storia indesit vari

indice

1. scheda Indesit eco del chisone

2. Da Merloni a Indesit wikipedia

3 C'era una volta l'Indesit  Bruno Redoglia (circolo operaio di None)

4 <<cronologia Cassintegrati Indesit>> 1980-1995  Giorgio Ciravegna dal libro:

4bis- Giorgio Ciravegna- "Dalla parte degli operai" -  Clavilus Edizioni-2014

- estratto pag 14-39   pdf              Note-biografiche-giorgio-ciravegna-2014 pdf

5.Lanza: La crisi Indesit inizia nell'80

6. CIG story- Elvira Sobrero

7. storia di Merloni Elettrodomestici

8. Lidia Lantarè-(FIM-CISL) La mia esperienza di operaia all'indesit-mp3 8Mb

9. Piero Baral/Indesit  FLM (circolo operaio di None)poi CGIL, poi ALP

10 .  Angelo Vinci_Indesit (FIOM-CGIL) mp3 audio

11 Maria Megna (Fim) mp3 audio

12 Mauro Sorrentino ( FIOM, poi FLM, poi Alp) mp3 audio

13 giornale_cronache_indesit.htm  il giornale di pinerolo e valli

14. cdpinerolese_cronache_indesit.htm  1979-1985

15. Riforma-mensile-5-2015  pdf

 


1980-None

 

 

Eco del Chisone 7/12/2000

scheda Indesit 
Fotografia di un'area produttiva che ha oggi nella Merloni la sua realtà dominante
C'ERA UNA VOLTA L'INDESIT, ORA C'È…


NONE - C'era una volta l'Indesit di None, realtà produttiva insediatasi alla fine degli Anni '60 e arrivata a contare 6.000 dipendenti prima della nota, pesantissima crisi che ne decretò l'uscita di scena. Per il territorio fu un autentico colpo da knock out con lo stabilimento di Rivalta-Tetti Francesi a subire analoga sorte di quello nonese.
Oggi, nei capannoni sorti a ridosso di via Pinerolo trovano posto cinque aziende che raggiungono una cifra complessiva di occupati molto inferiore a quella dei tempi di maggiore sviluppo dell'Indesit. Se quest'ultima intrecciava naturalmente la propria attività con quella di None e più in generale dell'area circostante (ci riferiamo alla ricaduta sul piano sociale ed economico) l'attuale polo industriale rappresenta una realtà significativa, ma con una fisionomia differente dal passato.
La Merloni-Ariston garantisce una continuità rispetto all'Indesit per la produzione di elettrodomestici, mentre Ilmed Logistics e Tnt appartengono al settore logistica-trasporti. Se la Tower Automotive si occupa di stampaggio, la Merloni ha al suo interno la branca Progelease. E la Telecom ha collocato a None un suo magazzino. Le aziende citate fanno parte del Consorzio delle Dennie, nato per gestire le aree comuni ai vari stabilimenti.
Sin dall'insediamento dell'Indesit si prevedeva una sistemazione della fascia tra via Pinerolo e gli stabilimenti, operazione che sta vedendo la luce proprio in questi mesi: "In accordo con il Comune si sta realizzando un intervento che prevede una riqualificazione dell'area che corre per circa un chilometro e mezzo sul fronte dei capannoni. Una strada a due corsie è costeggiata da parcheggi ed oltre al marciapiede e all'illuminazione è a disposizione una pista ciclabile. Il viale sarà inoltre alberato" spiega l'architetto Libero Sandrini, professionista incaricato dal Consorzio.
I lavori in corso di effettuazione hanno un costo che si aggira attorno ai 2 miliardi.



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Wikipedia - Da Merloni a Indesit 

La nascita e il boom
Fondata nel 1930 a Fabriano (Ancona) da Aristide Merloni come Industrie Merloni, l'azienda di famiglia si dedica inizialmente alla produzione di bilance, per arrivare agli inizi degli anni Cinquanta ad avere una quota di mercato del 40% nel comparto. Pochi anni dopo è avviata la produzione di bombole per il gas liquido e di scaldabagno. Vengono messi in commercio fornelli a gas da applicare alle bombole.

Progressivamente entra nella produzione di elettrodomestici con il marchio Ariston. Nel 1970, con la morte del fondatore, la Merloni viene riorganizzata in tre aziende autonome: dalla divisione elettrodomestici nasce la Merloni Elettrodomestici, il cui presidente è Vittorio Merloni; la Merloni Termosanitari, guidata da Francesco Merloni; la divisione meccanica, con a capo Antonio Merloni.



Da Merloni a Indesit
Nel 1985 la Merloni Elettrodomestici acquista la Indesit, fino ad allora grande rivale nel mercato italiano, dotato però di una certa forza anche all'estero. Due anni dopo l'azienda è quotata in borsa.

Dal febbraio 2005 la Merloni Elettrodomestici viene rinominata Indesit Company: Indesit è infatti un marchio più conosciuto all'estero. Oltre che col marchio Indesit, l'azienda è comunque presente sul mercato con lo storico marchio Ariston ed inoltre con i marchi regionali Hotpoint, Scholtes e Stinol.



Le cifre
La Indesit Company detiene, al 2004, il 13.7% del mercato europeo degli elettrodomestici "bianchi" (forni, frigoriferi, piani cottura, lavastoviglie e lavatrici) con un fatturato consolidato di circa 3 miliardi di euro (di cui circa 500 milioni in Italia) e produce 14 milioni di elettrodomestici venduti in 36 nazioni. È il terzo produttore europeo dopo Electrolux e Bosch.

