Jenny Cardon |
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Cardon Jenny in Pejronel, anni 28, porta ordini V divis. G.L. Val Pellice, caduta durante combattimento coi fascisti nata a Torre Pellice, 1917 - caduta a Rio Cros (Torre Pellice), 26 aprile 1945 DECORATA DI MEDAGLIA DI BRONZO vedi 99 PARTIGIANE CADUTE IN PIEMONTE
vedi intervista a Maria Ariaudo
La Resistenza nel Pinerolese Nella storia
della storia della Resistenza, il Pinerolese, riveste una singolare
peculiarità: quella di aver ospitato, in aree diverse, ma già a partire
dai primi giorni dopo l’8 settembre, formazioni partigiane appartenenti
ad aree ideologiche differenti: quella comunista, quella azionista e
quella cosiddetta autonoma, proprio perché non rifacentesi ad una
particolare collocazione politica. Stanziatisi sui monti che circondano
Pinerolo, i partigiani, contrastarono, come vedremo, piuttosto
efficacemente l’avversario, giungendo in alcune aree (Val Pellice e
soprattutto Val Chisone), sebbene per brevi periodi, ad esercitare un
controllo completo del territorio. Una
storia della resistenza pinerolese non può dunque essere scritta se non
tenendo conto delle specificità che ognuna delle valli che gravitano
sulla città subalpina rappresentò; specificità dovuta alla
conformazione del territorio ed alle possibilità strategiche di ottenere
aiuti dalla popolazione, ma soprattutto dalla storia e dalla cultura dei
valligiani che decisero di combattere la guerra di liberazione dal
nazifascismo, tra i monti che li avevano visti bambini. G.L. e Garibaldini in Val Pellice
In Val Pellice i primi gruppi organizzati di "ribelli",
tranne poche eccezioni, presero nome dalle borgate in cui trovarono
rifugio e ospitalità all'inizio della loro esistenza. Nelle settimane
successive all'8 settembre la principale attività di queste bande fu di
recuperare, talvolta raggiungendo anche la vicina Val Po e la più lontana
Val Varaita, quanto più materiale possibile dalle numerose caserme,
casermette e polveriere abbandonate dall'esercito regolare. Tra
i gruppi più importanti che operarono in valle
occorre ricordare quelli di Bobbio Pellice, di Villar
Pellice e dei Chabriols. Il gruppo di Bobbio Pellice, comandato da
Abele Bertinat e da Giovanni Gay
"Gayot", ebbe la principale base d'appoggio a Serre di Sarsenà,
borgata a nord di Bobbio Pellice. A Villar Pellice sorsero invece numerosi
piccoli gruppetti: alla borgata Bess, allo sbocco del Vallone di Subiasco,
e alla borgata Bodeina si riunirono due squadre sotto il comando di Enrico Barolin e, per un breve periodo, di Antonio Prearo "Capun".
A Iraij era un altro gruppo al comando di Silvio e Alberto Baridon, mentre
alla frazione Soura, all'inverso di Villar Pellice, un piccolo
gruppo era comandato da Vittorino Giovenale e Ariolfo Charbonnier.
