Adriano Olivetti. Manifesto
programmatico di Comunità |
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La Direzione Politica Esecutiva del Movimento Comunità,
riunitasi a Roma nel gennaio 1953, ha deliberato di rendere pubblica una
dichiarazione politica che prenda in esame la situazione italiana e
internazionale, allo scopo di precisare in modo esplicito alcuni punti
fondamentali delle sue linee d'azione. Secondo la natura e gli scopi del
Movimento Comunità, che non è impegnato, al modo dei partiti, nella
tattica del giorno per giorno, ma è volto, con i suoi organi di studio e
con quelli più propriamente politici, al riesame e al rinnovamento delle
strutture stesse del regime democratico, la presente dichiarazione
affronta i problemi della vita italiana con una prospettiva molto ampia,
in senso che potremmo chiamare strategico o radicale. Un simile impegno
non è certamente volontario astrattismo, ma al contrario fa parte
integrante del nostro programma politico. Programma
aperto. 1. - Le definizioni che del Movimento Comunità si
possono dare secondo il linguaggio politico corrente sono insufficienti.
Il Movimento Comunità è antifascista, repubblicano, democratico,
federalista, cristiano e laico (1), socialista e personalista: ma tali
caratterizzazioni, se possono servire a situare approssimativamente il
Movimento Comunità in un settore dello schieramento culturale e politico
italiano, ne indicano la realtà solo in modo generico. L' azione
programmatica del Movimento Comunità esula infatti dai limiti
tradizionali della «politica» intesa come rapporto di forze, e si fonda
su una diversa moralità sociale: «politica» è per noi la possibilità
dell'uomo di armonizzare e sintetizzare esigenze e vocazioni diverse, e
azione politica è lo sforzo di creare istituzioni che rendano operante
tale possibilità. Politica è rapporto attivo, consapevole, armonioso tra
l'uomo e l'ambiente del suo operare quotidiano, e azione politica è la
ricerca delle condizioni in cui questo rapporto possa avere vita. Di qui,
in via d' esempio, il grande valore «politico» che ha per noi
l'urbanistica. Di qui soprattutto il nostro rifiuto di distinguere tra
morale personale e morale politica. Il nostro rifiuto di subordinare, in
ordine alla moralità, i mezzi ai fini. Il rifiuto della violenza se non
di fronte alla aperta prevaricazione. La fiducia nella tolleranza come
attivo dialogo e non come passiva rassegnazione. Il rifiuto di ogni forma
di sfrutamento dell'uomo. Il rispetto assoluto della persona umana. Dovunque ci sia conflitto, per esempio, tra la
macchina e l'uomo, tra lo stato e un ente territoriale locale, tra la
tecnica e la cultura, tra la burocrazia e il cittadino, tra l'economia del
profitto e l'economia del bisogno, tra l'automatismo e il piano, tra il
mero piano economico e il piano urbanistico, tra la città elefantiaca e
l'insediamento a misura d'uomo, e infine tra l'ipotetico idillio di una
società avvenire e la reale angoscia delle «generazioni bruciate», -
noi sapremo immediatamente qual' è la nostra parte. A questa morale personalistica (in cui convergono
tutti gli elementi più urgenti della morale cristiana, dell'anarchismo,
del liberalismo, del socialismo) noi crediamo sia indispensabile rimanere
fedeli se si vuole, dalla profonda crisi del nostro tempo, risalire alla
gioia della libertà e all' unità dell'uomo. Lotta
per un socialismo istituzionale. 2. - Il mondo politico contemporaneo è oggi
profondamente diviso da un massiccio contrapporsi di blocchi armati,
animati l'uno contro l'altro da uno spirito di crociata. Nel suo
richiamarsi ai valori della civiltà cristiana e della libertà personale,
il Movimento Comunità si inserisce per sua natura nella cultura
occidentale, ma non accetta le premesse dell'attuale schieramento di stati
che prende il nome, appunto, di. occidentale. Sotto la egida di tale
schieramento si dànno infatti per risolti, una volta per tutte, problemi
che invece attendono ancora, nella nostra società, soluzione urgente.
Quello che fu chiesto con drammatica evidenza per il mondo comunista, l'habeas
animam, non è certamente acquisito nella società capitalistica ed in
gran parte degli Stati democratici. I delitti tradizionali del mondo
capitalistico, il pauperismo, la disoccupazione endemica, lo sfruttamento
in nome del privilegio, si accompagnano oggi in molti stati con una
mortificazione crescente della stessa democrazia formale, della libertà
di stampa, di riunione, di espressione, con il diminuito rispetto per le
minoranze religiose e razziali, ecc. Inoltre, l'insorgere delle lotte
coloniali e il risvegliarsi alla coscienza politica di larghe masse
popolari di oriente è, storicamente, uno dei fatti centrali del nostro
tempo e non può essere risolto in alcun modo nel quadro semplicistico
della contrapposizione oriente-occidente, ove «occidente» si
identificherebbe con democrazia. D'altra parte, il mondo comunista staliniano è ormai
fondato sulla certezza che in esso si realizzerà un regno di intera
prosperità, di intera felicità, di intera perfezione, e giustifica
quindi, con questo utopismo d'idillio, la più spietata «moralità di
Stato». Lo Stato, per l'escatologia marxistica, è destinato a
scomparire, con il «salto dal Regno della Necessità al Regno della
Libertà». Su questo piano si è basato, da parte dei comunisti
da Lenin in poi, il rifiuto di creare uno Stato che si fondi sul diritto.
E così anche l'anarchia prevista da Lenin (quella che determinati
mutamenti di Struttura finirebbero per realizzare nel tempo) perde quel
valore almeno pedagogico che ha, nei migliori tra gli anarchici,
1'anarchismo vissuto e attuale: continuo richiamo, e tensione, verso
un'anarchia ideale che non si potrà mai - appunto - realizzare nel tempo,
ma che pur sempre rappresenterà una pietra di paragone per le strutture
sociali in atto o in fieri. Ora, noi crediamo di doverci distinguere non solo dai
socialisti rivoluzionari e comunisti, ma anche dai socialisti riformisti
che accettano passivamente le costituzioni «borghesi», volti solo alla
riforma della legislazione economico-sociale e scarsamente consapevoli del
valore sociale del diritto come tale; che cioè guardano
antistoricisticamente al punto in cui, terminate le graduali
trasformazioni, si perverrà alla società socialista, della cui
configurazione istituzionale poco si preoccupano. E crediamo di poter
opporre, agli uni e agli altri, con molta fermezza, che mèta della lotta
politica debba essere la creazione di un nuovo ordine giuridico,
istituzionale, che risponda al requisito, perennemente essenziale, di
risultare, di volta in volta, fondato su norme certe uguali per tutti.