La Indesit ha 19 impianti produttivi tra Italia, Europa e altri paesi, e conta 18mila dipendenti, di cui 12mila all'estero.


http://www.merloniprogetti.com/ita/company/c_storia.htm

 






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C'era una volta l'Indesit ( di obr) 

vedi anche http://www.comune.none.to.it/index.php?filename=SXCOL/Storia%20e%20Territorio/storia/7.html





La storia dell'Indesit potrebbe essere concentrata in una battuta: "privatizzazione degli utili socializzazione delle perdite", Una battuta non è solo schematica, ma non spiega perché è sempre Pantalone a pagare, anche quando si ritiene fortunato (vedi alla voce cassadisintegrato).

L'Indesit costruisce le sue fortune in tempi lontani, come le altre aziende del settore, con una politica di bassi salari che consentono l'esportazione massiccia sia nei paesi europei che extra europei. Di questa fase si dirà poi che il prodotto italiano "sfonda" nel mondo per il design "italiano"…

Certamente gli elettrodomestici italici non sono orribili, sono decentemente affidabili e soprattutto costano molto meno di quelli dei concorrenti locali.

Mediamente i produttori di elettrodomestici italiani esportano il 50% della produzione, L'Indesit raggiunge addirittura il 70%.

I salari sono bassi per un bel po' di tempo, incominceranno a diventare un tantino meno miserabili solo nel '62. Gli operai incominciano a rialzare la testa, non perché improvvisamente si siano svegliati, ma semplicemente perché la produzione "tira" e servono nuovi lavoratori.

Anche alla Fiat cominciano ad essere assunti operai che qualche tempo prima erano ritenuti inaffidabili (leggi rossi). La rarefazione di manodopera, non la bontà del padrone, fa sì che i salari non siano più da fame. )per fare un esempio il salario di un operaio comune è stato per lungo tempo intorno al 35% di quello del suo omologo Fiat, insomma roba tipo vu cumprà.

Negli anni '60 , gli elettrodomestici del cosiddetto settore bianco si avviano ad una rapida maturazione tecnologica, in altre parole: le innovazioni riguardano la facciata, non la sostanza.

Per aumentare i profitti si può solo razionalizzare sia il prodotto che la produzione, ad onor del vero nessuna delle aziende del settore percorrerà questa strada perché in contemporanea si distribuiscono contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati tramite la cassa del mezzogiorno.

Sui soldi della cassa destinati allo sviluppo del Sud e dispersi al Nord si potrebbero fare pensierini divertenti..

Uno dei difetti, o dei pregi, è questione di punti di vista, dei finanziamenti della cassa del mezzogiorno è che l'entità è legata al numero dei nuovi posti di lavoro che il richiedente afferma di "creare" (naturalmente sulla carta, senza dover rendere conto della eventuale 'sparizione' di posti di lavoro da un'altra parte).

Questo modo di concedere i finanziamenti ha consentito ogni sorta di intrallazzi, non si ha notizia che siano stati restituiti i prestiti e quando tutto è andato bene i posti di lavoro reali erano metà di quelli promessi, ma in compenso le attività installate erano doppioni o trasferimenti dal nord ritardando ristrutturazioni e razionalizzazioni.

Ancora nel '77, quando gli altri produttori tirano i remi in barca, l'Indesit programma un ampliamento degli impianti da lasciare esterrefatti: gli occupati dovrebbero passare da 8000 a ben 12.000 nell'arco di cinque anni; a chi fa osservare che la cosa sembra un poi fantastica, l'amministratore delegato ribatte che lui conosce il suo mestiere, mentre molti lavoratori dicono di essere fortunati ad avere a che fare con un padrone così buono da assumere personale mentre la concorrenza tenta di alleggerire il libro paga. Le parole "esubero" ed "esuberanti" diverranno di moda solo qualche anno dopo.

Che i posti di lavoro siano solo sulla carta e gli investimenti siano fatti con i soldi della "collettività" lo si "scoprirà" solo in seguito. Infatti nell'80 scoppia la bomba.

La bomba è veramente grossa e scava un buco di miliardi (non si capirà quanti siano quelli inghiottiti),

Il boss ha giocato bene le sue carte. Sembra proprio un fulmine a ciel sereno. L'anno precedente l'Indesit ha chiuso il bilancio in attivo, dal che si può dedurre che cosa valgono i bilanci…; qualche sintomo veramente c'era: alcuni stabilimenti erano in catalessi ( per esempio i componenti elettronici al nord e i piccoli elettrodomestici al sud), altri con il fiatone (TV e lavastoviglie).

La sorpresa è tale che basta un esempio: poco prima che lo stabilimento TV si fermasse un produttore inglese di componenti strigliava il rappresentante italiano perché non era riuscito ad entrare come fornitore dell'Indesit…

Incomincia un bel casino. Il boss continua ad imperversare con i suoi giochetti attraverso le consociate straniere. Se ne vedranno di tutti i colori.

Si incomincia la solita trafila. Esercizio provvisorio, amministrazione controllata, ritorno del boss ( ma era mai andato via? Cioè le cose andavano secondo gli interessi del boss o no?).

Altro patatrac, quindi amministrazione straordinaria (legge Prodi), nel frattempo ristrutturazione, smantellamento di alcuni settori (si inizia da quelli aperti solo sulla carta) cessione del TV alla REL, scorpori, holding, acquisizione di impianti per venderli in Cina.

Una vera girandola pirotecnica.

Intanto tifo del sindacato e della maggioranza dei dipendenti per i "salvatori " di turno, tifo per il boss: "se ci fosse ancora lui…".

