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mer, 14 ott @ 20:52 |
LA
INNSE E\' RIPARTITA
Pubblicato in:: Numero617-09 |
Ieri gli operai della INNSE sono stati tutti riassunti, 12 sono rientrati a
lavorare, gli altri sono in cassa integrazione finchè saranno rimesse in moto le
macchine smontate da Genta e finchè non verranno completate le operazioni di
manutenzione straordinaria della fabbrica.
Questo rientra negli accordi con il Gruppo Camozzi che ha rilevato l’INNSE.
Oggi è arrivato come primo lavoro una traversa di 20 tonnellate, già scaricata. Anche
il cortile esterno si sta rigenerando: muratori, elettricisti, potatori e tagliaerbe,
camion e furgoni sono all’opera per mettere fine all’incuria degli ultimi anni
targati Genta.
La partita con Genta non è ancora chiusa, oggi in Prefettura a Milano alle 15,30 una
delegazione di operai INNSE s’incontrerà con Genta, quest’ultimo dovrà spiegare al
prefetto perché non vuole saldare ai suoi ex dipendenti i salari arretrati.
Nell’incontro in prefettura le RSU e la FIOM chiederanno al Prefetto il ritiro delle
decine di multe arrivate ai sostenitori della INNSE, per il blocco della tangenziale
Est. In caso di risposta negativa, il serpeggiante fermento troverà spazio e modo di
esprimersi, non più in modo sommesso come lo è in questa fase d’attesa dell’incontro
odierno.
Saluti a muso duro dai cancelli della INNSE in lotta
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ven, 02 ott @ 06:50 |
INNSE:
TUTTI GLI OPERAI RIASSUNTI
Pubblicato in:: Numero610-09 |
Il 12 Ottobre, la fabbrica riparte.
Alla mezzanotte del 30 settembre 2009, in Prefettura a Milano è stato raggiunto il 3°
accordo. E’ l’ultimo pezzo che chiude il cerchio e rende operativo l’accordo quadro
tracciato il 12 agosto 2008, quando i 4 operai scesero dal carroponte.
Tutti gli operai della INNSE saranno riassunti alle stesse condizioni salariali e
normative che avevano prima del licenziamento il 31 maggio 2008, compreso il premio
di produzione. In più con la prima busta paga ogni operaio prenderà un incentivo
d’ingresso di 2.500 euro lordi.
L’INNSE riparte il 12 ottobre, con un primo gruppo di operai, gli altri passeranno
dalla mobilità alla cassa integrazione, con un integrazione mensile di 250 euro lordi
e rientreranno in fabbrica mano mano che sarà rimontato il macchinario smontato da
Genta, l’infausto padrone uscente che con il suo operato contro gli operai, ha messo
in cattiva luce la categoria dei rottamai.
La giornata di ieri è stata ad alta tensione, come spesso è successo in questi 16
mesi di lotta.
Al mattino gli operai della INNSE hanno occupato la sede dell’Aedes, che fino
all’ultimo ha giocato al rialzo, nonostante l’impegno preso col Prefetto il 12
agosto. Presidente e vicepresidente dell’Aedes sono intervenuti negli uffici occupati
per placare gli animi degli operai, pronti ad occupare l’INNSE, in risposta ad un
eventuale fallimento della trattativa, doppiamente inaccettabile dopo l’accordo del
12 agosto.
La protesta si è spostata nel pomeriggio sotto la prefettura dove riprendeva la
trattativa, il cui termine ultimo per arrivare all’accordo era stato fissato proprio
entro la mezzanotte di ieri. E a cavallo della mezzanotte è arrivato l’accordo.
Tra i contraenti, Aedes, Comune di Milano, Camozzi, quest’ultimo nuovo padrone della
INNSE, ha chiesto agli operai che presenziavano sotto la Prefettura, di prendere
visione dell’accordo. A questo punto una delegazione di operai è salita dal Prefetto
per accertarsi che, tra i contenuti dell’accordo vi fosse la data del riavvio
produttivo: il 12 ottobre 2009. All’ una di notte la delegazione con gli operai e i
sostenitori è tornata alla INNSE, con in tasca il risultato tenacemente perseguito
per 16 mesi: la ripresa produttiva della fabbrica e la riassunzione dei 49 operai.
Oggi questo risultato è sulla carta sottoscritto da tutti i contraenti, il presidio
alla INNSE, proseguirà finché la ripresa produttiva sarà in atto.
Oggi 1° ottobre, è stato assunto il primo operaio a cui scadeva l’anno di mobilità.
Il riavvio della produzione scatta il 12 ottobre con la riapertura della INNSE.
Saluti a muso duro dai cancelli della INNSE in lotta.[
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gio, 01 ott @ 17:31 |
LA
LOTTA DELL’INNSE, UNA VITTORIA ANNUNCIATA
Pubblicato in:: Numero609-09 |
VOLANTINO DISTRIBUITO ALLA FIAT DI CASSINO
La lotta dell’INNSE ha tenuto banco sui media per tutta l’estate, ora i sindacalisti
compromessi e la piccola borghesia chiacchierona fanno a gara per denigrare o
snaturare la reale portata di questa lotta vittoriosa.
Altri operai hanno cercato di imitare le ultime iniziative degli operai milanesi.
Il risultato è stato diverso, alcuni operai hanno ottenuto qualcosa, altri
assolutamente niente!
Ma cosa è realmente successo all’INNSE? Può essere questo tipo di lotta adottato da
altri operai e soprattutto quale insegnamento possono gli operai ribelli trarre da
questa esperienza di lotta?
