che sta avvenendo in Fiat a Melfi è un fatto senza precedenti. Abbiamo una lotta che è stupenda e serena sulla democrazia e la partecipazione, una lotta in cui tutti si identificano. Due organizzazioni sindacali hanno perso la testa. Come è successo che pur avendo la maggioranza nella fabbrica oggi hanno otto tuttii rapporti con i lavoratori? Reagiscono con forme di provocazione. L'aggressione alla delegata è pura invenzione, che ha dato lalla Fiat il prestesto a rinviare la trattativa. Si fa presto a fare due conti. La Fiat ha detto che voleva chiudere le trattative ma in realtà non le ha nemmeno iniziate. Non ha dichiarato alcuna disponbilità sul salario. La Cisl e la Uilm stranamente hanno fatto saltare il tavolo. Gravità senza pecedenti che impone a tutti i noi una riflessione. Tutte le lotte che stanno emergendo hanno tutte lo steso segno: i lavoratori dicono basta e con una grande unità. Invece che considerarla una risorsa alcune organizzzioni le considerano una zavorra. tutte le chiacchiere sulll'unità sono vane. L'unità sindacale, se costruita sulla sconfitta di Melfi e Alitalia è una disgrazia. Respingeremo con forza la provocazione. Diciamo alla Fiat, e a Cisl e Uil, che non molleremo».

Fino al momento della sceneggiata di Fim e Uil la trattativa aveva registrato un piccolo passo in avanti sul problema della "doppia battuta" (i turni) e stata affrontando il punto sul salario, rispetto al quale ci sono molte resistenze da parte dell'azienda.

Per il segetario della Cgil Guglielmo Epifani sottolinea da Gorizia, parla di intimidazioni da «contrastate e condannate con la massima fermezza». Quanto alla vertenza della Fiat di Melfi, Epifani osserva: «A quanto pare la situazione corre il rischio di tornare al punto di partenza. Dopo il Primo Maggio bisogna riprendere un'iniziativa per far ripartire la trattativa, soprattutto per dare risposte alle attese dei lavoratori».

Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, giudica «grave»la decisione di sospendere il negoziato. «Per affrontare positivamente il conflitto sociale aperto a Melfi - aggiunge - c'è una sola strada percorribile: quella di un negoziato che risponda positivamente alle richieste avanzate».

Fabio Sebastiani