Eppure il boss l'aveva detto: io sono un imprenditore e gli imprenditori sono ovviamente alla ricerca del massimo profitto…

Ma i tifosi ci sono sempre, hanno soprattutto "fede". Hanno fede anche coloro che fanno il tifo per la salvezza dell'Indesit. Il ritornello è : "speriamo che l'Indesit si salvi"…

L'Indesit si deve salvare da cosa, dalla serie "B"? L'Indesit come marchio è appetibile quindi si salverà, nel senso che continueranno a circolare elettrodomestici di nome Indesit.

Molto meno si salveranno i cassadisintegrati. Intanto passano 8 anni, l'iter di tutte le possibilità di legge è concluso.

Da tempo si cercava un acquirente per la baracca. Un paio si fanno avanti, il Marchio è appetitoso ( sia chiaro che è l'unico patrimonio reale, il resto interessa molto di meno…).

I due papabili si chiamano De Longhi l'uno, Merloni (Ariston) l'altro. 

Parte il tifo per Merloni "è un imprenditore serio"… De Longhi è solo un artigiano.

Ingenuità di tifosi, oppure, visto che probabilmente vincerà Merloni, tanto vale schierarsi dalla parte del nuovo boss e dire che De Longhi non vale una cicca.

Merloni è senz'altro il più forte. Se non altro perché ha una lunga tradizione di frequenza al "palazzo". Però è anche più 'intrattabile'.

Non ha bisogno di nuove alleanze per ottenere denaro dallo stato, per ora gli bastano quelle che ha, nel caso ce ne fosse bisogno per mungere gli sono sufficienti i "quattro gatti" che ha preso in "carico".

Ai 4000 cassadisintegrati "esuberanti" servirà qualche santo in paradiso, se vogliono raccogliere le briciole.

Di questi tempi pare che i santi si siano resi poco disponibili, ai disintegrati Indesit serviranno notevoli sforzi 'liturgici' se vorranno raccogliere qualcosa che non siano micraginose briciole elargite quasi a mo' di elemosina ( leggasi prolungamento della CIG di qualche mensilità con effetto retroattivo…).

Di posti di lavoro e di dignità meglio non parlarne, oggi si direbbe che questi discorsi sono fuori moda addirittura osceni.

Certamente nelle sacche di cassaintegrazione è possibile pescare aspiranti lavoratori in nero, questi sono doppiamente utili: da un lato si rendono disponibili a "contenere il costo del lavoro in limiti accettabili", in seconda battuta ( un po' per celia e un po' per non morire) e raccontando di guadagni favolosi e per lo più immaginari renderanno insopportabili sti cassadisintegrati nello stesso tempo in cui i 'santi' possono fare i 'difficili'.

Ovviamente, sia la cassa, sia il disagio provocato da questa disoccupazione mascherata, hanno un costo non indifferente per la cosiddetta collettività, ma non si deve credere che il salvataggio di pochi posti di lavoro confluiti nella nuova gestione sia un buon affare..

Merloni si è accollato il marchio con contorno di agevolazioni, finanziamenti, eccetera. In cambio ha garantito l'occupazione per 2 anni due (leggasi DUE).

Traduzione, per due anni tiro a campare, magari con un po' di CIG, tanto per gradire, poi qualche trovata ve la presenterò a tempo debito unicamente per non guastare il gusto della sorpresa. Provare per credere, sono proprio un imprenditore serio!









<<Cassintegrati Indesit>> 1980-1995



1. Nel 1977 L’Indesit chiude il bilancio con un passivo di 1300 milioni, è il primo segnale di una progressiva crisi.


Nel 1978 L’azienda aumenta i prezzi di vendita. L’effetto sul bilancio sembra positivo, ma essendo prodotti di fascia bassa calano le vendite perché non concorrenziali. Chiude con una diminuzione del fatturato del 20-25%. 



Nel 1979 Cerca di recuperare produttività con la revisione dei tempi di lavoro e affronta in maniera repressiva il fenomeno delle assenze licenziando 15 lavoratrici. La proprietà cerca di gestire la difficoltà dell’azienda chiamando nuovi manager e investe nuove risorse - 65 miliardi.

L’operazione di rilancio dell’azienda non funziona.



Nel 1980 L’Indesit comunica al sindacato le gravi difficoltà del settore dell’elettronica. Primo ricorso in modo massiccio alla CIG dei lavoratori inseriti nel settore dell’elettronica civile.

Messa in libertà per 4 giorni di 100 lavoratori della sezione lavastoviglie per mancanza di semilavorati. I fornitori sospendono le consegne perché allarmati dalla situazione.

Il 12 giugno 1980 a Roma incontro tra l’Indesit e la segreteria del F.L.M. L’azienda comunica la situazione di crisi pressoché totale delle produzioni di elettrodomestici, in aggiunta a quella di elettronica. 

A partire da questa data i lavoratori effettuano continue manifestazioni pubbliche a None, Torino, Pinerolo, Orbassano.

Il 18 giugno ricorso alla legge 675 per crisi aziendale e relativa Cassa Integrazione straordinaria. Tutti gli operai vengono sospesi a zero ore. La fabbrica è presidiata. 11000 famiglie di dipendenti Indesit e 11000 famiglie di dipendenti dell’indotto stanno per perdere il lavoro e il salario.

L’azienda offre incentivazioni al licenziamento, e poi al prepensionamento.

Al cassaintegrato a zero ore si impone, per legge, di mantenere la famiglia con 700 mila lire al mese, e di vivere nella inattività produttiva assoluta. Essere sorpresi a lavorare durante la CIG anche solo per un’ora, implica la denuncia penale per truffa e la restituzione di tutti i soldi percepiti dall’INPS fino a quel momento.