Non ci sono state formule magiche che hanno permesso agli operai dell’INNSE di
vincere, dopo quindici lunghi mesi di mobilitazione. Dietro alla loro vittoria ci
sono tre semplici punti fermi:
ORGANIZZAZIONE, DETERMINAZIONE, INDIPENDENZA OPERAIA
La vicenda dell’INNSE è rimbalzata improvvisamente all’attenzione di tutti in pieno
agosto, attraverso le immagini dei quattro operai arrampicati sul ponte, ma la loro
lotta è cominciata quindici mesi prima, quando per contrastare la chiusura della
fabbrica, e lo smantellamento dei macchinari, i 50 operai coinvolti, non si sono
arresi a questa decisione del padrone, e rifiutando qualsiasi accordo, che avrebbe
solo allungato di poco la loro agonia, hanno organizzato il presidio davanti alla
fabbrica, resistendo tenacemente giorno e notte alle condizioni climatiche avverse e
soprattutto, agli assalti della polizia mandata dal padrone. Hanno mantenuto un
altissimo livello di vigilanza, affinché i macchinari non fossero smontati e la
fabbrica chiusa.
Producendo per i primi tre mesi e mezzo per loro conto, hanno dimostrato che la
fabbrica era ancora funzionante e che sulla loro pelle si volevano fare anche
speculazioni milionarie da parte del padrone e dell’AEDES, con il beneplacito delle
autorità locali. Hanno gestito direttamente le trattative con il padrone uscente e
con il nuovo compratore. Mantenendo il pieno controllo anche sui dirigenti sindacali,
dettando loro le condizioni per l’unico accordo che erano decisi a siglare, e in
pratica o tutti dentro la INNSE o niente. E così è stato!
Molte volte per giustificare il proprio immobilismo, alcuni operai si nascondono
dietro il fatto che sono pochi, divisi, nelle diverse sigle sindacali, grosse o
piccole che siano. Questa è solo una scusa! L’INNSE lo ha dimostrato, quello che
conta è l’unità degli operai, il loro costituirsi in una comunità compatta che lotta
contro il padrone, che è capace di mettere in discussione modi di fare sindacato e
fare politica che hanno prodotto solo sottomissione, licenziamenti, smantellamento di
fabbriche. Per aver realizzato praticamente questa cosa, l’esperienza degli operai
della INNSE diventerà una pietra miliare; l’esempio più significativo delle lotte
operaie in Italia negli ultimi decenni.
Cosa sta succedendo nelle altre fabbriche? Cosa stanno facendo gli altri operai, per
contrastare e resistere agli attacchi della crisi, che ora nella sua fase più
critica, provoca chiusura delle fabbriche, licenziamenti. Fare come l’INNSE, non
abbandonare le fabbriche, toccherà ai padroni trovare soluzioni e se non le possono o
vogliono trovare, si manifesterà senza dubbio il loro fallimento totale e agli operai
non rimarrà altra possibilità che superare questo modo di produzione e di scambio
fondato sul profitto.
Operai, non c’è più tempo da perdere, non c’è più nulla da perdere, a tutti quelli
che ora ci vorrebbero accodati dietro la loro bandiera, per dare una mano ai padroni
per uscire dalla crisi, usandoci come carne da cannone, rispondiamo, facciamo come
gli operai dell’INNSE, facciamo in proprio!!
Sezione Lazio DI OPERAI CONTRO
Ottobre 2009
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“La
lotta di classe riparte dalla INNSE”,
lo striscione nello stadio di Livorno con
questa scritta riassume in poche parole quello che sta succedendo nelle
ultime settimane in Italia.
Finora, la ribellione operaia non si manifesta
in uno scontro classe contro classe, con potenti manifestazioni di piazza
e sciopero generale ad oltranza. Ma c’è qualcosa che al potere fa molto
più paura di qualsiasi sciopero generale di alcune ore o magari un
giorno, indetto dalle centrali sindacali. Quello che manda in bestia il
governo e fa arrampicare agli specchi i partiti di destra e di sinistra è
l’autonomia delle lotte operaie. Non hanno chiesto permesso a nessuno, né
i lavoratori licenziati della società Elettra saliti sul Maschio Angioini,
uno dei simboli di Napoli, dicendo semplicemente che “rivogliamo il
nostro lavoro”, né gli operai della Lasme di Melfi, azienda
dell'indotto Fiat che produce alzavetri elettrici per auto, che hanno
occupato la fabbrica, e sette di loro, spazzando via il blocco delle forze
dell’ordine, sono riusciti a raggiungere il tetto dello stabilimento.
Sono soltanto due esempi di parecchi altri che si stanno verificando in
Italia dopo la vittoria degli operai dell’INNSE. Tra tutte queste
proteste c’è anche la lotta degli insegnanti precarie di Benevento,
dove alle ore 11 del sabato, 29 agosto 7 donne sono salite sul tetto del
provveditorato agli studi di Benevento, tutte docenti precarie con oltre
10 anni di insegnamento alle spalle, per iniziare un'occupazione ad
oltranza. "Faremo come gli operai dell'Innse, scenderemo da qui solo
quando avremo una risposta concreta contro i licenziamenti e la
disoccupazione" afferma Elvira, una delle insegnanti sul tetto. Le
donne hanno installato un gazebo sul tetto per proteggersi dal caldo
soffocante ed hanno scorte alimentari sufficienti per resistere per
diverse settimane. Altre decine di docenti, insieme agli attivisti del
centro sociale Depistaggio, militanti del sindacalismo di base, stazionano
fuori l'edificio, anche per dissuadere eventuali azioni repressive da
parte delle forze dell'ordine. Insomma, a Benevento hanno preparato tutto
per una lunga resistenza come all’INNSE. Ma questa volta non ne parlano
i TG della RAI. Non ci sono le telecamere, e questo per un motivo molto
semplice: è stato proprio il giorno prima che Giuliano Cazzola, vice
presidente della commissione lavoro della Camera e responsabile Lavoro del
Pdl ha affermato che “la deriva della spettacolarizzazione delle lotte
operaie va interrotta al più presto”, concludendo che “purtroppo c'è
un solo modo per far cessare questa spirale ingovernabile: spegnere le
telecamere”. Per soffoccare le lotte operaie però non basterà spegnere
le telecamere, né mandare un esercito di polizia come alla INNSE. Neanche
la censura della stampa potrebbe evitare che le notizie si spandino
velocemente tramite internet. Che il governo Berlusconi, dunque, si
informi dal presidente del Iran come fare per impedire anche il traffico
elettronico! Di tutti i modi è importantissimo costruire ed allargare una
rete internazionale di solidarietà con le lotte operaie. In allegato
qualche documento arrivato dalla Francia sulla lotta degli operai UTI/CONTINENTAL.
