Sarebbe oggi vicino ai sessant'anni. Era nato a Cagliari il 16 luglio
1951, morì a Pisa il 7 maggio del 1972, dopo lunga agonia, ammazzato
dai colpi di manganello, dai pugni, dai calci di alcuni agenti della
Celere di Roma, dall'indifferenza di medici, carcerieri, magistrati...
«Il posto dove fu colpito a morte è sul Lungarno Gambacorti di Pisa,
tra via Toselli e la via Mazzini...». Così comincia il libro di
Corrado Stajano, «Il sovversivo», dove si racconta «vita e morte
dell'anarchico Serantini». Riletto quasi trentacinque anni dopo la
pubblicazione e trentasette dopo quei fatti di Pisa dà la sensazione
tremenda di una cronaca d'oggi o solo di pochi mesi fa: sembra d'essere
a Genova nei giorni del G8, Franco Serantini pare Federico Aldrovandi o
assomiglia, ancora più vicino a noi, a Stefano Cucchi.
«Una morte questa di Stefano - dice ora Corrado Stajano - che sarebbe
passata nel silenzio, se non ci fosse stata una sorella combattiva, se
non ci fosse stata quella famiglia che ha avuto il coraggio di opporsi.
Contro la verità, mi pare d'assistere a storie, che ho già vissuto, di
deviazioni e di bugie». La morte di Serantini non passò sotto
silenzio. Ai suoi funerali (e sono tra le pagine più belle e commoventi
del libro), il 9 maggio, un fiume di gente. I detenuti del carcere Don
Bosco, dove Serantini aveva trascorso le ultime ore, inviarono un mazzo
di margherite. Franco Serantini era nato senza famiglia, abbandonato in
un brefotrofio. Fu dato in affidamento a una famiglia siciliana, visse
in istituto a Cagliari. Quando arrivò ai diciassette anni, un'esistenza
di solitudine, decisero che si rendeva utile il ricovero in
riformatorio. Serantini era soltanto chiuso di carattere, soffriva
l'autorità (o l'autoritarismo), ma non aveva mai commesso un reato:
tuttavia fu così destinato... Serantini giunse a Firenze (all'Istituto
di osservazione per i minori scoprirono che il suo quoziente di
intelligenza era 1,02, quando la media è di 0,70), venne dirottato al
centro di rieducazione maschile Pietro Thouar di Pisa, in semilibertà:
di giorno poteva uscire. Il riformatorio è la via della maledizione:
Serantini si salvò.
Era il Sessantotto quando Serantini arrivò a Pisa. Si lasciò prendere
dalla politica, cominciò a partecipare alle assemblee degli studenti,
trovò persino un lavoro. Prese la licenza media e cominciò a
frequentare un istituto professionale. Divenne anarchico. A Pisa
giravano squadracce fasciste: le aggressioni si ripetevano, ma la
polizia caricava gli antifascisti, quando protestavano. La politica
nelle strade era anche questa. A Roma, al governo si era esaurita
l'esperienza del centrosinistra, le elezioni furono indette per il
maggio dell'anno successivo, il 1972. Il 5 maggio Giuseppe Niccolai,
deputato missino, avrebbe parlato in Largo Ciro Menotti, nonostante le
tensioni alle stelle di quei giorni. Per quella giornata arrivarono a
Pisa rinforzi di polizia, anche ottocento agenti del I Raggruppamento
celere da Roma. Più cinquecento carabinieri, più cento carabinieri
paracadutisti, più i reparti della ps di stanza in città. Che fu una
città sotto assedio, che mi ricorda Genova. «Mi immagino - racconta
Corrado Stajano - Serantini solo in mezzo alla strada. Questo dicono
tutte le testimonianze. Solo e inerme in Lungarno Gambarcorti. Sarebbe
potuto fuggire come gli altri quando la polizia aveva sfondato la
barricata.
Ma non si mosse, invece. Invece lo assalì un nugolo di agenti, che lo
massacrarono di botte, con ferocia, con crudeltà. Un ragazzo che non
aveva alzato neppure una mano...». A Pisa qualcuno tentò di
intervenire. Il commissario Pironomonte cercò con l'arresto di
sottrarre Serantini alla furia degli agenti e pochi giorni dopo si
dimise. Fu un'eccezione. Ma gli altri. Gli altri... Non solo i
poliziotti che picchiarono. Anche il medico che visitò Serantini
all'ingresso in carcere e che non ordinò il ricovero di un ragazzo che
non si reggeva in piedi con la testa sfondata, il magistrato che continuò
a interrogarlo in quelle condizioni, i secondini che non intervennero
malgrado i richiami del compagno di cella di Serantini. Sta di fatto che
tutto si ingarbugliò tra reticenze, bugie, conflitti giudiziari, quando
avocazioni e trasferimenti di magistrati intervennero pesantemente
sull'inchiesta. «In questo senso credo che Serantini sia stato ucciso
due volte: una dalla polizia, la seconda dalle istituzioni che non gli
hanno reso giustizia. Con un bravo giudice istruttore, Paolo Funaioli,
in conflitto con il procuratore generale di Firenze, Calamari, che io
definisco un personaggio da vetrata medioevale. Sarebbe bastato leggere
le perizie medico legali...». L'ex democristiano Giovanardi ha detto
che Stefano Cucchi è morto perché era drogato e anoressico. «I periti
scrissero che Franco era portatore di una voluminosa milza, da bambino
aveva avuto la malaria, aveva le ossa della testa più sottili del
normale e quindi aveva una minore resistenza ai colpi».