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Franco
Fortini (pseudonimo
di Franco Lattes), nato a Firenze il l0 settembre 1917,da padre ebreo e
madre cattolica (Fortini è il cognome della madre da lui adottato nel
1940), ha compiuto i suoi studi nella città natale laureandosi in lettere
e in giurisprudenza.
Espulso,
in seguito alle leggi razziali, dall'organizzazione universitaria
fascista, dopo l'8 settembre 1943 ripara in Svizzera dove si unisce ai
partigiani della Valdossola.
Dal
l945 si stabilisce a Milano, che diventa sua città d'adozione e dove
oltre all'insegnamento svolge molteplici attività di copywriter,
consulente editoriale, traduttore e, infine, come docente universitario di
Storia della Critica all' Università di Siena.
Franco
Fortini ha attraversato la problematica dell'ermetismo, per arrivare
presto a una forma di marxismo critico che lo ha collocato in una
posizione fortemente polemica, sia verso l'establishment letterario, sia
verso le neoavanguardie, tra le cui file si è mosso.Testimone
intransigente di quella speranza di rivoluzione, che aveva sostenuto la
lotta partigiana, nelle sue forme più avanzate, come la Repubblica della
Val d'Ossola, Fortini si è costantemente impegnato, da intellettuale
rivoluzionario, nelle lotte ideologiche del suo tempo, con opere di
critica e di narrativa, con reportages ed epigrammi, in cui come, un Aiax
mastigophoros alla rovescia, ha "trattato da eroi quelli che erano
poco più di un gregge".
Dei
suoi scritto ricordiamo "Foglio di via e altri versi", Einaudi,
Torino, 1946; "Agonia di Natale", Einaudi, Torino, 1948;
"Dieci inverni" (1947-1957), Feltrinelli, Milano, 1957;
"Poesia ed errore (1937-1957)", Feltrinelli, Milano,
1959;"Verifica dei poteri", Il Saggiatore, Milano, 1965;
"L'ospite ingrato", De Donato, Bari, l966; "I cani del
Sinai", De Donato, Bari, 1967; "Questioni di frontiera",
l977; "Insistenze", l985; "Composita solvantur",
Einaudi, Torino, l995.
Della
sua vasta attività di traduttore ricordiamo: M. Proust, "Albertina
scomparsa", Einaudi, Torino, 1952; e, dello stesso autore, "Jean
Santeuil", Einaudi, Torino, l953; Bertold Brecht, "Poesie e
canzoni", Einaudi, Torino, 1961; W. Goethe, "Faust",
Mondadori, Milano, 1970; "Il ladro di ciliege", Einaudi, Torino,
l983; "Composita solvantur", Einaudi, Torino, 1994.
Franco
Fortini ha collaborato ad alcune tra le più importanti riviste del
Novecento: a "Letteratura" (di Bonsanti) e "Riforma
letteraria" (di Carocci e Noventa), sotto il regime fascista; e, dopo
la guerra, a "Il Politecnico" (di Vittorini),
"Ragionamenti" (da lui fondata nel l955 con L. Amodio, S.
Caprioglio, e Roberto e Armanda Guiducci) "Officina" e
"Comunità", nonché a diversi quotidiani: dall'
"Avanti!" (di cui è stato redattore dal l945 al l948) al
"Corriere della Sera", al "Sole-24 0re".
Franco
Fortini è morto a Milano nel l994.
http://www.windoweb.it/guida/letteratura/biografia_franco_fortini.htm
- Da Una volta per sempre, poesie 1938-1973
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- Foglio di via
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- Dunque nulla di nuovo da questa altezza
- Dove ancora un poco senza guardare si parla
- E nei capelli il vento cala la sera.
-
- Dunque nessun cammino per discendere
- Se non questo del nord dove il sole non tocca
- E sono d'acqua i rami degli alberi.
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- Dunque fra poco senza parole la bocca.
- E questa sera saremo in fondo alla valle
- Dove le feste han spento tutte le lampade.
-
- Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.
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- Canto degli ultimi partigiani
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- Sulla spalletta del ponte
- Le teste degli impiccati
- Nell'acqua della fonte
- La bava degli impiccati.
-
- Sul lastrico del mercato
- Le unghie dei fucilati
- Sull'erba secca del prato
- I denti dei fucilati.
-
- Mordere l'aria mordere i sassi
- La nostra carne non è più d'uomini
- Mordere l'aria mordere i sassi
- Il nostro cuore non è più d'uomini.