Ancora: al Ciarmis, frazione allo
sbocco del Vallone di Rospard, si costituì un gruppetto di contadini del
luogo comandati da Enrico Bouissa "lou Maire", detto anche
"Ricou del Ciarmis". Più a valle era il gruppo dei Chabriols,
conosciuto come il "Ventuno", dal numero di elementi che lo
costituì, guidato da Renato Poet "René", figura emblematica di
comandante partigiano. In
Val d'Angrogna, alla Sea di Torre, sulla cresta divisoria con la Val
Pellice, salì un gruppo di ex alpini
comandati da Telesforo Ronfetto "Pot", affiancato poi da Mario
Rivoir. Il gruppo del Sap - il più
eterogeneo - detto anche
banda "Rosselli",
ebbe come suo primo rifugio la borgata Sabin, nel fondovalle della
Val d'Angrogna, poco oltre Pra del Torno. Successivamente trasferì la
propria base più in alto, appunto alla borgata Sap e poi al Palai, e il
non facile comando fu affidato nei primi tempi a Sandro Delmastro, cui
succedettero Alberto Salmoni, Antonio Prearo ed Enzo Gambina. Alle Case
Bagnou, ai piedi del Monte Servin, si riunì il gruppo che - guidato da
Paolo Favout - assunse un ruolo determinante nel corso della lotta
partigiana: in esso militarono persone di solida formazione politica che
avevano già svolto attività antifascista, ebbe funzioni di coordinamento
tra le bande delle valli Pellice, Angrogna e Luserna, e contribuì in modo
determinante alla nascita di gruppi partigiani nella vicina Val Chisone e,
soprattutto, in Val Germanasca. Nella Val Luserna si erano intanto formati
due gruppi: quello stabilitesi in località Ivert (Uvert), sopra Rorà,
privo di una chiara collocazione politica e comandato da Lodovico
Chiambretto "Gianni"; e quello di Valentino Martina
"Tino", in un primo tempo al Colletto dei Rabbi e poi a Rorà.
Il gran
numero di
gruppi e
la loro
eterogeneità crearono notevoli problemi di organizzazione e, in
alcuni casi, persino di convivenza. Si comprese per presto che solo
coordinando gli sforzi si sarebbe potuto ottenere il miglior risultato
dalla lotta comune e si sarebbe guadagnata la fiducia della popolazione
civile. In quest'ottica venne istituito un comando unificato, e tra
discussioni e molti contrasti si individuarono alcune figure di
riferimento: Roberto Malan, coadiuvato da Paolo Favout, svolse
un'importante opera di collegamento e coordinamento, mentre, almeno agli
inizi, il comando militare fu affidato all'avvocato Vincenzo Giochino, ex
ufficiale di complemento. Ad
unire ancor più i vari gruppi contribuì la costituzione di un'unica
Intendenza, alla quale tutte le formazioni
dovevano fare riferimento e dalla quale tutte dipendevano per la loro
stessa sopravvivenza. Infine, altra questione assai delicata fu la scelta
del progetto politico di fondo e cioè, detto in termini molto
semplicistici, se lottare per salvare la monarchia o per far nascere una
repubblica. Il dibattito fu vivace e, per quanto
dato sapere, in Val Pellice si concluse a favore di uno stato
repubblicano e di un rinnovamento in senso democratico della società.
Divenne inoltre evidente l'importanza politica e militare di
mantenere costanti collegamenti e rapporti di collaborazione con le
formazioni operanti in zone limitrofe. Grazie alla mediazione di alcuni
contrabbandieri, già negli ultimi mesi del 1943 vennero effettuati
tentativi per stringere rapporti con i maquisard. Fu Barba David, 65 anni, probabilmente uno dei
contrabbandieri più anziani della valle, a propiziare il primo incontro
tra i partigiani della Val Pellice e i "ribelli" francesi al
Colle dell'Urina: per la Val Pollice partecipò Abele Bertinat, il
comandante del gruppo di Bobbio Pellice, e per i gruppi del Queyras il maquis Woehri, comandante della Gendarmerie di Abries. Durante i
successivi incontri si perfezionarono i dettagli di reciproca
collaborazione, utile soprattutto nei momenti di maggiore pressione
nazifascista. Al settembre del 1943 risalgono i tentativi di
collaborazione militare e politica anche fra i garibaldini della zona di
Barge e le formazioni G.L. della Val Pellice. Le due formazioni si
scambiarono commissari politici per diffondere le idee e sviluppare il
dibattito tra le diverse posizioni politiche; così, Emanuele Artom fu
inviato fra le bande garibaldine a portare il pensiero del Partito
d'Azione mentre Dante Conte si recò fra i gruppi in Val Pellice a esporre
i programmi del partito comunista. Poiché né l'uno né l'altro ebbero un