Del resto, l’incontro del 12 settembre a Bellinzona, organizzato dal
comitato di sciopero delle Officine, è un’ottima occasione per
conoscere operai e lavoratori combattivi di vari paesi, tra cui
naturalmente anche quelli dell’INNSE. - rth - per mettersi in contatto
con il COMITATO INSEGNANTI PRECARI di Benevento: +39 3346976405 (Daniela
Basile, una delle insegnanti del CIP sul tetto) -
http://www.rassegna.it/articoli/2009/08/28/51199/continua-la-lunga-estate-della-pro
testa-operaia - http://www.rassegna.it/articoli/2009/08/28/51195/lotte-operaie-cazzola-pdl-spegnere
-le-telecamere
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dom, 30 ago @ 07:38 |
LA INNSE HA FATTO SCUOLA
Pubblicato in:: Numero596-09 |
Pesaro: operai sulla gru
Il 25 agosto dieci operai di un cantiere navale salgono su una gru per protesta. E'
l'ultimo caso dell'estate.
Potenza: sette operai sul tetto
Sette operai della Lasme, azienda di Melfi (Potenza) che produce per la Fiat e che
nelle settimane scorse ha deciso di chiudere, hanno trascorso la notte del 25 agosto
sul tetto della fabbrica. leggi ...
Cuneo: operai presidiano fabbrica
Il 24 agosto gli operai della cartiera ex Cdm di Verzuolo (Cuneo), presidiano
l'ingresso dello stabilimento. Lo scopo è sensibilizzare l'opinione pubblica sui
problemi che sta attraversando l'azi...
Roma: operai su torre lavorazione
Sette operai della ditta di lavorazione di premiscelati per l'edilizia Cim salgono la
mattina del 10 agosto su una torre di lavorazione alta circa 50 metri a Marcellina,
in provincia di Roma. Gli operai protestano contro la vendita del terreno comunale
dove sorge l'azienda. Tre giorni dopo scendono: il Comune ha sospeso l'ordinanza di
sgombero. leggi l'articolo
Milano: operai della Innse sulla gru
Cinque operai della Innse Presse di via Rubattino a Milano, il 4 agosto, protestano
contro la chiusura dello stabilimento e si arrampicano su una gru alta circa dieci
metri. scendono otto gironi dopo quando l'azienda viene comprata dal gruppo Camozzi.
Roma: vigilantes sul Colosseo
Durante una manifestazione dei dipendenti dell'Istituto Vigilanza Urbe al Colosseo,
contro la privatizzazione dell'azienda che metterebbe a rischio 300 posti di lavoro,
sette lavoratori hanno raggiunto il terzo anello del monumento. Scendono due giorni
dopo, quando ottengono un tavolo di trattativa col governo. leggi l'articolo
Napoli: operai sul Maschio Angioino
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EDITORIALE |
di Loris Campetti
AUTUNNO IN CALDO
L'autunno caldo è già iniziato, scrivevamo otto giorni fa commentando la
lotta dei 49 operai della Innse. Tre giorni dopo, in ore non sospette,
titolavamo in prima pagina «Quando vince l'operaio». Troppo ottimismo,
ci era stato contestato e invece avevamo ragione noi per un motivo molto
semplice: avevamo capito che quel nucleo operaio che non si accontentava
di uno stipendio e un altro lavoro quali che fossero, o di un
prepensionamento, ma voleva salvare il «suo» lavoro, la «sua»
fabbrica, il «suo» territorio, avevano dalla loro sia la ragione che la
forza. E anche, cosa che non guasta, un sindacato come la Fiom - di
servizio, in senso nobile - disposto ad ascoltare la sua gente, a
condividerne anche fisicamente lotte e sacrifici, a rappresentarla e a
sottoporre qualsiasi ipotesi di accordo al suo giudizio. Il nucleo operaio
dell'Innse, ai cancelli e sul carro ponte, non ha vinto solo per sé e
manda un messaggio all'insieme del mondo del lavoro e a una parte di
società sconfitta ma non pacificata: si può cambiare lo stato di cose
presenti, e si può fare insieme. Persino nella latitanza - quando non
ostilità - di gran parte della politica.
Avevano la ragione dalla loro, quei 49 operai, e durante 14 mesi di lotta
ostinata quanto razionale si sono costruiti anche la forza, che risiede
nella solidarietà generale. Si sono fatti capire da tutti, non hanno
fatto la fine dei combattenti giapponesi nella giungla. Hanno bucato il
video senza però farsi fagocitare dalla prepotenza mediatica. Non hanno
accettato l'accordo all'ora giusta per apparire sul Tg3, hanno preteso di
discutere punto per punto la bozza portata dai sindacalisti, hanno fatto
notte, hanno «imposto» ai loro rappresentanti di tornare alla trattativa
con un mandato: migliorare due o tre punti contestati dell'accordo. Con le
armi dell'unità, della lotta e della democrazia, hanno vinto.
L'accordo siglato dopo la mezzanotte alla Prefettura di Milano salva -
insieme alla professionalità operaia e a una grande storia industriale
iniziata con i tubi Innocenti, la Lambretta e le automobili - un pezzo di
territorio milanese aggredito da una speculazione edilizia che tutto rade
al suolo al suo passaggio, storie, vite, culture, disegnando un futuro
senz'anima e senza solidarietà.
Soprattutto, però, la vittoria degli operai dell'Innse, insegna.