Nel 1981 L’Indesit viene suddivisa in tre holdings: elettrodomestici, elettronica, componenti. Sembra quindi che l’azienda abbia la volontà di affrontare positivamente il mercato.

Il 27 novembre 1981 l’azienda comunica al sindacato l’avvio della procedura di licenziamento per 1700 lavoratori dell’elettronica civile.

L’insieme delle iniziative sindacali e la mobilitazione dei lavoratori con presidi, riescono ad ottenere un intervento governativo concreto della Gepi nel settore dell’elettronica. L’Indesit e la Zanussi le maggiori aziende del settore fanno un accordo per una società in comune.

Intanto i licenziamenti sono sospesi. Il piano di settore dell’elettronica operativamente non decollerà. A None non si riprenderà più a produrre televisori.



Nel 1982 lavorano negli altri stabilimenti 4083 operai contro una quota di eccedenti di 3250.

Da una situazione di prefallimento si è tornati a migliaia di posti di lavoro su cui a rotazione lavorano tutti i dipendenti di quei stabilimenti senza utilizzo della CIG a zero ore.



Nel 1984 L’azienda comunica ufficialmente che essendo strutturali le eccedenze non vi è più motivo di mantenere forme di rotazione sul lavoro, viene quindi disdetto l’accordo del 1983 e viene richiesta la cassa a zero ore per tutti gli eccedenti. Il gruppo dirigente non è più in grado di fornire risposte a problemi che non ha saputo affrontare né risolvere quando erano di minore entità.

7200 famiglie vengono a trovarsi senza reddito.

Il 6 settembre il ministro dell’industria nomina a Commissario governativo il dott. Zunino, con il compito di risanare l’azienda.

La CIG a zero ore si protrae fino al 1995. 

Alcune date significative relative alla crisi dell’Indesit tratte dal libro di G.Ciravegna.”Indesit: Storia di una fabbrica e di una lotta per il lavoro”- 1985

http://www.alpcub.com/indesit_estratto_ciravegna.pdf 

 





. Lanza: La crisi Indesit inizia (estate 1980) poco prima di quella Fiat ma ha caratteristiche molto diverse


1) La vicenda é molto meno politica e molto meno politicizzata.

Si pensi che in quel periodo i sindacalisti che seguivano la Fiat erano tutti lanciati per una grande carriera sindacale e vi furono grandi battaglie per poter seguire la Fiat, fare l'operatore sindacale a Mirafiori era la cosa più ambita.

In Fiat si inizia con dei licenziamenti "politici" con accuse di violenza, fino a fiancheggiatore.

In Indesit si licenzia per troppo assenteismo certo una scelta politica ma di minor profilo e scontro.



2) Lo scontro alla Indesit non era politico ma dentro le ristrutturazioni che avvenivano nel settore. Concentrazione di Gruppi. Se il padrone della Indesit avesse avuto più sponde politiche poteva competere con la Zanussi da tutti indicata come l'unica azienda in grado di dare risposte "industriali".

Questa tesi era sposata in particolare dal PCI. (Mi ricordo un incontro con il giovane Piero Fassino in Via Chiesa della Salute, la sede del PCI torinese, che a fronte della radicalità dei delegati diceva che le riorganizzazioni non si potevano fermare anzi bisognava sollecitarle e "guidarle"....)

Inoltre la Indesit rappresentava un caso anomalo nel panorama industriale torinese in quanto non associata all'AMMA, era una sorta di battitore libero tollerato perchè non era nel potente giro della FIAT e dell'Auto ( fu proprio il contratto del 1979 che vide la Indesit anticipare la riduzione di orario allora elemento di grande contrapposizione non solo con i padroni ma anche tra sindacati).



3) Di conseguenza ai primi due punti il ruolo principale in tutta la vicenda é stato attuato dai delegati e in modo molto unitario.

Dopo il periodo della rotazione ( prima mensile poi un giorno si e uno no) ha preso consistenza il coordinamento dei cassaintegrati che è sempre stato seguito da Pinerolo per molti anni. Alla Indesit si sono applicati i prepensionamenti, poi la mobilità e infine i lavori socialmente utili.

Ndr. Il coordinamento cassintegrati portò avanti per vari anni il lavoro di contatto mensile con le cassintegrate e le riunioni ristrette più frequenti, si producevano volantini, si raccoglievano fondi per le manifestazioni, si dava tutela alle cassintegrate per le pratiche varie. Impegnati Cantoblundo, Fazio, Arcidiacono; Piera Bessone. Le assemblee generali si tenevano nel salone dell'Istituto Murialdo a Pinerolo. I delegati di fabbrica continuarono ad avere il loro ruolo anche nel periodo di cassintegrazione.

4) Ultima considerazione è la presenza fondamentale delle donne. Penso che fossero intorno al 60% e questo ha reso la lotta molto partecipata e certamente meno "violenta". Gli stabilimenti Indesit non erano cintati si arrivava direttamente in officina o negli uffici e in tutti gli anni del terrorismo non ci fu un solo volantino come invece succedeva spesso nelle fabbriche di Torino e della cintura. Enrico Lanza







  CIG story


Numero di ruolo 36642 questa è la cifra che contraddistingue i documenti che mi riguardano all’interno della fabbrica. E’ un’effige posta in alto sul cartellino che si timbra, all’entrata e all’uscita dallo stabilimento, e sulla busta paga.

E’ un marchio di fabbrica che segna la differenza fra me e le mie compagne.