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- Ma noi s'è letta negli occhi dei morti
- E sulla terra faremo libertà
- Ma l'hanno stretta i pungi dei morti
- La giustizia che si farà.
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-
- Traducendo Brecht
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- Un grande temporale
- per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
- sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
- Fissavo versi di cemento e di vetro
- dov'erano grida e piaghe murate e membra
- anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
- ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
- ascoltavo morire
- la parola d'un poeta o mutarsi
- in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
- sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
- parlano nei telefoni, l'odio è cortese, io stesso
- credo di non sapere più di chi è la colpa.
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- Scrivi mi dico, odia
- chi con dolcezza guida al niente
- gli uomini e le donne che con te si accompagnano
- e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
- scrivi anche il tuo nome. Il temporale
- è sparito con enfasi. La natura
- per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
- non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
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- La partenza
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- Ti riconosco, antico morso, ritornerai
- tante volte e poi l'ultima.
-
- Ho raccolto il mio fascio di fogli,
- preparata la cartella con gli appunti,
- ricordato chi non sono, chi sono,
- lo schema del lavoro che non farò.
- Ho salutato mia moglie che ora respira
- nel sonno sempre la vita passata,
- il dolore che appena le ho assopito
- con imperfetta, di sé pietosa, atterrita tenerezza.
- Ho scritto alcune lettere ad amici
- che non mi perdonano e che non perdono.
- E ora sul punto di dormire
- un dolore terribile mi morde
- come mille anni fa quando ero bambino
- e lo chiamavo Iddio, e Iddio è questo
- ago del mondo in me.
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- Fra poco, quando dai cortili l'aria
- fuma ancora di notte e sulla città
- la brezza capovolge i platani, scenderò per la via
- verso la stazione dove escono gli operai.
- Contro il loro fiume triste, di petti vivo,
- attraverso la mobile speranza
- che si ignora e resiste,
- andrò verso il mio treno.
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- Dopo una strage
- da Lu Hsun
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- Le notti lunghe di primavera le passo ormai
- con moglie e figlio. Fragili alle tempie i capelli.
- Vedo in sogno imprecise lacrime di una madre.
- Sulle mura hanno mutato le grandi bandiere imperiali.
- Vite di amici diventano spettri, non resisto a vederle.
- In ira contro siepi di spade cerco una piccola poesia.
- Non lamentarsi. Chino il capo. Non si può scrivere più.
- Come acqua la luna illumina la mia veste oscura.
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- Il seme
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- Caduti i cartocci giù
- le foglie luccicano come piccioni
- della magnolia altissima. Sotto i cedri
- dove la luce del pomeriggio è fitta
- vedo l'erba crudele acida profonda
- e l'interrogazione ritorna
- ai colpi di vento si curva
- si divide ritorna ma dicono i merli di no
- camminando o fermi.
-
- Mio padre
- s'inteneriva sulla propria morte
- udendo l'allegretto della Settima.
- Negli angoli dove c'è a marzo maceria
- con gran pianti i bambini seppellirono
- gli uccelli caduti di nido. Ma nulla
- sa più di noi e discorre da sola
- coi suoi corni e le trombe la musica
- tra questi muri sudati.
- In luogo di lui ci sono io
- o mio figlio o nessuno.
-
- Tutti i fiori non sono che scene ironiche.
- Ormai la piaga non si chiuderà.
- Con tale vergogna scenderò
- i seminterrati delle cliniche
- e con rancore.
- Non è ancora luglio
- non ancora scaldato asciutto assoluto
- il seme.
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- Il presente
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- Guardo le acque e le canne
- di un braccio di fiume e il sole
- dentro l'acqua.
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- Guardavo, ero ma sono.
- La melma si asciuga fra le radici.
- Il mio verbo è al presente.
- Questo mondo residuo d'incendi
- vuole esistere.
- Insetti tendono
- trappole lunghe millenni.
- Le effimere sfumano. Si sfanno
- impresse nel dolce vento d'Arcadia.
- Attraversa il fiume una barca.
- E' un servo del vescovo Baudo.
- Va tra la paglia d'una capanna
- sfogliata sotto molte lune.
- Detto la mia legge ironica
- alle foglie che ronzano, al trasvolo
- nervoso del drago-cervo.
- Confido alle canne false eterne
- la grande strategia da Yenan allo Hopei.
- Seguo il segno che una mano armata incide
- sulla scorza del pino
- e prepara il fuoco dell'ambra dove starò invisibile.
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