Riconsegna il futuro nelle mani di chi è disposto a lottare per
costruirselo, con gesti tradizionali e con gesti radicali, sempre con
scelte generose, collettive, coinvolgenti. È giusto interrogarsi sulle
forme di lotta, sulla spontaneità, sulla radicalità del conflitto, in
una stagione in cui la violenza della crisi talvolta spunta la lancia
dello sciopero, con i lavoratori in cassa integrazione, o peggio. Più
urgente sarebbe però interrogarsi sul lavoro e la sua rappresentanza e
sulla scomparsa dell'uno e dell'altra dall'agenda dell'«opposizione»
parlamentare. Un'opposizione che oggi è capace solo di chiedere alla Cgil
di rientrare nei ranghi, firmare accordi indecenti con padroni e governo,
diventare finalmente un sindacato complice come hanno scelto di essere
Cisl e la Uil. O come l'Ugl. Se l'estate è stata calda, vedrete
l'autunno.
di Alessandro Braga -
MILANO
TUTE GRU
L'Innse è libera Hic sunt leones
The day after. Dopo il successo in via Rubattino
continua la festa. Parlano i 5 scesi dalla gru che vengono accolti come
eroi. La Innse è un esempio per altre fabbriche in lotta
Era ora. Davvero. Questa giornata la si è aspettata fin troppo. Sembrava
non arrivare mai. Più volte sfiorata, più volte vista svanire all'ultimo
momento. Era lì a un passo, da giorni. Eppure... Eppure c'era sempre
qualcosa a mettersi di mezzo. Come quando tendi la mano nel sonno per
afferrare qualcosa che ti piace e che hai lì davanti, e poi ti svegli
all'improvviso e ti ritrovi come un imbecille con la mano protesa in aria,
verso il vuoto. E speri solo di riaddormentarti, per tornare lì, a quel
punto, che questa volta è la volta buona. Ma adesso basta. Adesso in via
Rubattino nessuno vuole più riaddormentarsi, sono tutti ben svegli. Perché
adesso quello che tanto volevano è diventato realtà.
Finalmente è il giorno delle pacche sulle spalle, degli abbracci. Dei
sorrisi distesi e rilassati. Del «forza compagni che ce l'abbiamo fatta»
e del «grandi, grandi tutti». Oddio, a dire la verità, è anche il
giorno degli occhi rossi e delle poche ore di sonno, delle rughe più
marcate e delle facce stanche. Ma chissenefrega. Ieri alla Innse erano
tutti bellissimi, alla faccia di veline e tronisti.
E poi, gli occhi rossi sono un po' anche il retaggio della notte prima. Di
quell'ora, zero-zero-ventiquattro, che resta ancora impressa nelle
pupille. Quando Luigi, Fabio, Massimo, Vincenzo e Roberto sono scesi dal
carroponte e sono usciti dal capannone. Da vincitori. Erano entrati di
soppiatto, furtivi, quasi ladri a casa loro. Escono dalla porta
principale, come dei re. Come quello che poi in realtà sono, i padroni di
casa. Che alla faccia di «padron» Genta e della sua cupidigia, i veri
padroni sono loro, gli operai. Perché il padrone di casa la sua
abitazione la ama. Quando decide di cambiarla, non lo fa mai a cuor
leggero. Perché con la magione venderebbe anche i suoi ricordi. Uno
speculatore invece no, a quello interessa solo l'odore dei soldi. La
differenza tra Genta e i suoi (per fortuna ex) dipendenti sta tutta qui.
Davanti ai cancelli della Innse sembra ancora di sentire l'eco dei cori
della notte precedente. «Vittoria, vittoria, vittoria», scandivano tutti
insieme, mentre i cinque «gruisti» erano sommersi dagli abbracci di
mogli, sorelle, figli, compagni. «Giù le mani dalla Innse, giù le mani
dalla Innse». Le hanno tolte le loro zozze manacce. Adesso è tornata in
mano loro. Degli operai. Manco alla festa scudetto dell'Inter si è visto
tanto tripudio. Gente che si abbracciava, spontanea, senza neanche
conoscersi. Che poi, dopo dieci giorni dalla mattina alla sera sempre
insieme, anche se non sai il nome di chi ti sta accanto un po' lo conosci
lo stesso. Perché ti senti parte di una storia comune. E allora via alle
lacrime, chi a dirotto, chi trattenute, e «chissenefotte» se erano anni
che non ti facevi vedere piangere manco dai tuoi genitori.
Ieri sul gabbiotto della portineria della Innse sventolava uno striscione:
«Hic sunt leones». Dentro, c'erano i leoni davvero. Quelli che in questi
lunghissimi mesi di lotta non hanno mai mollato, e hanno difeso con le
unghie e con i denti la loro «creatura». Angela ha riportato i suoi
attrezzi da cucina al coperto, e ha cucinato, ancora una volta, per tutti.
Ieri a tavola c'era anche chi l'ultima settimana l'ha passata sospesa a
una dozzina di metri di altezza. «Ho fatto la pasta col sugo - racconta -
che quei cinque lì mi hanno detto che sul carroponte gli portavano una
pasta che era una schifezza». E allora anche mangiare una pastasciutta
fatta come dio comanda è una vittoria. Dopo pranzo si è addormentata su
una sdraio dentro il gabbiotto Angela. E anche se faceva un caldo di
quelli bastardi, si è coperta con la bandiera «Giù le mani dalla Innse».
E Gino continuava a parlare (Gino un giorno lo spieghi a tutti come fai ad
avere ancora voce dopo dieci giorni di proclami ininterrotti dentro il
megafono), a organizzare, a spostar tavoli, «che lì si mettono i
gruisti, anzi no meglio se la facciamo fuori la conferenza stampa».
Martedì notte, dopo la risoluzione della trattativa, c'hanno messo un
quarto d'ora a smontare i gazebo e riportare tutto all'interno. Hanno
disinfettato tutto. Che l'operaio ha il diritto di stare in un posto
pulito. Ai muri ci sono i disegni dei bambini delle scuole elementari. Su
uno, fatto a pennarello, c'è scritto «bravi ce l'avete fatta». Fuori
dai cancelli, dove per dieci giorni ci sono state le camionette di polizia
e carabinieri, è tornato il camper degli operai. Sulla strada, due
chilometri di rettilineo, sono tornate a sfrecciare le automobili. Passano
e suonano i clacson. Salutano, a modo loro, la vittoria di quei «testoni».