gran successo, gli scambi vennero presto interrotti. Il primo dicembre
del 1943 veniva
intanto compiuta la prima azione militare in Val Pellice: l'assalto alla
caserma di Bobbio Pellice, occupata dalla Milizia confinaria fascista. La
Milizia però, grazie ai rinforzi inviati dai comandi di Pinerolo,
respinse l'attacco dei "ribelli", catturò alcuni comandanti
partigiani e ferì a morte Sergio Diena, della banda del Sap. Il destino
volle che la lunga lista di morti in Val Pellice non si aprisse con un
cattolico o con un valdese, ma con un ebreo: Sergio Diena morì il 2
dicembre 1943, a 24 anni, e venne insignito della medaglia d'argento al
valor partigiano. Sul
finire del 1943 i partigiani garibaldini rifugiatisi sulle colline del
Montoso furono investiti da un violento rastrellamento che provocò
ingenti perdite. Per salvarsi, alcuni gruppi al comando di Vincenzo Modica
"Petralia" ripararono in Val Luserna, dove poi si stabilirono
definitivamente. A quel momento
risale una sorta di suddivisione del territorio in due distinte aree:
l'alta Val Pellice e la Val d'Angrogna
alle bande di G.L, aderenti al Partito
d'Azione, e la Val Luserna ai garibaldini. L'11 gennaio 1944 prese
avvio il primo rastrellamento: una colonna
di tedeschi, appoggiata da due aerei ricognitori, risalì la valle, furono
bombardate le borgate di
Sarsen e incendiate alcune case a Bessé, a monte di Bobbio Pellice. Forse
informati da delatori, i tedeschi si accanirono in particolare sul Monte
Castlus, perlustrandone minuziosamente il versante meridionale, a monte
dei Coppieri e dei Chabriols. In effetti, lì si era rifugiato il gruppo
del "Ventuno" che, per, evitò accuratamente qualsiasi contatto
con il nemico. Sempre nel gennaio del 1944, mentre stava rientrando dalla
Francia con un carico di contrabbando, un gruppo di quattro persone fu
arrestato nei pressi del Prà. Tra essi anche due partigiani: Pietro
Paolasso e Cesare Morel. I fascisti, pensando si trattasse solo di
contrabbandieri, ne decisero il trasferimento a Pinerolo sotto semplice
scorta di due militi e quattro carabinieri. Non appena si diffuse la
notizia, un gruppetto composto da Sergio Toja, Dino Buffa, Gianni Mariani,
Giovanni Nicola e Giulio Minetto si precipitò alla stazione di Luserna
San Giovanni per salire sullo stesso treno dove già si trovavano i
quattro prigionieri e la scorta. Alla stazione di Bibiana, Sergio Toja,
armi in pugno, intimò la resa. Ne seguì una violenta sparatoria: Toja e
due carabinieri rimasero uccisi, mentre i due militi fascisti e Mariani
riportarono gravi ferite. Mariani continuò il viaggio fino a Pinerolo,
quindi fu trasportato all'ospedale civile della città dove cessò di
vivere il giorno successivo. Sergio Toja, cattolico, 20 anni, morì il 24
gennaio 1944: figura di spicco già prima dell'8 settembre e coraggioso
comandante dell'Intendenza, il suo nome fu assunto dalla V divisione
alpina G.L fino alla Liberazione; Gianni Mariani, valdese, 18 anni, morì
il 25 gennaio 1944. Dopo la Liberazione, Toja verrà insignito della
medaglia d'oro, Mariani della medaglia di bronzo. Nella seconda metà di
gennaio le formazioni G.L. della Val Pellice decisero di trasferire parte
degli uomini nella vicina Val Germanasca dove, almeno apparentemente, gli
eventi seguiti all'8 settembre furono vissuti in modo distaccato. Le bande
della Val d'Angrogna considerarono l'opportunità - politica e militare -
di inviarvi propri uomini: a quelli del Bagnou si aggiunsero elementi
provenienti dagli Ivert, dalla Sea e dal Sap. Il
trasferimento ebbe inizio il 25 gennaio: una quarantina di partigiani
superarono la cresta che dal Gran Truc scende sul Colle Vacera e quindi la
Costa del Lazzarà raggiungendo Turinetto, dove si accamparono per qualche
giorno. Di lì proseguirono fino a Prali, neutralizzarono la scarsa
guarnigione e vi si stabilirono definitivamente. A metà febbraio giunsero
altri partigiani. L'operazione assunse dimensioni superiori al previsto e
la bassa Val Pellice rischiò di rimanere priva di uomini: dopo il
trasferimento in Val Germanasca, ben poco rimase dei gruppi del Bagnou,
degli Ivert, del gruppo comandato da Tino Manina, di quello del Sap e di
quello della Sea; la Val Luserna e la Val d'Angrogna si ritrovarono
pressoché sguarnite: nella prima rimasero solo i garibaldini
di "Petralia", la seconda venne presidiata da pochi
uomini. Intanto, il primo nucleo in Val Germanasca venne posto al comando
di Roberto Malan.