Parlare di «diritto rivoluzionario» è una contraddizione in termini (se
non lo si intenda come una semplice formula politica di comodo): occorre
distinguere sempre tra la singolarità del fatto e la generalità del
diritto. Potrà mutare il contenuto di un dato sistema giuridico, e, in
luogo del diritto «borghese», aversene altri ispirati al cristianesimo,
al socialismo, ecc.; ma il diritto dovrà presentarsi sempre come una
ipotesi di lavoro ben certa. In tal senso, contro le «costituzioni
rivoluzionarie», ibrida e diseducativa mescolanza di diritto e di fatto,
di rivoluzione e di ordine nuovo, consideriamo il diritto una delle
garanzie più forti contro gli arbitrî e i trasformismi. (Del resto,
vecchia verità questa: furono i plebei a esigere leggi certe, «scritte»,
le future XII Tavole) (2): In conclusione, il Movimento Comunità, che: • da un lato accetta l'unità delle forze del
lavoro nella lotta contro il privilegio, • ma in questa lotta vuol scendere più a
fondo di quell'economicismo che (lo si riconosca o no) è ineliminabile
nell'impostazione marxistica, in quanto non si tratta soltanto di
stabilire a chi sia attribuita la proprietà, ma anche quale sia la
distribuzione di potere che essa determina; • dall'altro lato non crede nel mito della
rivoluzione in quanto tale, ma piuttosto ricerca quegli strumenti,
rivoluzionari o gradualistici, che arrivano più rapidamente allo scopo,
con minor violenza alla libertà e soprattutto con minor confusione tra
fini e mezzi; • e dissente in egual misura sia dai
moralisti che pretendono di mutare astrattamente gli uomini prima della
realtà sociale, sia dai marxisti che sopravvalutano la priorità del
mutamento delle strutture economiche nel processo di rinnovamento sociale
; • e infine prende a fondamento della propria
opera il valore «sociale» del diritto e a propria mèta la creazione di
un «ordine» nuovo, ordine giuridico, istituzionale, fondato sul diritto
come norma certa, si pone nella realtà politica contemporanea come una
forza operante di «socialismo istituzionale». Comunità
territoriali e ordini politici. 3. - Quale sia poi il nuovo ordine, la istituzionalità
congrua di quella libera civiltà della quale il Movimento Comunità vuol
farsi promotore, è stato illustrato nella letteratura del Movimento, e
basterà qui accennarne gli elementi essenziali. Lo stato comunitario, fondato sulla integrazione
armonica delle forze del lavoro e della cultura con quelle della
democrazia, su una proprietà socializzata e radicata agli Enti
territoriali autonomi (le Comunità), insisterà sulla tradizionale
separazione dei poteri e sul principio di un nuovo integrale federalismo
interno, inteso nel senso di equilibrio di autonomie tra periferia e
centro. Inoltre esso si porrà il problema fondamentale della
rappresentanza politica, non affrontato che parzialmente dalla democrazia
politica e risolto invece per eccesso dal regime sovietico. Il suffragio
universale dello stato democratico infatti, specialmente in regime di
partitocrazia, non dà assolutamente garanzie per la formazione di una
classe dirigente politica «aperta», cioè alimentata e provata dal
passaggio obbligato attraverso il governo degli enti territoriali minori e
di aggregati sociali naturali come scuole, aziende, sindacati; e la teoria
del Gruppo Guida, accettata nello Stato sovietico, è ben lontana
dall'offrirci le necessarie guarentigie giuridiche circa la formazione,
l'apertura, la sostituibilità di tale Gruppo, e circa il pericolo,
quindi, che esso si trasformi in oligarchia (3). In verità i mezzi adeguati a raggiungere i nostri
fini sono molto complessi e si prospettano in tre fasi distinte ma
compresenti : • organizzazione istituzionale della cultura
fondata sul riconoscimento giuridico di istituti culturali specializzati a
statuto democratico (Istituti per le Scienze politiche e Amministrative,
per la Istruzione e la Educazione, per Urbanistica, ecc.); • equilibrio dinamico, nell'àmbito delle
Comunità territoriali, tra le forze sindacali, gli organi decentrati
delle istituzioni culturali e i Centri Comunitari di formazione
democratica. Il potere politico sorgerà come sintesi di queste forze
(nucleo originario del Potere); • presenza attiva e coerente, in tutte le
fasi del processo costituzionale - ad ogni grado (Comunità, Regioni,
Stato) - delle istanze culturali e delle garanzie democratiche. Si ha in tal modo una concreta integrazione e un
superamento del marxismo-leninismo, che affidava la rivoluzione sociale
alla diarchia operaio-intellettuale senza tuttavia riconoscere il nesso
eterno tra libertà e democrazia né il valore differenziato dei termini
giustizia, lavoro, educazione, scienza, né in generale la complicazione
della società moderna e quindi dello Stato, il quale abbisogna oggi, per
una sua civile esplicazione, di forme istituzionali pluraliste di delicata
struttura. Come si esprime a questo proposito Adriano Olivetti
nel suo volume L'ordine politico delle Comunità (4), "La libertà è
garantita quando si stabilisca giuridicamente un nuovo equilibrio tra le
forze sociali e spirituali che vivono in uno Stato moderno. Questo
equilibrio, che abbiamo già analizzato nelle sue tre componenti (cultura
lavoro democrazia) è rappresentato nelle singole Comunità dal nucleo
originario del potere. "La formazione differenziata e indipendente di
ciascuno degli organi tra i quali è diviso l'esercizio dei tre poteri,
legislativo, esecutivo, giudiziario, deve riflettere l'equilibrio politico
rappresentato dal nucleo originario del Potere. "La libertà non è adunque salvaguardata
unicamente dalla separazione e dall'equilibrio dei poteri, ma anche
dall'immissione, entro ciascuno degli organi costituzionali che tali
poteri esercitano, delle diverse forze sociali e spirituali che
caratterizzano uno Stato moderno. Solo così il principio vitale della
libertà, che è coesistenza di forze, impregnerà come una linfa, in
tutte le sue ramificazioni, il grande albero dello Stato ». Queste precisazioni possono aiutare a chiarire il
carattere antitecnocratico e anticorporativo del Movimento Comunità, che
non è stato sinora compreso da tutti. I tecnici, in quanto tali,
rappresentano la specializzazione, l'unilateralità, l'analisi; la
competenza del politico invece deve saper vedere ogni esigenza specifica
sotto l'angolo più ampio degli interessi generali, e dei fini stessi,
della società. La rappresentanza professionale di categoria, postulata
dai corporativisti, è proprio l'inverso di ciò che secondo noi deve
proporsi una società organizzata; essa tcnde a rafforzarc gli interessi
costituiti e a rendere più deboli proprio quelli che lo stato dovrebbe
difendere come generali o meglio ancora universali, appartenenti a tutto
l'uomo. Il Movimento Comunità non indica quindi come nuova classe
politica gli ordini professionali, ma veri e propri ordini politici, le
cui funzioni riflettono tutte e solamente le attività politiche aventi