Che non la smettono di darsi pacche sulle spalle. Sono contenti, e si
vede.
Nel pomeriggio i cinque «gruisti» tengono pure una conferenza stampa. E
prima di iniziare a parlare dietro di loro vogliono tutti i compagni che
hanno diviso i mesi di lotta insieme a loro. Li chiamano uno a uno: «Angela,
Sergio, Gino, Gianfranco... venite tutti qui, che questa è la vittoria di
tutti noi». Di tutti è quarantanove. Anzi, cinquanta. Vorrebbero lì con
loro anche Giuseppe Ragusa. Ma purtroppo Giuseppe è morto d'infarto, dopo
una notte passata al presidio. Questa vittoria è anche sua.
Sono uniti. «Quando abbiamo capito di essere diventati un simbolo ci
siamo anche un po' preoccupati, poteva essere un'arma a doppio taglio -
dicono - Ma comunque l'esempio dell'Innse è qui a dimostrare che, quando
gli operai lo vogliono, possono farcela». Loro ce l'hanno fatta. «Vittoria,
vittoria, vittoria». E allora si può anche scherzare. «Mi raccomando -
dice Massimo - non fidatevi di chi vi invita a bere un caffé al mattino.
Rischiate di trovarvi su un carroponte».
di Manuela Cartosio
«Una vittoria pulita che ridà speranza»
Rinaldini (Fiom) fa il bilancio della lotta dell'Innse
Il segretario della Fiom Gianni Rinaldini adesso può andare in vacanza.
Dove? «Non lo so, non ho avuto tempo di pensarci in questi giorni». Dal
2 agosto, con Giorgio Cremaschi (Fiom nazionale) e Maria Sciancati (Fiom
milanese), è stato in pianta stabile al presidio in via Rubattino. Ha
tenuto i contatti con i cinque «gruisti», martedì notte ha festeggiato
l'esito positivo della vicenda.
Che effetto fa vincere? Succede così di rado di questi tempi che
uno si disabitua.
Mi sento liberato da una grande angoscia, sereno. Sì, gli operai
della Innse hanno vinto. E quindi, con loro, possiamo dire: abbiamo vinto.
Ho provato la stessa emozione, lo stesso entusiasmo dei 21 giorni alla
Fiat di Melfi. Questa volta però abbiamo vinto a Milano. E la città ne
aveva davvero bisogno. Qui l'industria, e il tessuto sociale che le era
connesso, hanno subìto una devastazione senza eguali. E' la prima volta
da anni che a Milano i lavoratori e il sindacato colgono una vittoria, e
così pulita. Certo, il successo parla a tutto il paese, ma io ci tengo a
sottolineare il fatto che tutto ciò è avvenuto a Milano.
Proviamo ad analizzare le ragioni di questa vittoria. Il primo
elemento è la coincidenza temporale tra il precipitare della vicenda
Innse e il precipitare della crisa economica.
La vicenda Innse è una plastica rappresentazione in piccolo dei
motivi che hanno prodotto la crisi globale. C'è l'abbandono di un'azienda
industriale, regalata a un rottamatore che vuole speculare sulle macchine.
Tutte le più fulgide menti giocano sulla roulette della finanza e degli
affari immobiliari. Poi scoppiano le bolle e dopo la sbornia ci si accorge
che l'industria, la manifattura, ha ancora delle carte da giocare. Vorrà
dire qualcosa se in pochi giorni, prima che si facesse avanti il gruppo
Camozzi, erano pervenute altre tre manifestazioni d'interesse per
acquisire l'Innse e proseguire l'attività industriale. Questa è una
sonora smentita per i santoni che, senza neppure conoscere la situazione,
dicevano che bisognava mollare, ricollocare altrove i 49 lavoratori e
morta lì. Spero che l'esito positivo serva da lezione a questi santoni,
li induca a riflettere prima di pontificare. Vadano a leggersi l'accordo.
C'è scritto che nell'area dell'Innse di Lambrate si farà attività
industriale fino al 2025. Una garanzia per un arco di tempo così lungo è
inusuale. Significa che il Gruppo Camozzi crede in quel che fa.
Lo scenario bigio che si annuncia per settembre ha convinto il
governo e le forze politiche che lo compongono che una soluzione per la
Innse andava trovata?
Hanno annusato l'aria. Hanno capito che nell'opinione pubblica la
lotta dell'Innse acquistava popolarità e consenso crescenti. Penso che
l'intervento pedagogico di Gianni Letta sulle forze politiche lombarde
della maggioranza, che all'inizio non avevano colto la valenza simbolica
dell'Innse, sia servito.
Arriviamo a quello che è il cuore della vittoria all'Innse: la
qualità, la stoffa, di quei 49 operai.
Questi operai hanno resistito 15 mesi, sono stati sorretti dal
rapporto che hanno non con il lavoro, ma con il loro lavoro. E' gente
professionalizzata, con un grandissimo orgoglio di mestiere. Cosa rara di
questi tempi.
Quelli rimasti sul carroponte per una settimana sono cinquantenni.
Uno, addiritutta, di anni ne ha sessanta. E' una razza in via
d'estinzione? Non sembrano esserci nuove leve che raccolgano il testimone
di un rapporto così intenso con il proprio lavoro.
Tutto dipende dal lavoro che si fa e dalla soggettività che ci
metti. Anche in pieno autunno caldo, quando era l'operaio massa a dare la
linea, non è che tutti fossero catenari. E pure adesso c'è una
differenza abissale tra un operaio provetto alla Fincantieri e uno che
gira i bulloni in una fabbrica di lavatrici. Comunque sia, quelli della
Innse insegnano che non si è condannati alla pura resistenza. Se c'è un
elemento forte di soggettività, si possono ottenere risultati.