E’ sufficiente la variazione di una semplice unità per cancellarmi, per confondermi con altre.

Nel 1980 la cancellazione fu molto più ampia, riguardò migliaia di operaie e operai.

In quell’anno l’Indesit sospende i lavoratori perché la sua situazione debitoria è preoccupante. La crisi che riguarda il settore dell’elettronica civile è grave da apparire senza sbocchi. E così sarà. La sorte dei lavoratori impiegati nello stabilimento 6 dove si producono televisori è già decisa: sarà inesorabile.

La direzione e la proprietà ci mettono in libertà. Che eufemismo! Libertà: termine inquietante dal significato controverso, ha qui un suono sordo, un risvolto amaro. Il paternalismo è abolito a favore di un linguaggio scarno e aspro.

Arrivai a casa presi secchio e strofinaccio, passai e ripassai con violenza i 35 metri quadri: l’area dei pavimenti di casa mia. Tale era la pressione violenta sulla superficie, e la lucida indignazione, che il pavimento diventò uno specchio.

Non mi ero mai identificata nel ruolo di casalinga, non era nei miei pensieri la tenuta a ‘modino’ della casa. Svolgevo velocemente quella mansione in funzione di qualche altro obiettivo molto più gratificante; per esempio avere i pavimenti puliti sui quali appoggiare i cuscini e adagiarmi in libertà ad ascoltare musica o leggere.

Quel giorno era un puro esercizio di forza che mi consentiva di scaricare tutta la mia rabbia.

Ero ’single’ da quasi 4 anni. La scelta di vivere da sola era una tappa importante verso l’autodeterminazione che con tenacia perseguivo da tempo.

Raggiungere quella meta disponendo solo delle mie risorse non era stato un cammino su una strada in linea retta, ma un percorso su un viottolo impervio e accidentato. La conclusione di quell’esperienza presentivo avesse il sapore di una mutilazione. La lunga mano delle ‘compatibilità economiche’ era pronta a intervenire con l’accetta anche fuori dai luoghi deputati alla produzione. Sembrava non ci fosse la possibilità di affrancarsi e il prezzo era la destrutturazione di un’identità ancora in evoluzione. La persuasione nei confronti di questo orientamento di vita era incrollabile. La ricchezza di quell’esperienza non era esaurita; quindi avrei affrontato qualsiasi sacrificio pur di non sentirmi schiacciata dagli eventi. 

Sul piano economico, già prima contribuivo, come potevo, ad alleviare la condizione della mia famiglia; per il comportamento avventato di alcuni parenti i miei genitori erano in ristrettezze economiche. Avevo fiducia nella mia caparbia capacità di affrontare le difficoltà, misurarmi con le soluzioni possibili senza tentazioni di fuga. E per andare dove!

Avevo compreso che lo stato di benessere, per me, non stava necessariamente nell’opulenza, ma si palesava in una valorizzazione di aspetti dell’esistenza meno ostentati. Una migliore qualità della vita riposta in una dimensione più profonda e rigorosa, ma armonica, quasi austera. Rinuncia non significa per me assumere un atteggiamento di sprezzante superiorità, o irritante disdegno, verso le cose che mi circondano, come conseguenza di un atteggiamento ideologico. Ma sulla base di una profonda riflessione si modifica la scala dei valori. L’attenzione si sposta sulla qualità dei rapporti che riscaldano intimamente e avviluppano placando l’ansia. Converge sull’ambiente e sul suo equilibrato sviluppo. Sembra ci sia un’antica saggezza nella perenne scansione ciclica della natura, dove i contrasti sono ammessi e trovano una loro funzionalità, dove si impara e si affina quello stato di empatia verso l’essenza delle cose e dell’umanità. Da qui la scelta, qualche anno dopo, di vivere in campagna.

Intanto la CIG riduceva ancora il salario ma disponevo della totalità del mio tempo. 

Confesso che vivevo degli istanti di inebriante e assoluto senso di onnipotenza, Poi però mi sentivo in colpa. Sono consapevole che una realtà analoga all’Indesit non sarà più riproducibile. E’ vero che tutta la manodopera femminile occupava il gradino più basso nella gerarchia aziendale: mansioni e categorie esprimono bene la tipologia di questi lavori e la mentalità che sottende l’organizzazione produttiva.

Migliaia di donne che lavorano tutte assieme rappresentano un potenziale enorme per la ricchezza dei rapporti. E’ stata un’occasione importante per scoprire valori comuni a partire dalle differenze, poi tradotti in relazioni forti di amicizia e stima. Mi ero ripromessa di trovare un terreno altrettanto ricco e adatto al confronto, intanto dovevo affrontare problemi di carattere spiccio.

Dovevo tagliare ancora, se possibile, i costi per far quadrare il bilancio. Con pranzo e cena mangiavo un pasto completo al giorno. Il mio piatto preferito era costituito da insalata di carote tritate con pezzetti di formaggio coi buchi: groviera. Su questo fronte non potevo operare tagli: sarebbero rimasti solo i buchi. Le carote costavano poco, mi sentivo fratello elettivo del coniglio Bunny per la quantità industriale consumata. Non possedevo l’auto, potevo farne a mano pur avendo la patente, non potevo permettermela, tuttavia allora ero ideologicamente contraria.

Rimanevano i libri. Pensavo: sarebbe una tragedia non frequentare più librerie. I libri mi hanno allevato, sono stati padre e madre. Vi ho succhiato latte e miele e parole per esprimere il mio dolore.