una radice spirituale e una validità universale: giustizia, lavoro,
assistenza, educazione, economia, urbanistica. La
situazione mondiale. Popoli
coloniali e aree depresse. 4. - Se a questo punto ci trasferiamo sul piano della
situazione mondiale, la troviamo dominata da un problema che ci sembra
esemplare sia delle origini del travaglio contemporaneo, sia delle
possibili soluzioni: il problema, oggi entrato in una fase drammatica e
sanguinosa, dei popoli coloniali e del risveglio nazionale d'Africa e
d'Oriente. Su di esso, il pensiero socialista democratico ha denunciato
una insufficienza di sensibilità storica, mentre a noi sembra che proprio
qui sia necessario proporre soluzioni storicamente più fondate e
concettualmente più audaci. Verso questi popoli, gli errori e le colpe degli
occidentali sono insieme di governi, di gruppi politici (non esclusi i
socialisti democratici), di gruppi di produttori che pur vorrebbero essere
considerati liberali, e anche, aggiungiamo, di uomini della cultura. C'è
una notevole incapacità e cattiva volontà, in tutti costoro, di cogliere
il senso della storia di questi popoli, uno strano oblìo sulle origini
spesso violente delle stesse democrazie occidentali e una buona dose di
presunzione e di arroganza, mista a paura per l'avanzare dello stalinismo,
nell'imporre alla libertà forme nate da esperienze storiche particolari
od estranee. In particolare molti uomini di cultura, che si ritengono
versati nei problemi orientali (ma in realtà sono uomini di limitato
interesse culturale) passano dalla sufficienza paternalistica al falso
rispetto (il rispetto per le cose «così come stanno») all'infatuazione
per il pittoresco e l'esoterico. In Oriente, come in Occidente, c'è da
sceverare il bene dal male. Nelle loro correnti migliori le grandi
religioni orientali sono tolleranti, e fiere della loro tolleranza; la
democrazia locale ha spesso tradizioni millenarie in diverse civiltà
contadine dell'oriente. Ora, gli schemi della democrazia partitica (e
certi precisi interessi da conservare o da alimentare) hanno portato gli
occidentali «democratici» all'appoggio di forze, che non hanno alcuna
seria analogia con le borghesie - illuministiche e imprenditrici -
dell'occidente sette-ottocentesco. Un formale (e interessato, e
sollecitato anche dalle burocrazie coloniali) rispetto della situazione
costituita, il pregiudizio nei riguardi di qualsiasi possibile successore
giacobino, fanno sì, poi, che gli occidentali favoriscano continuamente
le forze più illiberali: nazionalisti confessionali, latifondisti,
appaltatori di tasse per conto di autocrazie feudali, tirannici scontisti,
affaristi legati a interessi esterni al paese e affermatisi all'ombra
delle armi straniere, tutte categorie che non hanno alcun interesse né
economico-sociale né culturale o religioso alla libertà. Viceversa
l'esperienza recente ci insegna che in questi paesi arretrati, una
rivoluzione sociale ha inizio con un'alleanza di elementi eterogenei,
nella quale solo il permanere di certe cause specifiche finisce per
determinare la prevalenza dello stalinismo, spesso in minoranza
all'inizio. D'altra parte i comunisti, che nel voler risvegliare la spinta
libertaria di larghe masse - specie rurali - sono, storicamente, dalla
parte della ragione, operano in nome di una libertà etnica, razziale, che
non è esattamente la nostra libertà. Ora, invece, è da dire che nei paesi che escono da
un regime coloniale, come in genere in tutte le aree depresse, le
strutture comunitarie particolarmente si prestano a indicare un sistema
atto ad avviare verso Stati federali sopranazionali. Nei paesi coloniali,
come in genere nelle aree depresse, la tradizionale democrazia politica
formale è reazionaria e masse inorganizzate di milioni di uomini, con
larga prevalenza di contadini, non hanno per mezzo di essa la possibilità
di esprimere organismi validi ai fini della civiltà. Le masse rimangono
fatalmente dominio di oligarchie totalitarie, sia che alzino la rossa
bandiera della rivoluzione, sia che sotto le apparenze delle libertà
nominali si facciano strumento di un feudalismo decadente. Le strutture
comunitarie, fondate su integrazioni tra il principio territoriale e il
principio funzionale, offrirebbero una interessante soluzione a un arduo
problema costituzionale sinora insoluto. Anche un documento di alto
interesse in possesso della cultura internazionale (il Disegno di
Costituzione Mondiale presentato da un gruppo di studiosi dell'Università
di Chicago) postula accanto ai tradizionali valori democratici il peso
delle istituzioni culturali e delle forze sindacali, vere radici atte a
determinare nel corpo costituzionale una linfa vitale. E in questo ordine
di idee è ancora l'azione politica di Manvendranath Roy e del suo gruppo
neo-umanistico indiano, che lotta per l'emancipazione, sul terreno delle
idee e su quello delle istituzioni, delle forze della cultura e per una
democrazia federalista, «in direzione di piccole organizzate democrazie
integrate in una struttura a piramide che costituirebbe lo Stato, e
dotate, ognuna di esse, di effettivo potere economico e politico» (5). Per tornare su un terreno più contingente, è chiaro
che gli occidentali rimarranno nell'errore sinchè insisteranno
nell'appoggiare una economia liberale inesistente: essi che hanno, in
passato, alternato protezionismo e liberismo, a seconda che fosse
necessario fortificare le proprie aziende in fase critica o sconfiggere le
Industrie artigiane dei paesi arretrati (mentre spesso, come
contropartita, iniziavano uno sfruttamento intenso di materie prime,
accompagnandovi non raramente la conquista militare). Oggi crediamo
apparisca finalmente evidente che il progresso occidentale è legato a una
visione unitaria del mondo: la sorte del contadino persiano, cinese o
indiano è legata alla sorte dell'operaio urbano europeo e americano. E ciò
per ragioni di comune benessere e di giustizia, di stabilità economica e
di ordine internazionale. Pertanto un qualsiasi riarmo è giustificato
solo nei limiti in cui conservi carattere difensivo e si accompagni a un
radicale piano di cooperazione economica, attuato senza discriminazioni e
sotto la responsabilità degli Stati, non dei gruppi sezionali. Occorre
rendere operante la politica del «punto quarto» di Truman (6), e tenere
soprattutto presente che il riarmo può essere uno strumento sussidiario e
di emergenza, ma che, se esso porta ad alleanze degli occidentali coi ceti
oppressori nei paesi che lottano per il loro progresso tccnico e per un
assetto sociale più giusto, fallisce al suo scopo e va respinto senza
compromessi. La lotta per la libertà può essere sostenuta proprio e
soltanto appoggiando le riforme di struttura (specie agrarie), i ceti
capaci di realizzarle, e i piani nazionali e sopranazionali, tipo Piano di
Colombo (7) (piano per lo sviluppo economico cooperativo dell' Asia
meridionale e sud-orientale, ove sono scartate imposizioni unilaterali).