E' innegabile che i media abbiano contribuito al successo.
L'azione eclatante ha attirato l'attenzione. Ma questo non spiega
tutto, perchè i casi di operai che salgono su una ciminiera o su una
torre sono numerosi. E quasi sempre nessuno se li fila. Qui, prima che i
cinque salissero sul carroponte, c'era stata una lotta di lunga durata.
L'azione eclatante è stata l'ultima mossa, dettata dalla razionalità non
dalla disperazione: se lasciavano smontare le macchine, se le lasciavano
portare via, per loro era finita.
A proposito di macchine. L'impressione è che i 49 dell'Innse
siano innamorati dei loro torni e delle loro alesatrici.
Hanno fatto tre mesi di autogestione gratis. Poi, appena
riuscivano a intrufolarsi dentro facevano manutenzione per tenerle pronte.
Torniamo al discorso di prima, all'identità con il proprio lavoro che è
un elemento in più rispetto all'identità di classe. Il nuovo
proprietario, il cavaliere del lavoro Attilio Camozzi, sulle macchine la
pensa come gli operai dell'Innse. Senza quelle, non avrebbe comprato.
La grande attenzione data al caso Innse ha suscitato una certa
invidia da parte dei lavoratori di altre aziende in lotta. Perché di loro
si parla e di noi no?
Sappiamo che i casi si contano a decine. Tocca al sindacato
unificare queste lotte, metterle in contatto tra loro. Il Tg3 ha garantito
un'ottima copertura alla vicenda Innse e, anche per questo, si è meritato
l'attacco di Berlusconi. Bisogna che almeno il servizio pubblico
restituisca una fotografia del paese reale, metta al centro il problema
del lavoro. Solo così tutte le lotte avranno lo spazio mediatico che si
meritano.
All'Innse si è vista all'opera una comunità. Diversa da quelle
balorde o malvage di chi si mette insieme per ripulire il territorio da
zingari e migranti.
La parola comunità non mi piace, indica qualcosa che esclude
invece di includere. Preferisco parlare di esperienza collettiva, in cui
si passava da momenti di euforia a momenti di scoramento.
Il tuo giudizio sull'accordo.
Sul versante sindacale è assolutamente pulito. Martedì sera ci
avevano presentato una bozza che non contemplava la garanzia della
riassunzione per tutti i 49. L'abbiamo corretta e Camozzi ha firmato.
Temevamo il graffio finale, non c'è stato.
La Fiom come capitalizzerà la vittoria?
Il successo all'Innse è un messaggio di speranza per tutti i
lavoratori, non solo per i metalmeccanici. Dice che la lotta paga, enon è
una frase fatta. Ci dà forza per le partite del prossimo autunno, rinnovo
del contratto compreso.
sab, 15 ago @ 16:26 |
INNSE:
IL TRIONFO DEGLI OPERAI
Pubblicato in:: Numero
591-09 |
È stato senz’altro un momento emozionante. Mercoledì, 12 agosto 2009, mezz’ora
dopo la mezzanotte, la folla sta facendo salti di gioia e brindando per strada, gli
operai della INNSE stanno portando sulle spalle il loro portavoce, uno dei quattro
che per otto giorni stava sul carro ponte, tutti gridando a squarciagola « Giù le
mani dalla INNSE! », l’esercito di polizia in scoglimento, via Rubattino trasformata
in festa popolare, insomma, il classico scenario, quando crolla il potere e la
solidarietà di tutti vince la prepotenza di pochi. Se non ci fossero le foto e i
video, sarebbe quasi troppo bello per crederci. Dopo più di 14 lunghi mesi, gli
operai della INNSE hanno sconfitto Genta, il padrone rottamaio e speculatore, che
pensava, il 31 maggio 2008, di liberarsi della sua maestranza con un semplice
telegramma «Abbiamo cessato ogni attività». Ormai i gridi di rabbia sono diventati di
gioia, forse anche tutto insieme, «Genta, Genta, vaffanculo!» eccheggia la notturna
via Rubattino, come il 5 marzo 2009 a Torino, quando gli operai INNSE sono andati a
fare una visita a Genta. Ma questa notte, si ascolta anche uno slogan nuovo « La
INNSE, la INNSE ce l’ha inseganto, la lotta dura ha pagato! » Gli operai hanno avuto
una vittoria importante.
Quando per una volta hanno vinto gli operai, non mancano ovviamente i commenti di
quelli che dare spiegazioni lo fanno per professione. Lasciamo perdere le
“autocritiche” di chi ha scritto, pensando probabilmente già alle prossime elezioni,
che «la politica ha lasciato troppo soli i lavoratori». Si sbagliano, perché gli
operai stanno molto meglio alla larga di tutti loro! Alcuni, vedendo nella lotta alla
INNSE un “atto di disperazione”, stentano a nascondere la loro propria disperazione
per la rinascità della lotta di classe tra operai e padroni. E chi definisce la lotta
alla INNSE uno “sciopero non violento”, forse si è dimenticato gli scontri del 10
febbraio 2009, quando assieme a tre operai sono andati a finire nel pronto soccorso
anche sei carabinieri e un capo di polizia. Ma c’è addirittura chi vede nella
vittoria degli operai una “lotta riformista”, e che non avrà letto di certo l’appello
“Non c’è tempo da perdere” firmato da 12 operai, tra cui tre che stavano otto giorni
sul carro ponte della INNSE, in cui scrivono fra l’altro: «Operai, salutiamo con
piacere la grande crisi, benvenuta. La macchina si è rotta, vogliono farcela spingere
a mano, è tempo di demolirla. … bisogna liberarsi di questo sistema, bisogna puntare
dritti ad un nuovo modo di produzione e di scambio che può sorgere solo dal
supera¬mento del loro modo di produzione ».