Successivamente in Val Germanasca giunsero
ancora altri gruppi, guidati da Paolo Favout "Poluccio", che diventerà comandante
militare, prima di quella valle e della bassa Val Chisone, poi
della brigata "Giustizia e Libertà" e,
successivamente, della V divisione alpina G.L.
"Sergio Toja".
Nel frattempo, per la notte del 31 gennaio si
decise un secondo attacco contro la caserma di
Bobbio Pellice. Il migliore coordinamento e esperienza maturata
permisero il successo dell'azione militare: gli aiuti giunti da Pinerolo
furono bloccati a rio Cros, dove si combatté violentemente, e la caserma
fu espugnata consentendo la cattura di una quarantina di
prigionieri. Nei giorni successivi i nazifascisti si accanirono
contro la popolazione con azioni di rappresaglia che terminarono solo con
lo scambio, al Piano del Teynaud, dei militi fascisti catturati dai
partigiani con i civili presi in ostaggio dai tedeschi. Dopo l'attacco, i fascisti
lasciarono di fatto sguarnita la valle nei comuni di Villar e Bobbio
Pellice, ed ebbe inizio quel
breve periodo in cui la Val Pellice
visse l'esaltante esperienza di "Italia libera": la parte alta
della valle, a monte di Santa Margherita,
era stata liberata dall'occupazione nazifascista.
Il periodo di tregua durò all'incirca un mese e mezzo, fino all'inizio
dei rastrellamenti del marzo
1944 quando, alle prime luci dell'alba del 21, reparti di SS iniziarono a
risalire le valli Pellice, Germanasca e Angrogna. Le formazioni
G.L. in Val Pellice e quelle garibaldine in Val Luserna tentarono
una disperata resistenza a Pontevecchio, alla Galiverga e a Villar Pellice,
ma alla fine i partigiani ripiegarono in quota cercando scampo nei
valloni laterali: i garibaldini in Valle Infernotto e in Val Po, le bande
della Val Pellice nel Vallone
di Subiasco e alla conca del Prà. Per queste ultime, l'unica possibilità
di sopravvivenza fu quella di
disperdersi in piccoli gruppi e cercare di nascondersi, sfruttando i
luoghi naturali meno accessibili: i pertus
(caverne, in genere di modeste dimensioni, con piccole aperture per
comunicare con l'esterno), i bars (cenge,
in genere difficilmente raggiungibili, poste nel mezzo di alte pareti
rocciose; il più caratteristico sicuramente
il Bars 'dia Tajola, posto sotto la cima del Monte Castlus, il quale
proprio perché troppo conosciuto, non venne utilizzato e le barme
(luoghi riparati sotto rocce strapiombanti), che già furono utilizzati
dai valdesi ai tempi delle persecuzioni religiose, divennero i principali
luoghi di rifugio anche per i "ribelli". Terminato il
rastrellamento, il 16 aprile i reparti di SS stanziati a Bobbio Pellice
lasciarono la valle. Il clima
più disteso
permise ai
"ribelli" di
costituire alcuni campi al Chiotas, alle Meisonette, alle Case
Cassul, a Pian Pra, dove riorganizzare i gruppi. D'altra parte
l'esperienza appena vissuta spinse ad abbandonare il progetto di liberare
dall'occupazione nazifascista una porzione del territorio per la
verificata impossibilità di riuscire poi a difenderlo. Si considerò
invece l'opportunità di costituire una linea di difesa lungo le alture
soprastanti Torre Pellice, con lo scopo di controllare da vicino i
movimenti sul fondovalle e di garantire una certa libertà di movimento
nelle zone più a monte. Tale linea si sviluppò lungo una direttrice che
