CONCETTO DI LIBERTA' : Caduti tutti i miti delle verità assolute,
anche nel campo dei valori etico politici, nell'impossibilità di
stabilire, ad esempio: "ad azione giusta corrisponde conseguenza
giusta" per i valori che richiedono tempi a volte vicini, a volte
lontani, vedi i soggiorni coatti durante la repressione fascista
(comportamenti divenuti dopo vent'anni azioni giuste ed eroiche),
diviene indispensabile il ricorso ad un valore accettato universalmente,
col quale commisurare la validità delle nostre azioni, le quali, tanto
più saranno compatibili con esso, tanto più saranno giuste. Non esiste
al mondo persona, popolo, oppure Stato, che alla domanda: -vuoi la
libertà? Ami la libertà? Operi per la libertà? - non risponda
affermativamente. Ecco perché, oggi, il valore universalmente
accettato, porta il nome di Libertà. Ma dietro questo nome, soprattutto
in campo politico-sociale,si nasconde, assai spesso, un grande vuoto
teorico. Con questi pensieri, da noi appena accennati, Geymonat esprime,
appunto, il suo concetto di Libertà. E per una seria e corretta analisi
di questo concetto, l'autore sviscera i molteplici aspetti della vita
dell'individuo, sia singolarmente, sia come entità sociale.
LIBERTA' COME INDIPENDENZA : Dimostrando come non sia possibile
parlare d'indipendenza assoluta, in relazione allo Stato, pur avendo
confini e leggi proprie, ma di come sia di per sé arduo parlare di
Libertà relativa sia per la emulazione od al contrario, per la
eccessiva differenziazione, che si instaura nei popoli, oltre che tra
differenti Governi, considerando, inoltre, l'adesione data d questi ad
organismi internazionali, per le rappresentanze diplomatiche, eccetera,
Geymonat afferma che, in ogni caso, l'analisi del livello di Libertà di
un popolo, non sia possibile, senza tener conto di tutta la sua storia.
LA LIBERTA' DEGLI INDIVIDUI : In questa analisi, Geymonat considera
tre elementi fondamentali:
a) lo stato delle cose (da dove prendere le mosse)
b) l'insieme delle iniziative (o linee di condotta)
c) l'atto di volontà con cui si decide di prendere l'iniziativa. E'
impossibile, quindi, fare dei confronti fra Paesi diversi, ed epoche
diverse, anche in seno ad uno stesso Paese. Affrontando, poi, il tema
della scelta autonoma, anche in un Paese cosiddetto
"democratico", Geymonat scrive: " la scelta autonoma è
paragonabile al nodo di una rete, nodo in cui pervengono parecchi fili
della rete stessa, i quali si fanno equilibrio gli uni con gli altri,
senza che l'uno sia prevalente sui restanti ". E' quindi
impossibile ridurre la Libertà individuale ad un processo soggettivo.
E' necessario pertanto, porsi la domanda: - Libertà per chi? - Ed
ancora: - Libertà per cosa? Per lo sfruttamento? Oppure, per imporre il
proprio predominio? - Se noi sapremo inserire queste risposte in un
quadro di valori morali, noi sapremo anche individuare quali siano le
forze che ci avversano o che ci ostacolano in questa ricerca. Il
tentativo interrotto di superare tali ostacoli, e la lotta contro di
essi, è l'espressione più piena della Libertà. Se ne deduce, perciò,
come sia insostenibile che: Libertà significhi fine della lotta, fine
dello spirito combattivo. Su questo concetto Geymonat scrive: " La
tesi contraria per cui la Libertà non sarebbe lotta, è sostenuta di
fatto da coloro che, avendo lottato e vinto in un passato più o meno
lontano, hanno tutto l'interesse che non si lotti più, onde vengano
conservati i loro privilegi ."