Qualcuno ha pensato persino a proporre di assegnare l’Ambrogino d’oro agli operai
protagonisti della protesta. La medaglia d’oro per degli operai rivoluzionari! Che
cosa ci vuole di più per capire che la classe padronale ha fallito e deve sparire
come classe dominante dal palcoscenico della storia! Ma dietro la proposta magari c’è
anche una vecchia strategia: quando la borghesia non può più controllare gli operai
nemmeno con le forze dell’ordine, per salvare il potere è anche disposta ad offrigli
un posto al governo. «Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le
recano la morte; essa ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi – i moderni
operai, i proletari. » L’uomo che ha scritto queste parole più di 150 anni fa,
naturalmente non poteva conoscere gli operai dell’INNSE, ma il concetto è rimasto
identico!
Il giorno dopo la vittoria degli operai dell’INNSE, il camper del presidio si trova
al solito posto davanti alla vecchia portineria, il presidio è tornato come prima, ma
più forte di prima. L’unica differenza è una grande striscione che forse hanno messo
gli studenti « Hic sunt leones ». Non è solo una riverenza verso gli operai che qui
hanno istallato la loro base, dopo che il 17 settembre 2008 sono stati sgomberati
dalla polizia per la prima volta. Lo striscione è anche un avvertimento verso chi
potrebbe tentare di entrare con cattive intenzioni nel loro territorio. Anche se la
INNSE adesso ha un nuovo padrone, è meglio non fidarsi, troppe volte gli operai sono
stati illusi dalle Istituzioni con promesse vuote. Fino a quando l’INNSE non riprende
l’attività produttiva, il presidio continua come prima, su questo non c’è alcun
dubbio. Gli operai hanno vinto una battaglia, ma non ancora la guerra contro i
padroni. – rth
Alcune fonti e video della vittoria degli operai dell’INNSE:
- http://www.youtube.com/watch?v=TU40OF6jcZM
- http://www.youtube.com/watch?v=fncuoiTwBls&feature=related
- http://www.youtube.com/watch?v=FU1sYIcJyLQ
- http://www.youtube.com/watch?v=2H_5l6rQHJ4
- http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media[/a]
/ContentItem-2b71dddf-2517-43c4-aae2-9805b8b6a240.html?p=0
- http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=35835&ref=search
- http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=t
uttiivideo&vxClipId=2524_2a55c0ca-8779-11de-a53e-00144f02aabc&vxBitrate=300
INNSE
ed ESAB, un interessante confronto
Pubblicato in:: Numero606-09 |
La lotta degli operai dell’INNSE continua anche indirettamente ad essere fonte di
molti insegnamenti per tutti gli operai.
Raffrontiamo brevemente l’accordo della fabbrica di Milano con quello della ESAB
Saldature di Mesero (Milano), in cui un gruppo di operai è stato per più di due
settimane sul tetto della fabbrica.
L’INNSE non viene più smantellata, anzi riprende le attività, con l’acquisto degli
impianti da parte di un nuovo padrone, che dovrà riassumere tutti i lavoratori della
fabbrica, che sono attualmente in mobilità.
L’ESAB, invece, chiude da subito. A fronte di qualche vuota chiacchiera su una
eventuale “reindustrializzazione” dell’area, nessun impegno concreto viene preso
sulla ricollocazione dei dipendenti. Gli operai avranno un massimo di due anni di
cassa integrazione straordinaria, poi scatterà la mobilità, cioè il licenziamento.
L’assegno di cassa integrazione sarà integrato dall’azienda fino al 100% del salario
normale. Tutte le altre eventuali integrazioni salariali, che non potranno superare
per ciascun lavoratore il tetto dei 24.000 Euro, saranno erogate dall’azienda solo
sotto forma di incentivo all’esodo, cioè solo in occasione dell’accettazione
individuale del licenziamento e, addirittura, il diritto a ricevere tali somme sarà
subordinato alla sottoscrizione “da parte del lavoratore interessato di una
transazione generale e novativa con rinuncia ad ogni richiesta e domanda connessa
alla esecuzione e cessazione del rapporto di lavoro nei confronti di ESAB”. Una vera
carognata, fatta da chi tiene ben stretta la pistola puntata alla tempia degli
operai: ti do i soldi che ti servono per tirare avanti per un po’ di tempo senza
lavoro, ma devi garantirmi che non mi costringerai legalmente a pagarti risarcimenti
futuri per questioni contrattuali e normative o per danni biologici. Una vera e
propria estorsione, che non provoca però nessun intervento della magistratura, così
pronta invece a perseguire l’occupazione della fabbrica o quella della tangenziale
nel corso della lotta dell’INNSE.
Non c’è dubbio allora che per il primo accordo, quello dell’INNSE, si tratta di una
vittoria degli operai, mentre quello della ESAB rappresenta una pesante sconfitta
delle maestranze.
Questo dato incontrovertibile ci spinge a fare due ordini di riflessioni. Col primo
evidenzieremo alcune lezioni che si traggono dal confronto delle due esperienze di
lotta. Col secondo valuteremo il ruolo del cosiddetto “sindacalismo di base”, cioè
dei sindacatini alternativi.
Non appena Genta, il vecchio padrone della INNSE, ha tentato con un colpo di mano di
chiudere la fabbrica, iniziando le procedure di messa in mobilità e
contemporaneamente invitando i lavoratori a stare a casa “pagati”, in attesa che si
concludessero i tempi canonici per l’avvio della mobilità, la preoccupazione degli
operai è stata quella di avere il controllo dell’officina. Loro obiettivi prioritari
erano impedire la chiusura dello stabilimento e respingere anche un solo
licenziamento. Su questo si sono confrontati duramente con Genta per 15 mesi, senza
mai aprire trattative su un eventuale avvio della cassa integrazione straordinaria da
aggiungere al periodo di mobilità o su eventuali integrazioni salariali, finendo così
in mobilità senza ricevere nessuna integrazione, e si può immaginare cosa abbia
significato vivere a Milano per più di un anno con il misero assegno di mobilità. Gli
operai dell’Innocenti sapevano però che nella situazione di oggettiva debolezza in
cui si trovavano, con un padrone non interessato a continuare la produzione, la cassa
integrazione e l’integrazione del salario potevano essere ottenuti solo cedendo su
altre questioni, ad esempio accettando il trasferimento di alcune macchine. In
pratica, lo scambio era: più sussidi e per più tempo in cambio dell’accettazione del
licenziamento. Scambio che gli operai dell’INNSE non hanno giustamente voluto fare.