Casualmente vengo a sapere che si terrà un corso, con esame finale, da bibliotecaria. la storia delle biblioteche e dei libri mi intriga. Inoltre beneficerò fino in fondo della struttura pubblica, sulla quale d’ora in avanti mi orienterò per il prestito libri.

Occorre però il diploma delle medie superiori. E’ un tasto delicato, una ferita aperta e in sofferenza. Maledico il ‘parentume’ che è causa di cotanta catastrofe per me e per la mia famiglia. Invece della scuola ho dovuto frequentare gli stabilimenti di None. Tuttavia c’è una postilla nelle condizioni necessarie per accedere al corso (in alternativa al diploma di maturità si richiede l’esperienza in una qualsiasi sede bibliotecaria). Parto, vado per un periodo ad Alessandria e in quella biblioteca faccio un po’ di pratica necessaria per avere la lettera di presentazione. Così inizierò il corso.

Intanto arriva l’autunno le scuole sono iniziate da un mese. Mi presento al preside e chiedo di iscrivermi. Mi guarda stupito, le lezioni sono iniziate, recuperare è difficile. Insisto; mi chiede una lettera in cui motivo le mie ragioni, se sarò convincente mi iscriverà. Sono impaziente, determinata e un po’ scocciata. La disponibilità all’impegno ritenevo fosse un problema mio e non del preside. Eseguo e torno in giornata. Il giorno successivo inizio scuola.

La cultura non mi appariva come qualcosa di polveroso e distante, ma lì trovavo alimento per il confronto, stimoli per la mia trasformazione, dava tensione e senso di pienezza ai rapporti. La continua ricerca di nuove conoscenze poteva consentirmi di appropriarmi di strumenti di analisi per l’esercizio del senso critico, per interpretare la realtà nelle sue manifestazioni. Un potenziale inesauribile a cui attingere. Qui dimora la forza d’urto del pensiero in libertà.  (Elvira Sobrero)







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La storia di Merloni Elettrodomestici



Il 20 luglio del 1930 Aristide Merloni costituisce a Fabriano (provincia di Ancona) un’azienda per produrre bilance,

raggiungendo nel 1938 un fatturato di 500.000 lire3 con 70 dipendenti. Agli inizi degli anni cinquanta Merloni

è prima in Italia nella produzione di strumenti per pesare, con una quota di mercato del 40%.

In quegli stessi anni vengono scoperti nella pianura padana giacimenti di metano e gas naturale, Merloni coglie

questa occasione e decide di entrare nel settore della produzione di bombole per il gas liquefatto.

Anche grazie a un accordo con l’ENI, l’azienda realizza un moderno stabilimento a Matelica, le cui capacità

produttive consentono di imporsi rapidamente come leader in Italia. Alla fine degli anni cinquanta, viene avviata

un’ulteriore strategia di diversificazione suggerita dal boom economico, che porta l’azienda marchigiana a produrre

prima gli scaldabagni (potevano essere realizzati sfruttando lo stesso processo produttivo delle bombole) e poi,

in uno stabilimento di Albacina, fornelli a gas smaltati (predisposti per essere applicati alle bombole).

Trent’anni dopo l’impianto raggiunge una produzione di 1000 cucine al giorno e un organico di oltre 400 persone.

Il boom economico a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, porta nella casa degli italiani

frigoriferi, lavabiancheria e le prime lavastoviglie. Questi elettrodomestici sono marchiati dai vari concorrenti

con nomi come Zoppas, Candy, Triplex, Rex e Fargas. Anche Merloni decide di inventare un marchio per i propri

prodotti: si sceglie Ariston, che ricorda Aristide, il nome del fondatore, e anche perché in greco significa "il migliore".

Ariston diventa la marca che caratterizza tutte le apparecchiature per la casa prodotte dall’azienda marchigiana,

compresi i mobili che dal 1960 escono dal nuovo stabilimento a Cerreto d’Esi (ha fatto storia l’Unibloc, un mobile

che compatta gli apparecchi essenziali di una cucina), e gli scaldabagni (prodotti a Genga, in una fabbrica

automatizzata che entra in funzione nel 1964), mentre le altre produzioni, bombole comprese, continuano

ad essere marchiate Merloni.

Per completare la gamma degli elettrodomestici, nel 1966 l’azienda acquisisce l’Alia, una società di Milano

che fabbrica frigoriferi.

Nel 1970 la Merloni-Ariston è un complesso di industrie che fattura quasi 50 miliardi, conta 3000 dipendenti

e produce in 8 stabilimenti. Con la morte del fondatore, l’azienda viene riorganizzata in tre realtà autonome:

Merloni Elettrodomestici (che fa capo a Vittorio Merloni), Merloni Termosanitari (che fa capo a Francesco Merloni)

e la realtà meccanica (di Antonio Merloni). Le prime due utilizzano il comune marchio Ariston e, per qualche

aspetto gestionale, vengono coordinate da una società paritaria.

Da Merloni Elettrodomestici a Indesit Company

Nel 1985 viene acquistata Indesit, all’epoca il principale concorrente di Merloni Elettrodomestici nel mercato

interno: Indesit è decisamente più grande e molto più presente all’estero, qualità grazie alle quali Merloni compie

un vero salto dimensionale. Tanto che nel 1987 l’azienda si fa quotare in borsa e, dieci anni dopo (nel 1997),

decide di inserire un amministratore delegato esterno rispetto alla famiglia, creando quindi - per la prima volta -

una separazione tra la proprietà e il top management.

Nel 2004 l’azienda ha prodotto circa 14 milioni di elettrodomestici, confermando la sua posizione di terzo

produttore europeo, immediatamente a ridosso dei colossi Electrolux e Bosch (ma nel comparto lavaggio

è addirittura seconda dopo Electrolux).