LIBERTA' DI PENSIERO : In relazione a questo aspetto, Ludovico
Geymonat, mettendo in evidenza l'analisi del pensiero espresso, quindi
attraversa la parola, che, a sua volta richiama la libertà di stampa,
afferma come sia impossibile parlare di reale Libertà lo scrivere ciò
che viene suggerito ed imposto dal Potere. E, per questo concetto,
Geymonat scrive: " in realtà, chi esalta la Libertà di stampa
senza riflettere sul diverso significato che questo termine assume nelle
condizioni concrete in cui viviamo, e senza riflettere sui limiti che
esso incontra nelle cosiddette "società borghesi libere",
presta il fianco alle più gravi e perniciose confusioni ".
Geymonat continua mettendo sotto accusa la "moda culturale"
secondo cui il Marxismo non avrebbe più nulla da insegnarci. Asserisce
quindi che Libertà di pensiero significa: Lotta contro i pregiudizi,
lotta contro le superstizioni (con riferimento preciso anche alle
religioni), lotta contro le "mode culturali". Lo storicismo
scientifico, continua Geymonat, afferma la necessità di lottare contro
il passato, ma nel contempo, l'esigenza di mantenere un legame effettivo
con esso, sia per le azioni del presente, quanto per le giuste basi del
futuro.
LIBERTA' DEI SENTIMENTI : In questa analisi, Geymonat mette in
evidenza i due tipi fondamentali di sentimento che possono essere
sentimenti individuali (molto importanti perché determinano i nostri
comportamenti) e sentimenti collettivi, i quali, a loro volta, possono
essere spontanei o condizionati. Ciò che oggi condiziona e trasforma i
nostri sentimenti è la Propaganda, senza la quale la nostra società
non potrebbe mantenere il suo Status. Geymonat fa poi cenno alle epoche
di propaganda della religione cattolica, con le prediche continue, le
rappresentazioni terrificanti della vita ultraterrena ed i racconti dei
miracoli, più o meno credibili, e comunque martellanti. Geymonat
ribadisce la necessità di lotta nei sentimenti affinché prevalga, di
volta in volta, il sentimento migliore ma, nel contempo, ribadisce la
necessità di lottare contro la cristallizzazione del sentimento stesso.
Per una puntuale identificazione del sentimento migliore è necessario
ricorrere alla "morale", con le sue leggi oggettive, anche se,
ovviamente, non sono le stesse in tutti i Paesi. Per questo delicato
aspetto dell'analisi Geymonat scrive: " il sentimento morale
contribuisce alla nostra Libertà perché vivacizza la dinamica di tutti
i nostri sentimenti acutizzando la lotta fra sentimenti diversi e
rendendola via- via più radicale ".
LIBERTA' NELLA FANTASIA Su questo tema Geymonat spiega la differenza
tra il sogno e la fantasia, asserendo che nella fantasia vi è una
"logica" Ed è proprio nella logica che subentra il criterio
di "lotta". Continua poi, asserendo come sia possibile
sostituire il termine "fantasia", col termine creatività. Noi
pensiamo che senza la sublime dote della fantasia, non esisterebbero
discipline artistiche.
LIBERTA' E VIOLENZA Abbiamo visto nei due capitoli precedenti che il
concetto di libertà (sia dei popoli sia degli individui) rinvia a
quello di lotta, e quindi, direttamente o indirettamente, a quello di
violenza. E' su quest'ultimo quindi che dobbiamo ora dirigere la nostra
analisi, nel modo più spregiudicato possibile, superando quel falso
pudore per cui si preferisce fingere che la violenza sia un aspetto
marginale della nostra società, agevolmente cancellabile. Già sappiamo
che il problema della Libertà dei popoli coinvolge quello della guerra
(di conquista o di liberazione) e la guerra non è neanche concepibile
senza violenza, esercitata con mezzi primitivi o con sofisticatissime
armi moderne. Ma la via migliore per analizzare in tutti i suoi aspetti
il concetto di violenza non sembra quella che parte dall'esame del
concetto di guerra fra popoli, bensì quella che prende le mosse
dall'esame del concetto di guerra civile, ammettendo che oggi si possa
fare una netta distinzione fra i due tipi di guerra (cosa assai
difficile in quanto la guerra civile fra due fazioni di un popolo rinvia
sempre alla guerra, aperta o mascherata, fra gli Stati che proteggono
l'una o l'altra fazione, come già si è accennato nel primo capitolo).