Di fronte a un dilemma simile si sono trovati anche gli operai della ESAB, come del
resto si trovano tutti gli operai le cui fabbriche stanno chiudendo, vedi la LASME di
Melfi. La risposta degli operai dell’ESAB è stata però l’esatto contrario di quella
dell’INNSE. Al centro della trattativa non è stata la continuità produttiva della
fabbrica e il rifiuto dei licenziamenti, ma l’eventuale cassa integrazione e le
integrazioni che l’azienda avrebbe dovuto dare. Questa linea veniva già sancita nel
preaccordo del 3 agosto, dove si parlava di cassa integrazione e incentivi mentre si
accennava solo genericamente ad una eventuale reindustrializzazione dell’area.
L’accordo del 15 settembre è perciò la diretta conseguenza delle strategie scelte
all’inizio della vertenza, con le quali non solo si è accettata chiusura della
fabbrica e licenziamenti, ma si è ottenuto davvero anche molto poco sul piano delle
forme di integrazione al reddito e praticamente nulla sugli impegni per una eventuale
ricollocazione degli operai. Tutto ciò malgrado la mobilitazione operaia nel corso
dell’ultimo mese fosse cresciuta, arrivando a forme di lotta dure, come il presidio
della fabbrica e la permanenza sul tetto.
Due strategie opposte, cui hanno corrisposto due opposti risultati.
Gli operai dell’INNSE sapevano che accettare la chiusura dello stabilimento
significava nella migliore delle ipotesi, la ricollocazione in qualche altra
fabbrica, con condizioni lavorative e normative peggiorate e si sono opposti con
estrema determinazione alla chiusura, senza farsi né irretire da chi proponeva loro
fantasie come l’autogestione, né blandire dalle interessate proposte di mobilità fino
al pensionamento o ricollocazione per una minoranza. L’unità degli operai doveva
essere garantita a tutti i costi perché è proprio l’unità la forza degli operai e
l’unico modo per garantirla era impedire la chiusura del luogo dove essa fisicamente
si forma, la fabbrica.
Difesa dell’unione degli operai, anche contro chi, preso atto della loro incrollabile
determinazione, vorrebbe trasformarli in padroncini o contro chi ha creduto di
dividerli con qualche miserabile incentivo. Unione operaia, questa è una delle più
importanti lezioni che ricaviamo dalla lotta dell’INNSE Naturalmente, non è mancato
il solito imbecille piccolo borghese, che, incapace di cogliere questa lezione, ha
sparlato di patto fra gli operai dell’INNSE e i capitalisti produttivi contro i
capitalisti speculatori, ragionando allo stesso modo con cui i borghesi russi
tacciavano nel ’17 i bolscevichi di essere filo tedeschi.
Andiamo ora ad affrontare la questione delle organizzazioni sindacali, perché anche
su questo versante il raffronto fra i due accordi ci dà notevoli spunti di
riflessione.
L’accordo dell’INNSE è stato sottoscritto dai vertici FIOM, mentre tutti gli altri
sindacati, inclusi quelli “alternativi” sono stati assenti nella lotta. L’accordo
dell’ESAB è stato sottoscritto dalla FLMU, che ha praticamente diretto la lotta fino
alla sua amara conclusione. In verità l’accordo porta solo la firma delle RSA, a
maggioranza appartenenti alla FLMU, e non dei sindacati territoriali. Ma la scelta è
solo frutto di una sporca ipocrisia. La FLMU è d’accordo con l’intesa raggiunta, ma
sa che essa è impresentabile e allora opta per la soluzione di lasciare l’onere della
firma ai suoi delegati aziendali, salvo poi sostenere la loro scelta scellerata in
assemblea e firmare insieme alla RSA solo il verbale di accordo al Ministero in cui
si avvia la cassa integrazione straordinaria per cessazione delle attività. Una
vergognosa ipocrisia del tutto in linea con quella imperante fra i politici italiani
pronti a chiamare “missione di pace” l’occupazione militare di altre nazioni. Il
tutto condito da parte della FLMU dalle soliti frasi in sindacalese con l’elencazione
certosina delle luci ed ombre dell’accordo e con i piagnistei sulla debolezza cronica
degli operai.
Una sola domanda, brutale e diretta, va fatta a questi sindacalisti: ma perché vi
siete sforzati tanto per creare un sindacato alternativo se alla prima prova dei
fatti finite col fare le stesse cose della peggiore dirigenza Fiom?
E’ la fine di una illusione, quella per cui bastava fondare un sindacato “buono”,
creare cioè un guscio formale di organizzazione sindacale per poi crescere fra i
lavoratori e diventare determinante. Si anteponeva così la questione formale (la
costituzione dell’organizzazione sindacale) a quella sostanziale (la conquista della
maggioranza degli operai), che è l’unica base su cui può nascere veramente una
organizzazione sindacale. Il sindacato, infatti, conta ed esiste solo in quanto
organizzazione di massa, capace di rappresentare la maggioranza dei lavoratori.
L’esperienza degli ultimi due decenni dimostra come la scorciatoia del “sindacalismo
di base” sia fallimentare, essendo servita solo ad isolare e chiudere in un ghetto le
minoranze più combattive.
Ancora una volta qui torna utile riferirsi alla esperienza della INNSE, in cui il
fatto di essere rappresentativi della stragrande maggioranza degli operai, ha
permesso alle RSU di quella fabbrica di dettare modalità e forme della lotta e le
stesse condizioni della trattativa ai vertici sindacali FIOM.
La Sezione AsLO di Napoli
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