dalla Val d'Angrogna, attraversando la Val Pellice, si estese fino alla
Val Luserna. Il fianco sinistro di questo schieramento fu disposto fra le
località di Barf, Sea di Torre, Monte Castlus, Roccia Corp, Ciaplet,
Vigna, Chabriois, per risalire quindi sul versante opposto della valle
verso le cave Bruard, la Brus, Pian Pra e Rocca Roussa. Nell'estate del
1944 la situazione generale militare si era modificata su tutti i fronti,
e all'orizzonte cominciò a delinearsi la disfatta dell'esercito tedesco.
Nell'Italia centrale gli eserciti alleati stavano progressivamente
guadagnando terreno e in giugno erano sbarcati sulle coste della
Normandia, scendendo verso sud. Per i nazisti divenne di vitale importanza
controllare tutti i valichi alpini per garantirsi la ritirata. Pertanto su
tutto l'arco alpino occidentale i nazifascisti avviarono operazioni
militari di vaste proporzioni per ritornare in possesso delle valli e
controllare così le principali vie di comunicazione con la frontiera. Dal
20 luglio venne condotto un poderoso attacco in Val Chisone contro le
formazioni autonome di Marcellin e le bande G.L. di Favout, a fronte del
quale l’1 agosto, a Pian
Pra, in Val Pellice, per alleggerire la pressione i comandanti
"Barbato", "Romanino", Milan, Prearo e
"Renato" decisero una comune azione di disturbo che prevedeva
l'attacco alle caserme di Bibiana, Bricherasio e, eventualmente, di
Cavour. L'operazione, iniziata nella serata del 3 agosto, non ebbe esito
positivo: al contrario, diede inizio a un imponente rastrellamento che tra
il 4 e il 10 agosto investì l'intera valle e la zona di Montoso. Il
risultato, nonostante fosse stato in precedenza studiato un piano di
difesa, fu il completo sbandamento del fronte partigiano: in quattro
giorni i nazifascismi raggiunsero il Prà, e in quelli successivi un
reparto di SS ucraine - i cosiddetti "mongoli" - si insediò a
Villar e a Bobbio Pellice dimostrando nei rapporti con la popolazione
ancor più ferocia e crudeltà degli stessi nazisti. Il
nuovo quadro,
con i
tedeschi (dal
settembre coadiuvati da alcuni reparti di alpenjaeger)
a presidiare la testata della valle e i maggiori centri abitati per
controllare saldamente e a qualunque costo le vie di comunicazione verso
la Francia, determinò una svolta radicale nel modo di concepire la lotta
partigiana. Per evitare ulteriori sofferenze alla popolazione civile, e
per cercare di diminuire la presenza nazifascista, in Val Pellice non
furono più intraprese operazioni militari e, per quanto possibile, si
evitò ogni scontro con il nemico. La lotta si spostò dalle montagne alla
pianura, si passò cioè da una guerra basata sull'occupazione
territoriale a una guerra di guerriglia. Furono costituite squadre
caratterizzate da rapidità di attacco e agilità di sganciamento per
ritornare a nascondersi nella macchia: piccoli gruppi, rapidi e decisi,
per audaci azioni di disturbo e di sabotaggio contro magazzini e depositi,
strade e ferrovie, ponti, centrali elettriche e fabbriche di interesse
militare. Dal gennaio 1945 questi gruppi di sabotatori si organizzarono
nel GMO (Gruppo Mobile
Operativo), unità composta da squadre
trasferitesi in pianura della V divisione
alpina G.L. "S. Toja" e della IX divisione G.L.
