C’era tanto, della nostra chiesa e del nostro giornale, nella tipografia Subalpina (o Alpina, a seconda delle epoche storiche) di Torre Pellice che si sta smantellando in questi giorni. Grazie a chi vi ha lavorato per decenni e, oggi, al comune di Torre Pellice le testate di quasi tutti i giornali che nel corso degli anni vi si sono stampati verranno recuperate e messe a disposizione del pubblico affinché possano ammirarle e, per qualche anno ancora «riconoscerle». Giornali locali come «Il Pellice», il «Giornale di Pinerolo e Valli», «Cronache del Pinerolese», il «Corriere Alpino», il nostro «Eco delle Valli Valdesi», ma soprattutto i giornali clandestini durante il periodo bellico: «Il Pioniere», «La baita», «La forgia». Erano anni in cui stampare certe notizie poteva costare la vita: bisognava stampare di notte grazie al lavoro clandestino, al coinvolgimento dei tipografi, al loro mettersi a disposizione condividendo fino al carcere una causa. Fu la tipografia della Resistenza e non solo per le Valli. I volantini e il materiale di controinformazione da qui partivano per tutta Italia. Tutto questo mentre a pochi passi, proprio di fronte all’ingresso della tipografia, la caserma Ribet brulicava di fascisti e nazisti.
E proprio questi locali ospiteranno, speriamo a breve, la Biblioteca della Resistenza, nata dall’impegno costante di Sergio Benecchio che iniziò una sua personale raccolta di testi e documenti fin da quando aveva il vicino Bar Sport e fece nascere la «Biblioteca di quartiere». E accanto ai libri, in una apposita stanza, troveranno sede anche una vecchia linotype (la macchina con cui si componevano le righe di piombo) e una vecchia «Heidelberg», la macchina con cui si stampavano volantini e tuttora in funzione. Grazie anche alla disponibilità dei caratteri mobili le scolaresche potranno capire dal vivo come si componeva e si stampava, prima dell’avvento dei computer, un volantino o un giornale.
Ma c’era anche, allora, un’altra protagonista. Una vecchia e pesante macchina per stampare, che finì la sua carriera nel 1989 per essere sostituita da una un po’ più giovane. La prima era «La» macchina della Resistenza. Era arrivata proprio durante il periodo bellico, in pezzi dalla Nebiolo, grazie alla complicità di altri elementi della Resistenza; rimontata a Torre Pellice, fu l’artefice, con i tipografi dell’Alpina, della stampa dei giornali clandestini. E quando, quasi 20 anni fa, si ruppe in modo irrimediabile, sembrava destinata a finire nel ferrovecchio.
Ma ancora Benecchio e Gustavo Malan, il redattore del «Pioniere» ormai in pensione in valle, si opposero al destino e, coinvolgendo l’amministrazione comunale, ottennero di «salvarla»: destinazione temporanea un vecchio deposito comunale a San Ciò e finale un museo. La macchina è ancora là, sotto la polvere e arrugginita. Per fortuna non lo è altrettanto l’idea di libertà e giustizia che aveva contribuito a diffondere. Oggi dalla chiusura della tipografia si salvano con le stesse speranze altre due macchine; ricordo ancora, a metà degli anni ’80 la lentezza del movimento delle «braccia» della macchina quando prendeva i fogli di carta per stampare il nostro giornale. Quella macchina, e le altre che presto dovranno essere nella Biblioteca della Resistenza, sono ancora lì; per sostenere antichi valori e idealità.
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Montagna e tipografia |
In
uno degli ex libris riprodotti nella mostra e riportati
nell'elegante volume di presentazione, vediamo due uomini che
con forza azionano la leva di un torchio tipografico; fa da
sfondo all'immagine un paesaggio di montagne. Una analogia a
prima vista casuale, così distanti appaiono questi due mondi,
quello della stampa e quello delle rocce e dei ghiacci.
Eppure la storia è ricca di episodi che legano tra loro questi due mondi. Ci viene in mente Shekleton, l'esploratore che nel 1902 portò con sé in Antartide un torchio tipografico con relativa cassa caratteri, e due apprendisti tipografi per comporre e stampare le proprie impressioni e memorie, in un libro, oggi rarissimo, illustrato da incisioni stampate su un torchio calcografico. Del resto la tipografia in zone montane ha origini antiche: già nel 1472, molti anni prima che in grandi città europee, in Italia nasceva una importante tipografia a Fivizzano, borgata in pieno Appennino della Garfagnana (che ospita oggi un Museo della Stampa curato dai fratelli Bononi): tipografia che diede alla valle il via a una intensa crescita intellettuale. La montagna fino all'Ottocento, fu terra di confine, luogo di comunicazioni piú o meno clandestine: anche questo aspetto si ricollega alla tipografia, ritenuta per molti anni un'attività pericolosa tanto da richiedere licenze da parte dei rispettivi governanti per essere praticata. Una tipografia situata in luogo impervio, o in una valle montana di confine, come fu l'Alto Adige, che durante il XVI secolo vide sorgere importanti attività di stampa. Ma ci sono legami ancora piú stretti tra la tipografia e la montagna e, a volte, la clandestinità: durante la prima guerra mondiale, un Alpino tipografo fu incaricato di stampare regolarmente foglietti con notiziari per i commilitoni, mentre stavano in trincea sull'Adamello. Quella piccola pedalina portatile esiste ancora presso un discendente, anche lui tipografo il quale racconta che finì la carta e l'inchiostro proprio quando giunse la notizia della vittoria del 4 novembre 1918. Ma sappiamo che molte truppe, sempre nel corso di quella guerra, combattuta soprattutto in montagna, avevano tipografie al seguito così come le cucine ed erano i muli, inseparabili compagni degli Alpini a trasportare torchi e caratteri. Ma anche durante il periodo della Resistenza la tipografia fu essenziale, e lo fu soprattutto in montagna dove operavano la gran parte dei partigiani. Ancor oggi c'è chi ricorda la Cooperativa Tipografica Subalpina di Torre Pellice fondata nel 1880, sotto il cui pavimento di legno venivano nascoste pubblicazioni clandestine che, di notte, venivano portate a destinazione nascoste in carri carichi di fieno. Il tipografo fu arrestato dai fascisti nell'aprile del 1945 poco prima della liberazione, che gli salvò la vita. Una Platina portatile Boston fu protagonista ancora presso un distaccamento di Partigiani a Pian di Turra, in Val Ellero, nelle Alpi Marittime, per stampare avvisi e informazioni che venivano distribuite alla popolazione e ad altri gruppi combattenti. Quando si seppe che i tedeschi avevano scoperto l'origine di questi stampati ‘sovversivi', la Boston fu smontata e sotterrata. Solo dopo la liberazione fu ritrovata e portata al Museo della Resistenza di Chiusa di Pesio. Marco F. Picasso |