Fin dalla preistoria dell'umanità, noi troviamo numerosi esempi di
guerra civile, quasi sempre molto feroci. Va osservato però che il
concetto di guerra civile va oggi notevolmente ampliato. Mentre, fino a
qualche tempo addietro si parlava di guerra civile solo se le due
fazioni in lotta si combattevano con squadre di uomini armati, formanti
battaglioni abbastanza regolari, oggi si può parlare di guerra civile
anche a prescindere da tale convinzione. Esistono infatti anche altri
modi di lottare, e aspramente, non con le armi ma con altri mezzi (per
esempio, con lo sfruttamento economico, con il sabotaggio, con la
propaganda, con l'embargo, eccetera). Se usiamo il concetto di guerra
civile in questo senso ampliato - e tutto ci suggerisce di farlo -
allora anche le lotte di classe, di cui Marx aveva giustamente
sottolineato l'importanza decisiva nello sviluppo dell'umanità,
diventano guerre civili. E non si tratta solo di un cambiamento di nome,
perché questo cambiamento comporta anche molte conseguenze pratiche:
per esempio, comporta il dovere di trattare gli arrestati come
prigionieri di guerra e non come volgari delinquenti, e comporta il
diritto di rifiutare certi mezzi di forzata persuasione in uso contro i
partecipanti alle lotte di classe. Da questo punto di vista, il dilemma
che talvolta viene sollevato di fronte a certi eventi di storia, e che
consiste nell'essere " o si tratta di mera lotta di classe o invece
si tratta di autentica guerra civile", non è più sostenibile, in
quanto i due corni del dilemma non si escludono a vicenda o perlomeno si
escludono soltanto in astratto se definiamo le due espressioni
"lotta di classe" e "guerra civile" come le si
definiva nel secolo scorso. Basta però guardare gli avvenimenti che
giorno per giorno si susseguono nei Paesi del cosiddetto "terzo
mondo" per accorgersi che in tali Paesi non si può fare una netta
distinzione tra lotta degli sfruttati contro gli sfruttatori e la guerra
dei popoli per raggiungere la propria indipendenza. In parecchi di
questi casi si direbbe che il risultato di tale groviglio di lotte e di
violenze non sia, a rigore, un incremento della Libertà degli individui
che vi partecipano, ma ciò accade solo perché si giudicano simili
eventi dall'esterno, in base a criteri validi per noi e non per loro. Il
giudizio sarebbe invece diverso se si tenesse conto delle esigenze di
quei popoli, della loro storia, delle loro condizioni di Libertà, dei
loro costumi, delle loro religioni. Il fatto è che i Paesi cosiddetti
civili, essendo nettamente più forti dal punto di vista economico e da
quello bellico, possono pretendere di imporre che sia universalmente
accettato come lecito il tipo di violenza da essi praticato e
regolamentato dalle loro leggi nazionali ed internazionali. Secondo
loro, questo tipo di violenza sarebbe perfettamente compatibile con la
Libertà, mentre non lo sarebbe il tipo di violenza praticato dai popoli
detti incivili. Ma su quale base possiamo distinguere i "popoli
civili"? Nessuno può mettere in dubbio il carattere relativo del
concetto di civiltà che, ad un esame oggettivo un po’ accurato, si
rivela profondamente diverso da un'epoca ad un'altra e da un popolo
all'altro. Se noi, malgrado la nostra consapevolezza critica,
continuiamo a ritenere che la nostra sia la "vera" civiltà, e
che perciò unicamente la violenza consentita in nome di questa civiltà
sia compatibile con la Libertà, è chiaro che ci rendiamo colpevoli di
gretto immobilismo. La nostra fede nel carattere civile delle nostre
istituzioni e del nostro modo di vivere non è meno dogmatica della fede
che avevano i nostri avi nella verità assoluta della loro religione.