In altri termini, e per concludere: la spinta all'emancipazione nazionale,
legata alle aspirazioni libertarie, particolarmente delle masse rurali, e
attualmente sorretta dai comunisti, non porterà ad imboccare una via
cieca, al termine della quale c'è stasi e involuzione se non guerra, solo
se accompagnata dalla lotta per il diritto e per la libertà della
cultura; e se dovrà non già concludersi in nuovi Stati sovrani, ma
sboccare in Asia e in Africa in federazioni continentali e
sub-continentali (quale per esempio la Federazione dell' Asia del Sud-Est
vagheggiata anche da Nehru) educate alla lotta per un ordine
internazionale. L'
ordine internazionale. 5. - Alla luce di questi esempi, sarà facile
risalire alla posizione del Movimento Comunità in ordine al problema
generale dei rapporti internazionali. La politica estera internazionale,
con il contrapporsi di blocchi armati a dividersi l'intera faccia della
terra, è terreno troppo vasto e infuocato perchè il Movimento Comunità
possa pensare di determinarne gli sviluppi con una dichiarazione
programmatica. Noi pensiamo tuttavia che, allo stato attuale delle cose,
sia piuttosto questione di chiarezza di principi che di abilità
diplomatica. Alla consueta antitesi di occidente contro oriente, carica
spesso di non chiari motivi polemici, abbiamo preferito l'antitesi tra il
mondo ove si ha «certezza del diritto» e il mondo in cui questa certezza
del diritto non è garantita. O addirittura, se si vuole, tra il mondo ove
vige l' habeas corpus e il mondo ove l' habeas corpus non vige, qualunque
sia il confine geografico che li divide. E per chiarire infine in assoluto
i rapporti tra le democrazie «progressive» in Europa e le democrazie «storiche»
in Asia, diremo che noi siamo contro la colonizzazione occidentale (in
atto) in Asia, e contro la colonizzazione russa (eventuale) in Europa. Siamo cioè contro tutti quei sistemi che o tendono a
fare di alcuni popoli i soggetti e di altri gli oggetti della politica
internazionale; contro gli accordi dei «grandi» stipulati in conto e
sulla pelle dei «piccoli», contro le zone d'influenza e ogni tipo di
politica di potenza. Siamo, certo, per una assise internazionale di stati,
ma contro il tipo di rappresentanza costituito dall'ONU, ove, in virtù
dell'ossequio alle sovranità nazionali, gli Stati Uniti o l'URSS hanno in
linea di diritto lo stesso peso delle più piccole nazioni, mentre, in
virtù dell'ossequio alla politica di potenza, esiste contemporaneamente
un diritto di veto per i più grandi. E dove, d'altra parte, anche la
stessa ammissione all'assemblea, anzichè essere un diritto di ogni stato
democratico, è sottoposta ai mutevoli criteri della guerriglia
diplomatica. Il primo passo verso una normalizzazione dei rapporti
internazionali sarebbe dato certamente dal democratizzarsi interno
dell'ONU, ma è ben difficile che una Organizzazione delle Nazioni Unite
sia democratica, se non sono interamente democratici gli Stati che vi
appartengono, e se il mandato ai delegati nazionali non sia conferito in
modo più esplicito dai popoli che essi rappresentano. D'altro canto, un'altra considerazione ci sembra qui
necessaria. Lo stato moderno è andato via via estendendo in modo
inesorabile la rete dei suoi interventi nella vita sociale, ed è ormai
impossibile prescindere dalla sua presenza in qualsiasi azione politica
anche marginale. Persino le Internazionali di qualsiasi tipo, hanno
perduto quasi del tutto ogni significato politico se non quello di agenzie
esecutive di uno Stato guida. Questa onnipotenza dello Stato (oggi nessuna
opposizione, anche la più accanita, respingerebbe a priori l'occasione di
una partecipazione al governo, qualunque fossero le differenze ideologiche
con gli altri partiti compartecipi) sembra far concludere per la necessità
di concentrare gli sforzi in favore del superamento degli Stati nazionali
interamente sovrani e in favore della costituzione di ordinamenti
giuridici superiori, federazioni continentali o sub-continentali. Federazione
europea. 6. - In primo luogo, la Federazione europea. Una
Federazione europea, beninteso, aperta a tutti gli Stati che vogliano
accedervi, accettando un assetto interno di democrazia garantita dalle
leggi. II Movimento Comunità vede, ripetiamo, un elemento di progresso
nel fenomeno federativo, sopranazionale. Nel caso poi particolare
dell'Europa, e data la divisione del mondo in sfere d'influenza, una
Federazione europea è l'unica risposta democratica coerente ai vari
nazionalismi, e anzi l'unica strada per riacquistare alle nazioni d'Europa
la qualità di soggetti della storia. Inoltre, l'esperienza dimostra che
solo Stati strategicamente forti pongono e risolvono il problema delle
autonomie all'interno; e la realtà politica attuale indica che attraverso
la battaglia per il federalismo europeo e per una costituente europea si
possono individuare e combattere i nemici di ogni struttura federalista e
comunitaria, e preparare invece una classe politica non esclusivamente
legata ai partiti - che sono poi le cose che a noi interessano di più.
Per questo il Movimento Comunità è naturalmente federalista, ma vede con
decisa opposizione la possibilità che l'idea federalista declini in una
sorta di strumentalismo strategico e in una coalizione di Stati.
Federalismo non deve essere statalismo, ma al contrario struttura sempre
più autonomistica nell'àmbito degli Stati, autonomia generale. Una
federazione di Stati accentrati e nazionalisti è una contraddizione in
termini e potrebbe addirittura servire a bloccare lo status quo sociale
esistente, anzichè essere un elemento di innovazione. La Federazione
europea darà all'Europa autonomia e salvezza, ma ciò stabilmente per sè
e in modo esemplare per gli esterni, solo se federazione è intesa nel
senso integrale di decentramento assoluto, di autonomia generale anche nei
confini degli Stati, di articolazione politica e amministrativa
antimonopolistica in ogni senso. In definitiva gli Stati Uniti d'Europa saranno una
realtà viva e operante in quanto immediata conseguenza di un comune scopo
spirituale e di un assetto politico e sociale nuovo e omogeneo (8). Stato,
partiti e classe politica. 7. -Venendo infine sul terreno della politica
interna, il Movimento Comunità, in nome dei principi autonomistici e
concretamente liberali esposti sinora, rivolge la sua opposizione contro
la partitocrazia. Il partito moderno è uno strumento centralizzato e
burocratico che svolge nell'àmbito dello Stato una funzione di sclerosi
analoga a quella svolta dai nazionalismi riguardo alla vita
internazionale, e costituisce un diaframma artificiale, e spesso
oppressivo, tra la realtà sociale e gli organi politici della collettività.
Il monopolio della vita politica in tutte le sue fasi ormai assunto dai
partiti, suggerirebbe una strada - per altro non scevra di pericoli - per
garanzia dei cittadini: cioè un controllo costituzionale continuo sulla
democraticità interna dei partiti, il che implicherebbe una sorta di
riconoscimento giuridico, non interamente dissimile da quello che si è
andato imponendo per i sindacati. Ma, oltre tutto, rimarrebbe sempre
estremamente difficile stabilire il criterio «obiettivo» per il diritto
alla permanenza e per le ammissioni di nuovi soci nel partito.
Probabilmente conviene spezzare il monopolio creando una serie di
strutture e vincoli costituzionali, che limitino, dall'esterno, i partiti.
Fermandoci a un aspetto della contesa elettorale,
diremo che l'adozione del sistema proporzionale in questo dopoguerra
italiano - nel quale la democrazia ha avuto per buona parte il carattere
reazionario di una restaurazione, con la responsabilità di tutti i
partiti politici e dei loro dirigenti, - si, può affermare che abbia
avuto effetti non benefici nella nostra vita politica, in quanto ha reso
arbitro il partito delle scelte dell'elettorato e addensato i riflettori
della propaganda sui dogmi anzichè sui problemi e sugli uomini. Va subito
detto tuttavia, senza che ciò significhi un nostro entrare nella polemica
contingente, ma piuttosto per prendere aperta posizione verso un problema
che la congiuntura politica ha sollevato, che il Movimento Comunità è
d'avviso che occorra assolutamente un dispositivo costituzionale per
impedire alla maggioranza di essere arbitra del suo perpetuarsi.
Naturalmente lo Stato democratico si deve difendere a qualunque costo
contro qualsiasi gruppo che, mascheratosi di legalità, tenda a
sovvertirlo in senso totalitario. A qualunque costo, abbiamo detto: ma
appunto per questo occorre avere le carte rigorosamente in regola.