Della prima entrarono a far parte la brigata Superga "B. Balbis", al comando di Bruno
Cesan, la brigata Tanaro "G. Giayme", comandata da Gianni
Bandioli, e la brigata Dinamite "G.
Augello", proveniente dalla Val Germanasca e comandata da Adriano
Lanzerotti, alle quali si unì il gruppo Celere "Aldo Brosio"
della IX divisione. Il comando del GMO, che arrivò a contare oltre 1500
partigiani, fu affidato a elementi provenienti dalla Val Pellice: Riccardo
Vanzetti, comandante, Giorgio
Rolli, vicecomandante, Carlo Mussa, commissario di guerra, Marcello
Paltrinieri, capo di stato maggiore. Nello stesso periodo la V
Divisione Alpina G.L. “Sergio Toja” definì la sua struttura
organizzativa. Il comando fu assunto da Paolo Favout “Poluccio”, con
Roberto Malan commissario di guerra e Gino Ceccarini capo di Stato
Maggiore. Essa fu composta da quattro brigate ciascuna a sua volta
suddivisa in tre battaglioni.
La Brigata Val Pellice "Peo Regis"
comandante “René" Pöet
e commissario di guerra Federico Balmas "Fredino", la brigata
Val Germanasca "Willy Jervis" (comandante Giovanni Costantino e
commissario di guerra Archimede Modenese "Medino"), la brigata
Vigone "Dino Buffa" (comandante "Meo" Demaria e
commissario di guerra Giulio Giordano) e la brigata Intendenza "Lino
Dagotto" (comandante Bruno Vaglio). Alla fine del mese di marzo si
ebbe poi l'unificazione del comando delle forze partigiane nel Corpo
Volontari della Libertà. Il territorio fu suddiviso in zone e la V
divisione alpina cambiò la denominazione in XLV divisione alpina G.L.
rientrando sotto il comando della IV Zona. Quest'ultima si
estendeva dalla Val di Susa alla Val Pellice e al
suo comando fu posto Antonio Guermani "Tonino", con
commissari di guerra Osvaldo Negarville per le formazioni garibaldine, e
Roberto Malan per le formazioni G.L. Quest'ultimo, nel suo incarico di
commissario di guerra della V divisione alpina, fu sostituito da Aldo
Guerraz "Verdi". Frattanto, fin dal settembre del 1944 i
partigiani rimasti in Val Pellice avevano iniziato a proteggere la
popolazione civile contro i soprusi quotidiani dei nazifascisti
appoggiando le giunte comunali clandestine e facendo rispettare le leggi e
i regolamenti da queste emanati. Fino alla Liberazione in valle non si
ebbero più scontri armati di una certa importanza, se non sporadiche
scaramucce, atti di vile rappresaglia e incursioni di repubblichini. Nel
marzo 1945 le truppe tedesche furono sostituite da tre compagnie di
bersaglieri della divisione "Littorio" e da due compagnie di
soldati austriaci, che proseguirono nell'opera di fortificazione della
valle. Ma il temuto scontro con le truppe alleate, attestate al di là del
confine, non avvenne e il 23 aprile le truppe dislocate in Val Pellice
ricevettero l'ordine di abbandonare le posizioni. Durante la ritirata
verso la pianura, ostacolata e rallentata dai partigiani, perse la vita la
staffetta partigiana Jenny Cardon,
sorpresa e catturata dai tedeschi durante uno degli ultimi combattimenti,
poi decorata con la medaglia
di bronzo. Il 26 aprile tutti i reparti tedeschi erano ormai concentrati
tra gli Airali di Luserna San Giovanni e Torre Pellice, pronti ad
abbandonare la valle; da parte
dei "ribelli" si tentò ancora di negoziare la resa incondizionata, che venne comunque rifiutata. Il 27
aprile iniziò l'ultima battaglia. L'obiettivo dei partigiani era quello
di tenere impegnati gli avversari e impedire loro di ripiegare su Torino
per unirsi agli altri reparti. Durante tutta la giornata, le autocolonne
nemiche furono colpite e disturbate dai colpi di mortaio da 81 mm dei