Oggi circa la metà della produzione viene realizzata fuori dall’Italia (l’impianto in Russia è la più grande fabbrica

di elettrodomestici d’Europa), il gruppo dà lavoro a circa 18000 persone, 12000 delle quali collocate all’estero

Il fatturato consolidato è oggi superiore ai tre miliardi di euro (fig. 4), di cui solo un sesto in Italia. Tutta la crescita

degli ultimi anni, a ben vedere, è avvenuta grazie all’espansione delle vendite all’estero, come ha sottolineato

molto efficacemente il suo presidente Vittorio Merloni: «Da impresa italiana che si è affermata in Europa,

oggi siamo una società europea con un’anima italiana».

2002 2003 2004

Fatturato 2480 3008 3177

Margine operativo lordo 318 387 405

Margine operativo 203 246 248

Utile ante imposte 166 197 185

Utile netto totale 108 126 118

Lo sviluppo dei mercati in estremo oriente rende lecito pensare che l’Europa allargata (fig. 5) sia solo il primo passo

di un processo di vera e propria globalizzazione. E proprio in questa ottica si è reso necessario un company name

che non fosse legato al nome della famiglia (poco noto all’estero, e del tutto slegato dai brand commercializzati):

dal febbraio 2005 la Merloni Elettrodomestici è stata rinominata Indesit Company .

Rispetto ad Ariston4, il nome Indesit è più conosciuto all’estero, e si porta dietro quelle connotazioni

(giovane, dinamico, innovativo) che oggi più interessano all’azienda.

La politica dei marchi di Indesit Company

Nonostante la crescita continua e le diverse acquisizioni operate in Italia e in varie parti d’Europa, la società

è riuscita a non perdere la sua identità. Questo è stato possibile sia perché si sono conservati nel tempo i valori

iniziali del fondatore - innovazione, rispetto dell’ambiente, ambizione per la leadership, attenzione verso tutti

gli stakeholder, semplicità e genuinità - sia perché si è deciso di mantenere un portafoglio di marchi molto snello,

in particolare l’azienda gestisce:

a) due marchi internazionali:

Ariston,

la cui brand identity ha come centro il mondo delle passioni domestiche: the love of caring and the joy

of sharing. I valori del marchio sono la Cura, lo Stile, la Qualità e le Performance. Il pay off è Time together.

La gamma Ariston cerca di mantenere la promessa del brand con prodotti innovativi quali, ad esempio, le lavatrici

silenziose e il sistema Everfresh (il primo sistema di sottovuoto integrato all’interno del frigorifero).

In termini di prezzo Ariston ha un posizionamento medio-alto .

Indesit, 

il cui pay off è We work, you play. Elettrodomestici semplici e affidabili, che lasciano spazio al tempo

libero e al divertimento. A conferma di questa brand identity, le nuove caratteristiche sono i programmi rapidi

delle nuove lavatrici Time4you (lavaggio in classe A in 60 minuti) e il cestello del frigo Playzone capace

di contenere e rinfrescare velocemente oltre 15 bottiglie. Nell’ambito della comunicazione la marca viene spesso

abbinata al mondo dello sport, con la sponsorizzazione di alcune importanti squadre di calcio in diversi paesi

europei, e con il contratto quinquennale con la classifica internazionale di tennis ATP. Indesit ha un posizionamento

di prezzo medio-basso .



due marchi geografici:

Scholtès, frutto di un’acquisizione del 1989 in Francia (oggi è anche in Italia nei punti vendita che offrono prodotti

Built-in di elevato design). Il suo prezzo è nella fascia alta del mercato. Il posizionamento è incentrato sul concetto

di Performance dedicate all’arte del cucinare.

Hotpoint, acquisito nel 2001 in UK5; sostituisce (e si sovrappone in termini di posizionamento) il brand Ariston

nel mercato del Regno Unito.

La politica di Indesit Company di razionalizzazione del portafoglio brand6, è sempre più seguita anche dai diretti

concorrenti che, comunque, partono da situazioni diverse. Electrolux, che gestisce più di 20 marchi ha iniziato

ad abbinare i marchi locali (per esempio Rex in Italia o AEG in Germania) al suo logo. Analogo percorso stanno

avviando Bosch e Whirpool (ognuna delle quali ha più di 10 marchi).

La politica di gamma dei prodotti di Indesit Company

Per quanto riguarda i prodotti, la gamma di Indesit Company si sviluppa lungo quattro diverse linee:

a. cottura (cucine e forni, 27% del portafoglio prodotti)

b. freddo (frigoriferi e congelatori, 29%)

c. lavastoviglie (7%)

d. lavabiancheria (37%)

E due categorie:

1) free-standing, 

ossia i prodotti che vengono acquistati e installati in casa come elementi autonomi; vengono

venduti nei normali negozi di elettrodomestici e rappresentano il 73% del mercato complessivo (a valore)

del quale il 52% è controllato dai primi quattro concorrenti, tra cui Indesit Company.

Per competere in questa categoria è indispensabile raggiungere significative economie di scala,

senza le quali non è possibile ottenere vantaggi di costi e offrire prodotti a prezzi concorrenziali;

2) built in (da incasso),

ossia quegli elettrodomestici che vengono venduti anche ai produttori di cucine

componibili e arrivano nelle case degli acquirenti già inseriti all’interno del mobile. La categoria (27%

del mercato) è più concentrata (i primi quattro concorrenti ne controllano il 67%), c’è meno concorrenza

e garantisce margini migliori per i produttori.