Aggiungeremo che alcuni di noi, pur dando per scontato il danno che ne
potrebbe venire in un primo tempo alle fortune elettorali proprio dei
partiti che si presentano meno massicci, auspicano un ritorno al collegio
uninominale con ballottaggio per le elezioni della Camera, convinti che ciò
avrebbe un decisivo valore per l'elevazione del livello culturale del
Parlamento. La proporzionale riuscì solo in piccola misura a infrangere
le clientele meridionali e, attuando un astratto criterio di giustizia,
staccò invece il contatto umano, diretto e personale tra il corpo
elettorale e la sua deputazione, falsando in tal modo una delle condizioni
più preziose della democrazia. Con maggior coerenza di coloro che fanno della
proporzionale una questione di principio, il Movimento Comunità ha sempre
opposto alla struttura verticale e gerarchica dei partiti la ripartizione
del potere, il federalismo interno e l'integrazione ininterrotta di
elementi autonomi, comuni, province, regioni, associazioni. E in linea più
generale, contro le «scuole di partito» e i diversi inviti alla
politique d'abord, risolti sempre nel dogmatismo, il Movimento Comunità
offre l'esempio della Società Fabiana inglese (9) e la solida maturazione
di una classe dirigente aperta a tutti i problemi della collettività; una
classe dirigente, si potrebbe dire, di «partiti» anzichè di partito,
che senta la vita politica come una necessità pregiudiziale, e non la
ideologia e il mito come pregiudiziali alla vita politica. Contro le
parole d'ordine e i puri rapporti di forza, premesse mai smentite
d'oppressione e di intolleranza, il Movimento Comunità offre l'azione
chiarificatrice e illuminante portata nella pianificazione urbanistica,
nel servizio sociale, nella più energica complementarità delle forze
economiche e degli organi amministrativi, nella formazione di una classe
dirigente fedele alla amministrazione e alla autonomia. Occorre tuttavia chiarire a questo punto che, sulla
base delle premesse morali e politiche di cui ai punti I ), 2), 3), oltre
che delle Proposizioni fondamentali 1949 del Movimento Comunità, non è
incompatibile per un comunitario militare in un partito politico. Di
fatto, la maggior parte dei comunitari è impegnata direttamente e
politicamente nella vita delle amministrazioni, nelle aziende, nei
sindacati, nel servizio sociale, nelle attività urbanistiche, nella
scuola, nel giornalismo, e rimane in posizione indipendente rispetto ai
partiti. Ma altri che sono impegnati in un'azione di partito, possono
essere coerentemente e di ugual diritto comunitari; naturalmente se
militano in uno di quei partiti che lasciano intravvedere la possibilità
di tradurre sul piano della politica quotidiana alcune delle principali
esigenze del Movimento Comunità; se non addirittura di un partito che,
informandosi ai postulati del Movimento, possa divenire sul piano
parlamentare uno degli strumenti essenziali per la loro realizzazione. Tuttavia essi dovranno avere ben chiaro che un
partito non potrà mai essere che uno degli strumenti, e mai l'unico, per
la realizzazione di obiettivi politici. II Movimento Comunità infatti
respinge l'interpretazione del partito o dell'azione parlamentare come
unico strumento della lotta politica, e fonda tutta la sua azione sulla
efficacia politica delle associazioni territoriali autonome, i sindacati
autonomi, le forze della cultura. Per
una concreta difesa delle libertà. 8. - Sul terreno delle libertà politiche
tradizionali minacciate in questi ultimi tempi da clamorosi attentati, il
Movimento Comunità si richiama al fervore personalista che lo anima per
farsi interprete della necessità del rispetto della persona (contro il
mantenimento di leggi e regolamenti di tipo fascista o contrari alla
Costituzione, contro ogni eccesso poliziesco nell'amministrazione della
giustizia e nel regime carcerario, contro ogni intolleranza e ogni
censura, contro ogni coartazione), e si associa in questo alla più sana
tradizione liberale. Tuttavia anche in questo campo esso mette in guardia
contro chi nell'astratta difesa della libertà universale trova (o cerca)
un alibi per non arrivare a riforme di struttura e per non risolvere le
questioni concrete. Non si tratta soltanto di «difesa della libertà», a
cui è chiaro che ogni uomo che rispetti se stesso debba associarsi, ma si
tratta principalmente di creare gli strumenti per l' esercizio della
libertà in concreto, di trovare i mezzi idonei onde si formi e si esprima
liberamente l'opinione pubblica. In questo senso i centri comunitari
dovrebbero essere i luoghi nei quali tale opinione liberamente si forma,
attraverso nuclei di dibattito popolare: luoghi di incontro e di ricerca e
non, come le sezioni dei partiti, monopolio di soluzioni prefabbricate. Ma
questo è lavoro a lunga scadenza, mentre altri, e non pochi, sono i
problemi che presentano carattere di urgenza. In primo luogo, le riforme atte a consentire nel modo
più ampio, da parte di tutti, l'esercizio della libertà di stampa e
d'informazione. Piuttosto che attraverso il controllo delle fonti di
finanziamento dei giornali e delle agenzie d'informazione, in pratica
difficilmente attuabile, una più vasta garanzia per l'esercizio di tale
diritto sarà probabilmente da ricercare attraverso disposizioni che
consentano di ridurre il costo delle pubblicazioni e della diffusione di
notizie, sottraendo, al tempo stesso, le minori imprese giornalistiche
alla sopraffazione dei grossi monopoli economici. Per esempio, la socializzazione (almeno parziale, ma
stabilita, con giustizia geografica, nei centri più importanti) delle
aziende tipografiche consentirebbe di disciplinare l'utilizzazione dei
relativi impianti secondo criteri distributivi e di assicurare al maggior
numero possibile di correnti d'opinione le più agevoli condizioni per
l'espressione del proprio pensiero. Altre misure per facilitare la libertà
di espressione potrebbero essere: una congrua riduzione dei costi della
carta, sottraendone la produzione e la distribuzione al regime di
monopolio, una più larga politica di esenzioni fiscali in favore delle
aziende editoriali e, infine, il controllo delle fonti di finanziamento
indiretto rappresentate, ad esempio, dai contratti pubblicitari stipulati
da enti e società di diritto pubblico, che dovrebbero essere equamente
ripartiti fra tutti i giornali. D'altro canto, la diffusione di notizie di
particolare rilievo politico e sociale dovrebbe essere garantita da altre
disposizioni: quale l'obbligo, sancito per legge, della pubblicazione da
parte di tutti i quotidiani dei resoconti sommari ufficiali dei lavori
parlamentari e la edizione da parte delle amministrazioni locali di
bollettini d'inserzioni gratuite di richieste e offerte di lavoro e di
altre informazioni di preciso e riconosciuto interesse sociale. In secondo luogo, il problema della radio, divenuta
in Italia monopolio governativo, e il cui regime dovrebbe essere riformato
con il porla a servizio della cultura attraverso l'elaborazione di nuovi e
più specializzati programmi e con la istituzione su base democratica di
organi direttivi, tecnici e di controllo. E infine le riforme rivolte a moralizzare, in linea
di principio e di fatto, la lotta politica, quali per es. la
regolamentazione circa l'affissione dei manifesti elettorali solo su
adeguate porzioni di appositi spazi, con divieto di invadere le zone
riservate alle liste avverse (10); il prezzo politico della carta e altri
accorgimenti per diminuire la schiacciante superiorità economica di
alcune formazioni politiche su altre. Oggi i partiti hanno spesso bilanci
formidabili e privi di qualsiasi controllo, le loro spese (elettorali e
non) raggiungono miliardi, e alle minoranze democratiche è praticamente
impossibile affrontare la tempesta e il fragore delle lotte elettorali in
condizioni di ragionevole equilibrio. Ora, se è vero che un controllo del
bilancio dei partiti è di ipotetica realizzazione e presenta anche
qualche difficoltà di principio, è anche vero che i partiti maggiori
esercitano nel campo politico una funzione simile a quella che esercitano
nel campo economico i grossi monopoli. Politica
e cultura. 9. - Sfioriamo qui, per altra via, un problema che il
Movimento Comunità ritiene fondamentale, i rapporti tra politica e
cultura. È stata chiarita di recente la distinzione tra «politica
culturale» (di cui è soggetto lo Stato, la cultura oggetto, e la libertà
della cultura la vittima) e «politica della cultura» (in cui invece sono
gli uomini di cultura i soggetti, che intervengono, in quanto tali, nella
vita politica). Noi accettiamo questa distinzione per intendere