"ribelli". La ritirata dei nazifascisti, incalzati sempre più
da vicino dai garibaldini della Val Luserna e dai G.L. della
brigata "Val Pellice", col trascorrere delle ore si trasformò in una fuga disordinata. Alle ore 21 del 27 aprile
i partigiani ebbero ragione delle ultime
resistenze ed entrarono in Torre Pellice: la Val Pellice era
liberata. Le bande G.L. della Val
Germanasca Incapace
di dare origine ad un movimento resistenziale autonomo la Val Germanasca,
cominciò a diventare oggetto d'interesse per le bande partigiane soltanto
nel gennaio 1944 quando, alcuni ufficiali
delle brigate G.L. della vicina Val Pellice (e tra questi Sergio Toja,
Roberto Malan ed il col. Vincenzo Ciochino), non
si recarono a Prali per studiare le possibilità di sfruttare la
zona, assai impervia ed adatta alla conduzione della guerriglia
in montagna. In realtà
già alla fine dell'anno precedente, nel vallone di Pramollo, una specie
di enclave racchiuso tra i corsi del Pellice e del Germanasca ed il basso
bacino del Chisone, si era organizzata
una piccola banda, composta da elementi locali e da patrioti provenienti
dal gruppo del Bagnòou (cfr. introduzione storica alla val Pellice), che
aveva attrezzato la propria base nei boschi che ammantano il valloncello
della Gran Comba, discendente dal M. Gran Truc. Se
si dovesse fissare una data ufficiale per segnalare
l'inizio della guerra di liberazione in Val Germanasca, tuttavia,
bisognerebbe indicare il 25 gennaio 1944 in quanto, in
questo giorno, una
colonna di circa 50 patrioti, agli ordini di Poluccio Favout, si
mosse dalla Val d'Angrogna (vallone tributario del
Pellice), per prendere posizione a monte di Chiotti, nel
valloncello di Riclaretto. Di qui, il gruppo effettuò alcune azioni
andate a buon fine quali gli
assalti ai presidi di Prali (Milizia) e di Perrero (Carabinieri)
e si diede un'organizzazione per bande, dislocate in tutti i
valloni tributari del Germanasca e nella valle Principale. In particolare,
furono organizzate basi nella zona di Prali, ove si provvedeva anche ad
addestrare le nuove reclute, a Perrero, a Comba Garino, mentre il Comando
fu allestito presso le miniere di talco della Gianna, una specie di
fortezza naturale ove
la valle si restringeva notevolmente. Per
quanto meno illustre rispetto a quella della vicina Val Pellice, la storia
della Resistenza in Val Germanasca fu contrassegnata dalla presenza di
figure illustri quali i commissari politici
Emanuele Artom e Jacopo Lombardini, catturati al Col Giulian nel marzo
1944 e Willy Jervis, membro del Comitato Militare Piemontese del Partito
d'Azione e responsabile dei collegamenti tra il Comando della Val
Germanasca e Torino. I primi due, dopo l'arresto, furono l'uno ucciso dopo
inimmaginabili torture (Emanuele
Artom, oltre essere partigiano era anche ebreo), l'altro
inviato al lager di
Mauthausen, ove morì di stenti pochi
giorni prima della
liberazione. Willy Jervis, invece, catturato all'inizio del marzo 1944,
con materiale compromettente nei pressi di
Bibiana, fu interrogato
e torturato per mesi, fino a quando, il 5
agosto dello stesso anno, non venne fucilato ed esposto impiccato,
come tragico monito
alla popolazione, sulla piccola piazza di
Villar Pellice; da lui
prese il nome la Brigata G.L. della Val
Germanasca. Il
17 febbraio 1944, data particolarmente significativa per i valdesi
(quasi tutti i partigiani della zona e della vicina
Val Pellice erano protestanti) in quanto ricorda l'emancipazione
che questi ottennero da Re Carlo Alberto nel 1848, i partigiani
della Val Germanasca,
effettuarono la loro azione più clamorosa.