Per entrambe le categorie si prevede una crescita annua di circa il 3% della domanda europea.

Complessivamente il catalogo Indesit Company si compone di circa 3000 referenze, delle quali ben il 40%

viene rinnovato ogni anno (quindi il ciclo di vita dei prodotti non supera in media i due anni e mezzo).

Nella maggior parte dei casi viene realizzato un restyling (necessario per evitare che il prezzo del modello cali

di anno in anno); talvolta vengono realizzati prodotti completamente innovativi che svolgono funzioni nuove

o in modo molto più efficiente, come per esempio la funzione che consente al forno di auto-pulirsi senza l’uso

di sostanze chimiche; il sistema di conservazione per alimenti sotto vuoto; i modelli di frigorifero Graffiti

(sul quale si può disegnare con il pennarello); il programma Sport per la lavabiancheria (consente di lavare

frequentemente l’abbigliamento e le scarpe usati per l’attività fisica) e così via.

http://eco.uninsubria.it/webdocenti/egi/EGI%20INT/materiale%20philip%20morris/caso_indesit.pdf#search=%22storia%20indesit%22


1980- None




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Piero Baral/Indesit

Con l’assunzione all’Indesit nel 1972, mi ritrovo presto come operaio ad una linea di macchine utensili, e

dimostro alla direzione e ai compagni di essere un operaio poco affidabile. Niente a che vedere con la

tradizione dell’operaio comunista professionalizzato che si riconosce nel lavoro e cerca di farlo bene per

poter dire la sua nel sindacato e nel partito. Accumulo provvedimenti disciplinari e infrazioni sulle bollature,

la mutua, la produzione… L’impegno che non metto nel rispettare le ‘regole’ sul lavoro lo metto invece nella

politica, quegli anni sono densi di attività negli orari più strani, strappando tempo al sonno, cosicché reggo

sempre meno i turni in fabbrica. Vivo di corsa, in un attivismo che oltre a farmi perdere poi il lavoro

comincerà a logorarmi i nervi.

Imparo al circolo operaio di None, specialmente da un compagno uscito dal PCI nei primi anni Sessanta, a

leggere e commentare la fabbrica e la realtà più vasta alla luce dei testi originali dello ‘zio Karl’ o di

‘Carletto’ come veniva soprannominato l’autore de Il Manifesto dei comunisti . Non studierò mai con

metodo quello ed altri testi sacri testi della sinistra. Letti e riletti ma non assimilati.

Incomincio ad imparare regole di comportamento originali nella lotta di fabbrica, nella scrittura dei

giornalini settimanali venduti ai lavoratori, nei confronti dei gruppi extraparlamentari di allora e del PCI.

Si possono riassumere come segue:

- no all’idea che la classe operaia sia omogenea e pronta magari all’appello alla rivoluzione da parte del

‘partito’ di turno, no alla delega ai dirigenti a pensare e parlare a nome degli ‘iscritti’ o della base elettorale,

no alla battaglia per la propria ‘maglietta’ sindacale a spese della possibile unità dei lavoratori, no al ‘tifo’

per la lotta armata e per i Robin Hood che dicono che è arrivato il momento della rivoluzione e iniziano a

sparare sempre più in alto a nome della classe operaia; no alla divisione tra chi studia e chi lavora, necessità

di convincere i lavoratori a unire alla disponibilità alla lotta l’impegno a farsi una cultura ( però sarò l’unico

del Circolo che non si sforzerà di riprendere a studiare, preferendo dedicarmi invece a una trentennale

variopinta attività di informazione politica o sindacale di base, impegno per me alla lunga più faticoso ma

anche ‘divertente’.)

. Imparo che chi vuole la lotta più dura può rivelarsi un crumiro, come pure che gridare al ‘contratto bidone’

o al ‘sindacato venduto’ non vuol dire essere automaticamente disponibili a organizzarsi e lottare in prima

persona; inoltre che non si deve accettare ‘la nomina a delegato a vita ( i senatori…), ma saper creare ricambi

e saper alimentare il dibattito e la partecipazione senza farsi delegare, e staccare dalla produzione.

- Imparo che la contraddizione tra borghese e proletario passa all’interno della classe operaia e di ogni

individuo, ma una cosa è dirlo e una cosa è iniziare la propria rivoluzione personale.

Più complesso è spiegare il mio disinteresse verso il lavoro sindacale tradizionale , ritenuto da me

noioso o burocratico. Anch’io in fondo delegavo a chi ‘sapeva’, e non ho fatto passi avanti con l’ingresso in

Alpcub nel 1995. (Grandi spazi di democrazia non c’erano nemmeno negli anni ’70 all’interno dei sindacati

a meno che non fossero imposti da lotte vivaci.)

Nell'autunno del 74 mi licenziano dallIndesit.In Fiat  arrivo nel 76 dopo una esperienza come manovale edile.

Mi iscrivo nel cantiere alla CGIL, prima ero nella FLM unitaria.

 In CGIL sono stato per vent’anni. Uscii nel 1994 e prima di

Alp proponevo un’associazione di inchiesta, confronto e sostegno alle parti più vivaci presenti fra i

lavoratori, senza preoccupazione per le differenze di ‘maglietta’ sindacale. In attesa di tempi migliori di forti

lotte e magari di un sindacato a venire, ‘di classe’. Invece i più scelsero di fondare un sindacato territoriale di

base e mi accodai. ) Un simile disinteresse e una simile ‘delega a chi ha voglia’ ho provato verso l’impegno

nelle amministrazioni comunali. La mia esperienza nei partiti è stata in totale di 3 anni

40 chili fa