Esso ci ricorda il famoso detto del re di Prussia "Got mit uns”
(Dio è con noi). Oggi noi possiamo ridere di questo detto, ma dovremmo
ridere con pari sicurezza della tesi, per tanto diffusa, secondo cui
"la civiltà e la Libertà sono con noi". Quanto ora esposto
ci permette a questo punto di affrontare il delicatissimo problema del
terrorismo. In genere il ricorso ad esso viene considerato un fatto
estremamente incivile; il terrorismo infatti è un'arma che colpisce
l'avversario in forma insidiosa, senza rispettare alcun confine, senza
il ben che minimo tentativo di distinguere tra colpevoli ed innocenti.
Così almeno viene descritto (o, più recentemente, demonizzato) da
coloro che ne sono il bersaglio. Inoltre esso viene accusato di
richiedere una forte dose di fanatismo, perché in molti casi il
terrorista sa che anche la sua stessa persona potrà venire travolta dal
disastro che egli si accinge a provocare. Non per nulla, quando il
terrorismo viene usato in modo sistematico da uno Stato in guerra contro
un altro Stato, si parla non tanto di terroristi quanto di
"battaglioni suicidi". Senza dubbio il fanatismo è
riprovevole, ma a ben riflettere, non è facile stabilire una netta
differenza tra il fanatismo del battaglione suicida ed il cosiddetto
eroe, da tutti ammirato ed esaltato. Basti ricordare alcune delle azioni
che fin da ragazzi siamo abituati a chiamare "eroiche": per
esempio, il famoso sacrificio di Pietro Micca. Se ci chiediamo che cosa
distingue tali azioni da quelle compiute dai cosiddetti battaglioni
suicidi (siano essi vietnamiti o giapponesi o iraniani) ci troviamo in
grave difficoltà per dare una risposta soddisfacente. Né si ha il
diritto di rispondere che l'azione eroica è dettata da motivi
razionali, mentre l'altra è dettata da motivi irrazionali. Con quale
criterio infatti si può giudicare la razionalità di un'azione? Solo
esaminando se l'azione, di cui intendiamo parlare, rientra o no in un
piano espressamente delineato al fine di raggiungere un certo scopo. Ma
l'esito di tale esame dipende in modo essenziale dal punto di vista in
cui si pone colui che si accinge a compierlo. Potrà pertanto accadere
che la medesima azione sia giudicata razionale o no, frutto di eroismo o
di mero fanatismo, a seconda del punto di vista dal quale ci
collochiamo. Né va dimenticato che in tutti i conflitti è sempre
ritenuto valido il giudizio pronunciato da chi sta dalla parte del
vincitore. Parlare di razionalità o irrazionalità di un'azione è
semplicemente un segno di ignoranza o di grave superficialità. Non ha
quindi senso la pretesa di fare riferimento a tale presunta razionalità
per decidere se un atto di violenza sia o no espressione di Libertà. 3°)
La parola fanatismo è un termine spregevole col quale noi
"civili" miriamo a gettare discredito sulle persone che ci
combattono. Secondo il linguaggio comune, il fanatico è colui che non
riflette criticamente sui motivi delle proprie azioni, cioè agisce per
istinto, lasciandosi guidare da un'infatuazione cieca o da un odio
altrettanto cieco. Ma a ben considerare le cose, il comportamento (per
lo meno in guerra) delle persone non fanatiche non pare differenziarsi
molto dal comportamento delle persone fanatiche. Per esempio, il
comandante militare che decide freddamente di bombardare una città,
senza preoccuparsi se le sue bombe andranno a colpire soltanto i soldati
nemici o anche degli innocenti, può non agire per odio (può anche
agire per il trionfo della Libertà) ma chi subisce gli effetti della
sua azione non farà differenza a seconda delle intenzioni che hanno
ispirato il bombardamento stesso. La differenza tra il freddo e cinico
generale che ordina il bombardamento a tappeto di una città ed il
fanatico capobanda che guida i suoi uomini al saccheggio del Paese
nemico, è soprattutto una differenza di eleganza, non di contento
civile. A rigore, ciò che fa ritenere più civile il comportamento del
generale è soltanto la superiorità dell'esito al quale conduce.