l'espressione libertà della cultura in senso attivo: non soltanto quindi
libertà dallo Stato, ma libertà nello Stato, libertà nell'impegno,
libertà nella vita. In coerenza con questi princìpi il Movimento Comunità
nella sua lotta contro il pauperismo, a favore del pieno impiego, della
pianificazione urbanistica, della scuola gratuita, delle borse di studio,
dei centri comunitari e culturali, non intende appoggiarsi a determinati
gruppi privilegiati naturalmente conservatori che detengono oggi
unilateralmente gli strumenti della cultura; ma vuole combattere una
battaglia per la cultura e per uno Stato che si appoggi, anche, sulla
cultura. Per questa cultura (cultura unitaria, cultura per l'uomo, contro
la frammentarietà delle tecniche, e l'unilateralità dei linguaggi
specializzati; una cultura in cui sia possibile la sintesi, e in cui
risplenda l'amore per la vita), ogni garanzia di libertà deve essere
assiduamente cercata. Qualche esempio. Nel campo scolastico, il Movimento
Comunità è favorevole all'autonomia disciplinare e didattica degli
insegnanti statali, in analogia con la situazione auspicata per la
magistratura. Nel campo scientifico, il Movimento Comunità è favorevole
ad organi di indagine e di informazione tecnico-politici e
scientifico-sociali, pubblici ma indipendenti dall'Esecutivo. Nel campo
del Servizio Sociale, pur apprezzando e coadiuvando gli sforzi in atto per
l'educazione popolare e l'organizzazione del tempo libero, il Movimento
Comunità mette in guardia contro il pericolo di inghiottire tutto l'uomo
nell'azienda «umanizzata» e nella ricreazione organizzata, ed è
favorevole invece al rispetto profondo per la spontaneità e l'interiorità
dell'operaio, del bracciante, dell'uomo della strada, anch'essi «persone»
(11). Proprio sottolineando tale pericolo insito nel regime sovietico,
Sidney e Beatrice Webb scrivevano: «È dalla facoltà di pensare nuovi
pensieri e di formulare anche le più inattese idee nuove che dipende il
progresso futuro dell'umanità» (12). Socialismo
economico pluralista. 10. - Sul terreno economico, il Movimento Comunità
ha rivolto da tempo il suo interesse verso un'economia pluralista,
socializzata e non statizzata, che preveda la trasformazione in enti di
diritto pubblico delle industrie chiave e la trasformazione delle altre
aziende, sia industriali sia agricole, secondo uno schema più volte
esposto nella nostra letteratura (13). La proposta di Industrie Sociali Autonome (I.S.A.) e
le Aziende Agricole Autonome (A.A.A.), la cui proprietà sarebbe divisa
tra Fondazioni tecniche e sociali, Regìe industriali degli Enti
territoriali e infine le Comunità di azienda, espressione in forma
cooperativa dei lavoratori, sono esempio abbastanza chiaro del pensiero
economico del Movimento Comunità, volto verso una socializzazione che
tolga al capitale la preminenza nella proprietà dei mezzi di produzione e
ogni possibilità di sfruttamento, ma al tempo stesso lasci un certo
giuoco allo stimolo dell'economia di mercato. Questa politica non esclude
più ampie esperienze dirigistiche, coordinando il piano economico con i
piani urbanistici. Ma le vuole attuate attraverso organi estremamente
qualificati, mediante una serie di realizzazioni positive. Mentre quindi
da un lato il Movimento Comunità postula per i lavoratori il controllo
effettivo delle loro fabbriche ed aziende agricole, si preoccupa
dall'altro lato di radicare il più possibile fabbriche e aziende nella
vita della Comunità chiamando a partecipare alla proprietà ed alla
gestione gli enti territoriali in cui esse operano. Un modello estremamente efficiente di industria
autonoma il cui governo venne affidato al binomio cultura-democrazia è
rappresentato dalla fabbrica di strumenti ottici Zeiss di Jena. Nel I896
il fondatore Abbe conferì il suo patrimonio azionario ad una Fondazione
che divenne proprietaria totale dell'industria. Il Consiglio di
Amministrazione della Fondazione Zeiss era nominato dal Dipartimento del
granducato di Sassonia-Weimar dal quale dipendeva l'Università di Jena.
Si stabilì in tal modo una comunità di interessi tra l'industria, il
piccolo Stato e i relativi istituti scientifici che assicurarono per mezzo
secolo alla fabbrica un primato tecnico e sociale. Sindacalismo
autonomo, servizio e previdenza sociale. 11. -Solo in tal modo, d'altro canto, è possibile
avviare a soluzione il problema del sindacalismo autonomo, che secondo il
Movimento Comunità è intimamente legato alle soluzioni economiche sopra
esposte. La situazione del sindacalismo italiano è oggi, per generale
ammissione, tale che le centrali sindacali sono divenute esclusivamente le
masse d'urto dei partiti politici che sono asservite ad essi. Il Movimento
Comunità crede invece nella possibilità di rinascita di un sindacalismo
non solo apartitico, ma profondamente autonomo e al tempo stesso non
chiuso nell'esclusivo meccanismo della richiesta di aumenti di salari, ma
profondamente inserito nel processo economico produttivo; e ciò con la
creazione delle Comunità di azienda, corresponsabili dei servizi sociali
e della gestione economica: vere anticipatrici e artefici dello schema
proposto di decentramento organico e generale che è sola via concreta ed
efficiente di reale liberazione delle masse lavoratrici. E solo in tal modo è possibile avviare a soluzione
il problema della democrazia di fabbrica, per cui mediante la vigilante
responsabilità delle Comunità di azienda e una più larga autorità,
entro l'azienda, degli assistenti sociali, si arrivi a quella salvaguardia
della dignità umana dei lavoratori che è ancor oggi uno dei diritti più
conclamati ma più calpestati e che è invece, anche sul terreno
politico-sociale, da garantire urgentemente. In particolare, il Movimento Comunità è favorevole
a una assistenza svolta capillarmente nell'àmbito delle Comunità
territoriali - articolata nei centri comunitari e nelle aziende -
raggruppata nelle regioni, mentre al centro dovrebbe essere costituito un
solo organismo nazionale di coordinamento («Ministero dei Servizi Sociali»)
con puri compiti tecnico-distributivi. Per quanto riguarda la previdenza e le varie
assicurazioni sociali, il Movimento Comunità auspica il riordinamento dì
tutta la relativa legislazione in un testo unico organico e la
contemporanea creazione di un solo Ente pubblico che raccolga in una
snella struttura le funzioni oggi esercitate da una pluralità di
organismi. Questo Ente pubblico unitario dovrebbe svolgere la sua azione
largamente decentrata nelle regioni, attraverso le comunità territoriali
e quelle aziendali, destinando eventuali redditi esclusivamente al
raggiungimento dei propri fini istituzionali sotto il controllo di una
rappresentanza democratica dei lavoratori e delle aziende interessate. Un attento studio dovrebbe essere poi dedicato
all'organizzazione proposta dal piano Beveridge e alla possibilità di
applicare anche in Italia, compatibilmente con le capacità finanziarie
della nazione, una estensione ampia e gratuita dei servizi sociali di più
urgente necessità. In vista del raggiungimento di tali obbiettivi il
Movimento Comunità sostiene in particolare l'esigenza del riconoscimento
giuridico della professione di assistente sociale. Pianificazione
e distribuzione. 12. - Ma i più gravi problemi della riorganizzazione
della vita sociale ed economica non potranno essere visti e risolti che
attraverso un'opera di pianificazione generale e particolare, capace di
sostituire alle divisioni e suddivisioni, orizzontali e verticali, per cui
oggi le funzioni fondamentali dello Stato appaiono frammentarie e
disperse, linee e mezzi di azione unitari ed organici. In questa opera di pianificazione possono essere
distinti tre gradi. In primo luogo occorre, infatti, che i grandi problemi
della vita sociale e dell'ambiente fisico in cui essa si svolge, siano
considerati nelle loro linee più generali al fine di trarne anzitutto i
concetti di base, politici, ai quali dovrà conformarsi poi l'intervento
operativo. Tale compito potrà essere svolto da un organismo a carattere
nazionale, abilitato ad attuare un coordinamento effettivo, delle
questioni economiche e tecniche oggi demandate a dicasteri ed enti
diversi, a raccogliere cioè in forma unitaria i dati e le rilevazioni e a
promuovere gli studi e le ricerche necessari. L 'approntamento degli strumenti tecnici di
intervento - i piani veri e propri - e la pratica attuazione degli
interventi stessi saranno invece conseguibili soltanto su una scala più
ridotta. A questo proposito, la posizione del Movimento si chiama alle
proprie premesse ideologiche, l'inverarsi di una civiltà di cultura.