Agli ordini di
Poluccio Favout, una cinquantina di uomini scese in bassa
Val Chisone ed occupò tutti i villaggi compresi tra Perosa Agentina e
Pinerolo. Dopo aver mandato a monte la
cerimonia di
giuramento dei carabinieri
della R.S.I., distrutto le liste di leva dei vari Comuni e requisito viveri e medicinali, i
partigiani si ritirarono in buon ordine, lasciando sul campo solo 2 morti,
uccisi dai tedeschi giunti d'improvviso. Dopo aver subito alcuni
rastrellamenti particolarmente duri come quelli
della seconda metà di marzo e della prima metà di
agosto 1944, dei quali
fecero le spese anche parecchi civili, i
partigiani della Val Germanasca intensificarono le loro azioni in
pianura, ove era più facile
disperdersi in caso di rastrellamento.
Suddivisi in piccole squadre di circa 10 uomini, gli uomini della "Willy
Jervis" operarono nella zona compresa tra i paesi di
Campiglione, Fenile,
Cavour, Vigone, Scalenghe, Vinovo e
Piobesi, dislocati tra la prima e la seconda cintura torinese. Qui
i partigiani, più che ad
azioni mirate a colpire direttamente i
nazifascisti, operarono sabotando installazioni industriali o
ferroviarie, creando scompiglio tra le file nemiche e mettendo
l'esercito occupante in seria difficoltà. In particolare vanno ricordate
le azioni
di sabotaggio delle linee
ferroviarie Airasca-Saluzzo,
nei pressi di Villafranca e Torino-Pinerolo, la
distruzione di alcuni macchinari nelle officine R.I.V. di Pinerolo
(dopo il bombardamento del
gennaio 1943 la fabbrica era stata spostata in capannoni di fortuna a Pinerolo) ed il
sistematico danneggiamento di
tratti di strada, ponti, linee telegrafiche ed
elettriche. La guerriglia in pianura vide i partigiani G.L. operare
a stretto contatto con i Garibaldini di Petralia
e Barbato, provenienti dalla Val
Luserna e dalle valli di Barge e Bagnolo. I rapporti con questi patrioti
non furono sempre "idilliaci", ma tutto sommato decisamente
migliori rispetto alla fase in cui si combatteva lungo le vallate alpine.
Qui, infatti, malgrado permanessero le divergenze politiche, non si
trattava più di disputare il cibo e
l'armamento con le bande dislocate nelle vicinanze, in quanto
i lanci ed i
rifornimenti erano egualmente distribuiti per tutti, grazie
all'organizzazione capillare che il Comitato Militare
Regionale Piemontese aveva saputo mettere in piedi. Gli Autonomi in val
Chisone I
primi nuclei armati di resistenti, lungo il corso del Chisone, si
organizzarono già dal pomeriggio del 9 settembre 1943, in
seguito allo scioglimento del reparto del btg. alpino
Fenestrelle di stanza nell'omonimo villaggio dell'alta valle.
Attorno ad alcuni
uomini di particolare carisma, quali il cap. Gros di
Fenestrelle, Maggiorino Marcellin di Sestriere ed il parroco di Sestriere
Borgata, don Bernardino Trombotto, si raccolsero alcuni alpini sbandati, che diedero vita ad un primo gruppo
partigiano, che venne inizialmente denominato "Val Chisone".
Subito il piccolo nucleo di armati si diede a rastrellare armi e
munizioni, nelle innumerevoli casermette collocate lungo il crinale
spartiacque Susa-Chisone e Susa-Guil, abbandonate dopo l'armistizio dai
vari presidi della G.U.F. o dell'esercito regolare.
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