Apparentemente l'azione bellica razionalmente organizzata è meno
violenta dell'azione mossa dal fanatismo, anche se produce un maggior
numero di morti (si pensi agli effetti dell'uso dei gas tossici nella
prima guerra mondiale); proprio perciò l'attacco di soldati fanatici
che si scatenano in un corpo a corpo crudele viene guardato con una
certa aria di superiorità da chi è in grado di combattere con armi
automatiche che non insanguinano le mani. Ma si tratta di varianti della
violenza, che non ne mutano il carattere di fondo. L'aspetto più o meno
cruento di uno scontro armato non è qualcosa che possa interessarci. La
cosa che ci interessa è l'abbinamento tra violenza e Libertà, che si
intrecciano l'una con l'altra così strettamente da non poter venire
prese in esame separatamente, per lo meno nel concreto della storia.
Diversamente si cade nella "utopia". Tutti conoscono il
significato del termine utopia: Ma non si riflette a sufficienza sui
nessi tra utopia e Libertà. Questi nessi consistono nel fatto che, se
vogliamo parlare della Libertà senza riferimento alla violenza, ci
troviamo nel mondo dell'utopia. Qualcuno potrebbe obiettarci che ciò
non è necessario, bastando a tale scopo riferirci ad una società ben
ordinata, in cui la vita sia regolata da leggi precise, approvate da
tutti. Rispondiamo che una società siffatta non esiste in realtà.
Senza dubbio possiamo sognare una società che si approssimi ad essa, ma
un esame spregiudicato delle società effettive ci dimostra che la realtà
è ben diversa. Chi afferma il contrario, lo fa intenzionalmente, perché
vuole nascondere a se stesso e agli altri gli aspetti violenti della
società in cui vive; lo fa perché, sentendosi a proprio agio in essa,
e nutrendo un'infinità di pregiudizi contro la violenza, vuole
sostenere che è una società libera, in cui non alberga alcuna
violenza. Ma si tratta di una illusione, di un inganno preparato contro
la ragione. Si tratta di un'illusione particolarmente pericolosa perché
ci distoglie dall'esaminare i caratteri concreti dell'autentica Libertà,
di quella Libertà per cui si sono compiuti tanti sacrifici nel corso
dei secoli, per cui si è tanto combattuto, si è versato tanto sangue,
spesso in buona fede. Senza dubbio l'utopia ha espletato funzioni assai
importanti nello sviluppo delle idee, mostrando di volta in volta quali
erano i punti più difettosi delle società vigenti nelle varie epoche
storiche, ma ha pure avuto non di rado una funzione negativa, in quanto
ha distratto gli studiosi dal prendere atto della realtà in cui
viviamo. Nel presente caso essa ha il merito di mostrare che la Libertà
senza violenza è realizzabile solo in una società perfetta, ben
diversa da quella in cui ci tocca vivere. Come in geometria non si può
parlare di punti senza parlare anche di rette e piani, trattandosi di
concetti che non si possono definire se non tutti insieme, così accade
nei problemi di cui ci stiamo occupando, nei quali non si può parlare
di Libertà senza parlare nel contempo della società perfetta nella
quale essa si esplicherebbe. L'esame dello sviluppo del concetto di
Libertà ci insegna che non solo filosofi ma anche uomini d'azione hanno
parlato di Libertà in termini astratti, come se si trattasse di un
concetto definibile isolatamente, senza riferirlo all'ambiente storico
in cui tale Libertà dovrebbe esercitarsi. Ma così facendo, essi non
hanno dato alcun contributo serio all'analisi del concetto in questione.
Altrettanto può ripetersi del concetto di violenza, che a rigore non può
venire analizzato e valutato (con una soluzione o con una condanna) se
non in stretto collegamento con il concetto di società. E' sulla base
di questa situazione parallela che qui abbiamo sostenuto l'inscindibile
rapporto fra Libertà e violenza. Molte esaltazioni, per lo più
retoriche, della non violenza intesa come bene indiscutibile, sono un
segno di ignoranza più che un frutto di raffinata sensibilità e di
alta civiltà.