Poichè civiltà è sintesi di valori etici, economici, scientifici,
artistici, nessuna civiltà può aspirare al suo compimento senza
un'essenziale condizione: la costituzione di un'autorità capace di
operare la sintesi organica delle molteplici attività che modificano
incessantemente la forma di una società ancora sottoposta, per la sua
incompiutezza, a profondi squilibri. Tale coordinamento non sarà quindi
realizzabile che in piccole unità territoriali, sulla scala della comunità
concreta. Nell'àmbito della comunità s'inquadreranno, nelle
forme più sopra delineate, le attività di carattere economico, sociale,
assistenziale ed educativo. E pure nell'àmbito della comunità concreta
si svilupperà quello che può essere considerato il terzo grado della
pianificazione: la pianificazione edilizia. Condizionata da tutti i
fattori sociali della comunità, guidata dalla conoscenza tecnica dei
problemi e degli strumenti per risolverli, illuminata dall'intuizione
artistica, la pianificazione edilizia costituisce il risultato tipico di
una sintesi creativa. Attraverso i tre gradi della pianificazione,
l'organizzazione procederà armonicamente nella dimensione cellulare -
nella comunità - come in quella intercelluare - in più comunità.
Dall'equilibrio interno delle singole comunità, deriverà la possibilità
di dare soddisfacente assetto ai rapporti che coinvolgono non soltanto
interessi locali e circoscritti, ma più complesse strutture demografiche
e territoriali. Legato al territorio e fondato sulla stabilità
dell'assetto produttivo, il sistema comunitario cellulare sarà solo
apparentemente statico, ma effettivamente dinamico, mosso da forze
spirituali, quali la rispondenza alle più generali istanze sociali e
l'aspirazione a un costante progresso scientifico. Superando gli schemi
della classica economia di mercato, integrandone le finalità di mero
reddito con permanenti ragioni di interesse sociale, il sistema garantirà
la stabilità delle fonti produttive nell'àmbito della comunità. Resta il problema del coordinamento tra produzione e
consumo. Allo scopo sarà indispensabile dar vita a nuovi organismi atti a
promuovere una sintesi tra l'economia delle singole unità produttive e le
necessità generali del consumo. Tali organismi di coordinamento («Centri
Autonomi») saranno, sotto il profilo giuridico, una combinazione fra il
trust e la cooperativa, conservando del cartello la caratteristica
razionale di centro unitario di distribuzione e assumendo il merito
sociale della cooperativa: la sostituzione dell'idea di servizio a quella
di profitto. L'amministrazione dei Centri Autonomi sarà
congegnata in guisa da coordine produzione, consumo, importazione,
esportazione in modo coerente e unitario per tutte le I.S.A. inerenti a
una determinata branca. Lo Stato delle Comunità non potrebbe accettare
formule esclusive di predominio economico e affidare la direzione degli
affari industriali ai soli produttori o ai soli consumatori. Nemmeno la
totale integrazione reciproca fra i due estremi del ciclo economico
risolverebbe definitivamente il problema della fissazione di un giusto
prezzo. La realtà economica sociale è assai più complessa
di formule semplici ciascuna delle quali contenga elementi reali, ma
unilaterali di valutazione. Perciò lo Stato delle Comunità tenderà, anche in
questo, a raggiungere un'unità (controllata) tra: organizzazioni
produttive (I.S.A. e A.A.A., nelle singole Comunità); organizzazioni di
distribuzione (Centri Autonomi); organi regionali dell'organizzazione
economica. Così, risalendo la scala dal particolare al
generale, la pianificazione inquadra attivamente tutta la vita dello
Stato, consentendo di penetrare i problemi della società attuale e
disegnando le linee attraverso le quali essa potrà condursi a miglior
forma. Da queste premesse si configura l'atteggiamento del
Movimento in merito ai problemi più immediati, propostisi nel dopoguerra
e già in qualche modo affrontati sul terreno politico. Di fronte a impostazioni di carattere sezionale - che
intendano cioè risolvere, non importa su quale scala, uno ed un solo
problema - il Movimento non può che esprimere un atteggiamcnto di critica
e di scetticismo sulle possibilità di stabili e positive conclusioni. Fondata sulla comunità concreta, dove si trova la
base di incontro e di soluzione di quell'intreccio vivente di problemi che
condiziona la nostra società, articolata in una visione integrale delle
strutture dello Stato, la forma di democrazia auspicata dal Movimento
trarrà la sua forza dalla pianificazione, e non ne sarà insidiata. In tal modo e al di fuori dei criteri elettoralistici
con cui i partiti hanno sinora improvvisato i loro programmi - sarà
possibile avviare a duratura soluzione quei problemi, come la riforma del
latifondo, la rinascita della montagna e lo sviluppo tecnico-industriale
del Mezzogiorno, che oggi agitano il paese e turbano, nel confuso gioco
della «grande politica», una classe dirigente che, nell'incapacità di
affrontarli dal profondo, se ne fa strumento demagogico. Condizioni
per la riforma agraria. 13. -In particolare, per quanto concerne il dibattuto
problema della riforma agraria, il Movimento Comunità conferma l'esigenza
già posta in generale: ogni riforma deve consistere in miglioramenti sì
produttivistici, ma anche umani, di vita. Non si tratta quindi soltanto di arrivare ad una
redistribuzione della proprietà fondiaria e a un miglioramento tecnico
dei sistemi di conduzione e di produzione agricola, ma di garantire
insieme nuove, più degne e stabili forme di esistenza alla gente della
campagna, nuovi proprietari o braccianti che siano. Il panorama agricolo italiano è così frazionato che
non si potrà non tener conto, volta per volta, delle situazioni locali.