LIBERTA' E POTERE : Risulta che l'Ordine Vigente, obbedisca ad un
principio d'inerzia fino a che forze esterne non vengano a mutare il suo
equilibrio. Noi riteniamo che se tutto è "dinamica", tutto è
"movimento", questo "ordine delle cose", non potendo
progredire, in alcun modo, proprio per la dialettica delle cose, vada
progressivamente a ritroso, rendendo chiari, in tal modo, i motivi di
tutte le perdite subite dal nostro popolo, anche rispetto alle conquiste
più significative, costate aspre e tenaci lotte. La forza delle armi,
le leggi, la propaganda secondo cui, questo, sarebbe il migliore degli
Stati possibili: sono i mezzi di difesa dell' "Ordine delle
cose" e si chiama: il potere. Geymonat scrive: " se noi
chiediamo ad un rivoluzionario quali cose vorrebbe cambiare in
quest'Ordine egli risponderà: voglio cambiare tutto. Se invece ci
rivolgiamo ad un conservatore, più o meno dichiarato, egli dirà:
voglio apporre qualche modifica, applicare qualche riforma. Il che è
semplicemente impossibile e quindi è come voler dire: io non voglio
cambiare nulla . Geymonat scrive ancora: " un semplice esame di
quanto è accaduto e continuamente accade nello sviluppo della società,
ci dimostra che le iniziative di riformare l'ordine vigente o investono
la totalità di tale ordine o falliscono ". Geymonat sostiene di
schierarsi dalla parte dei rivoluzionari, proprio perché i loro
aneliti, sono scientificamente giusti. Geymonat afferma, inoltre, quando
la lotta per la totale trasformazione della società, è vittoriosa, le
conseguenze sono effettive e concrete. Anche in base a quanto
sopraddetto possiamo affermare, quindi, che la Libertà non è uno
status da difendere, ma, al contrario, essa è il frutto di una
conquista quotidiana. Geymonat scrive ancora: " i progetti di
destabilizzazione vanno difesi, quando mirino alla conquista della
Libertà ". Noi possiamo agire in questo senso, anche introducendo
i principi della filosofia materialista dialettica che comporta la
valorizzazione del movimento e della sua antitesi. Possiamo inoltre,
partecipare con la persona fisica a quei movimenti che contestano ordine
vigente. Geymonat scrive ancora: " la destabilizzazione dell'ordine
vigente, non costituisce soltanto un'espressione di autentica Libertà
ma è anche una porta aperta verso un'avventura di cui non si può
prevedere l'esito ". Ed è proprio per questo ignoto che fa leva il
potere, per esercitare il "Terrore" nei cambiamenti e
conservare il proprio status. Da parte di molti, pur riconoscendo i
difetti di "questo potere", viene l'affermazione di preferirlo
al "salto al buio", vecchio slogan, tuttora utilizzato.
Geymonat, si esprime con estrema chiarezza quando afferma: " ciò
che noi cerchiamo di combattere non è l'esistenza di un potere, bensì
la sua trasformazione in qualcosa di intoccabile, cioè della sua entità
metafisica… - ed ancora - difendere la Libertà significa difendere il
cambiamento o almeno, la possibilità di cambiamento ". La Libertà,
in qualunque modo la si voglia intendere, ha una sua dinamicità, che ha
il carattere di lotta. Libertà significa il perenne ampliamento,
approfondimento, analisi critica, discussione, potenziamento della
creatività… Noi ci auguriamo che queste importanti tesi, al di là
delle diverse maniere d'intendere e di accettarle, siano uno spunto
efficace per un serio dibattito, soprattutto tra coloro che intendano
collocarsi fuori dal pernicioso individualismo oscurantista, per fornire
alla società "moderna e scientifica", elementi utili al
civile progresso politico, culturale e quindi sociale, di tutta l'umanità.