Qui basterà riaffermare che la riforma dovrà mirare: a) in primo luogo,
a restituire ai lavoratori della terra la piena dignità e libertà della
persona, sradicando quei residui di mentalità feudale, acuti specie nel
Mezzogiorno, per cui la grande proprietà fondiaria confina e sconfina in
una specie di sovranità; b) a sviluppare un vasto progresso
tecnico-culturale degli agricoltori; c) a risolvere i problemi
dell'insediamento umano nelle campagne. Ogni sforzo, per essere fecondo,
dovrà essere rivolto - attraverso la costituzione di borghi residenziali,
centri di servizio, centri comunitari, attrezzature cooperativistiche,
ecc. - alla creazione di unità socialmente organiche ed efficienti sul
piano della produttività. La struttura delle comunità agricole potrà esser
così ricostituita e vitalizzata, aprendosi la via a quella più radicale
riforma politico-amministrativa che, in forma compiuta, sarà la sola a
garantire la funzionalità dell'intero sistema delle comunità e dello
Stato federale delle comunità, nel tentativo di superare l'antica e
drammatica antitesi fra città e campagna. La
scuola 14. - I problemi della scuola italiana possono a
nostro avviso ricondursi ai tre seguenti fondamentali: 1) scuola privata e
scuola di Stato; 2) scuola e assistenza; 3) scuola e società. Rispetto al primo problema il Movimento Comunità
vede, nella situazione attuale, le maggiori garanzie di libertà
spirituale e di efficienza didattica nella scuola di Stato, di fronte
all'eccessivo moltiplicarsi di scuole private, molte delle quali a
carattere angustamente confessionale, spesso di dubbia serietà
professionale, frequentemente strumento delle categorie privilegiate. Il
Movimento Comunità non ha alcuna pregiudiziale in proposito, e non
contrasta alla più ampia libertà per la scuola privata, purchè non
finanziata, direttamente o indirettamente, da fondi statali. Devono
inoltre a questo proposito essere chiarite due cose : a) il Movimento Comunità, si è detto, è favorevole
alla scuola laica: ma il laicismo non è inteso come una nuova (più
potente) religione, ma come un metodo di lavoro, il più rispettoso delle
libertà individuali (14). b) in linea generale, sul terreno degli ordini
politici e nell'àmbito dello Stato comunitario, sempre in conformità con
i criteri generali della sua azione politica, il Movimento Comunità pensa
a una scuola largamente decentrata, più intimamente legata alle Regioni e
alle Comunità, e richiede l'autonomia didattica e disciplinare
dell'ordine degli insegnanti statali. Passando all'assistenza, in linea preliminare si
osserva che il rendere operante l'art. 34 della Costituzione della
Repubblica Italiana (15) è questione di elementare coerenza, in una
nazione dove - sin dall'unità - si è pur riusciti a organizzare
un'attrezzatura militare e a imporre una coscrizione «obbligatoria e
gratuita» , anzi retribuita, e dove si sono sollecitati più volte tutti
i cittadini ad accettare la responsabilità di morire per la collettività.
La situazione della scuola, specie nelle regioni depresse, possiamo
tranquillamente affermarlo, è disastrosa. Oltre tutto non si è
riflettuto neanche all'altissimo reddito, in relazione alla produttività
dell'economia nazionale e agli effetti della lotta contro la
disoccupazione, delle somme impiegate per la scuola, scuola di base e
scuola di qualificazione professionale. In particolare, tra le misure d'emergenza si chiede
una rivalutazione dei patronati scolastici e un aumento radicale dei loro
fondi. Inoltre - e a ciò annettiamo molta importanza - l'assistente
sociale deve essere introdotto nella scuola, dove avrà la possibilità di
mettere l'insegnante di fronte ai problemi collettivi della sua scolaresca
e di legare molto di più di oggi la scuola a fatti economico-sociali
dell'ambiente, da cui oggi è in pratica assente. Egli sarebbe quindi uno
degli strumenti del necessario rinnovamento della scuola, che deve
avviarsi a divenire il nucleo attivo e vitale di ogni centro comunitario
(16). Naturalmente sorge la parallela esigenza di dare incremento a scuole
di servizio sociale, laiche e a indirizzo largamente pratico, volte a
creare assistenti specializzati nel servizio di comunità. Questa è, a nostro avviso, l'unica via maestra (e
qui ci riferiamo al terzo punto da noi suggerito) per avviare a soluzione
il problema della cultura nella democrazia che i partiti politici, ormai
divenuti puri strumenti di ideologia, si sono dimostrati incapaci a
risolvere. Ogni iniziativa attuale in senso decentrativo (cooperative
scolastiche, biblioteche popolari, ecc.) è vista con favore dal Movimento
Comunità; ma si deve porre una pregiudiziale molto netta. Il problema
vero non è tanto quello di «divulgare» la cultura, di operare uno
spostamento della cultura tradizionale a favore delle classi popolari;
bensì quello, ancora non affrontato se non da esigui gruppi isolati, di
una cultura moderna, capace di operare efficacemente nella società in cui
viviamo e di contribuire alla chiarificazione dei suoi problemi
economico-sociali. In questo àmbito, tra la scuola e il mondo del lavoro,
la tradizione e le nuove esigenze economiche, ecc., esiste oggi una
frattura profonda e irragionevole che deve al contrario essere sanata.
Come è stato detto, «accanto all'umanesimo classico si deve formare
l'umanesimo moderno». E nell'annosa querelle tra scuola formativa e
scuola informativa ci pare si debba concludere per l'autentica scuola di
libertà: che vuol dire capacità di azione autonoma nel proprio ambiente.
La
rappresentanza politica nello Stato federale. 15. - Riguardo infine al problema della regione, sono
ormai molti disposti a riconoscere che esiste in atto in Italia una grave
crisi del sistema di rappresentanza politica, ma non si vede al contrario
alcun tentativo per approfittare della nuova legislazione regionale per
vincere tale crisi. Di fronte ai regionalisti massimalisti, la cui
posizione può essere in realtà pericolosa per l'unità nazionale, il
Movimento Comunità intende la regione anzitutto come strumento di
decentramento statale e di autonomia e non di arbitrario particolarismo.
Gli statuti regionali devono essere anzitutto uniformi allo scopo di
ricondurre attraverso la pluralità di organismi periferici alla unità
dello Stato. E infine, è impossibile pensare all'efficacia della
Regione se prima non si sia provveduto a una riforma della legge comunale
e provinciale, per cui le Province opportunamente aumentate di numero
secondo le naturali esigenze territoriali (Comunità), abbiano ampi poteri
esecutivi e divengano a loro volta concreto strumento del decentramento
regionale (per es. la riunione delle Giunte Provinciali dovrebbe
costituire di per sè il Consiglio Regionale). È nota la struttura
funzionale che, secondo il pensiero del Movimento Comunità dovrebbe avere
la rappresentanza politica in seno alla Comunità, e l'organica
compresenza delle tre fondamentali forze sociali, lavoro, cultura,
democrazia. L'idea di rappresentanza economica e sindacale è
ricondotta al principio territoriale - insostituibile garanzia democratica
- e a una sua intima connessione con l'orientamento politico della
popolazione. In altre parole, ogni rappresentanza tecnica è sottoposta a
una direzione e a un giudizio politico. Gli amministratori di una Comunità (presidenti di
divisione) ne diventano i suoi naturali rappresentanti. Si delinea così
l'idea di una rappresentanza pluralista ben più ricca di valori di una
rappresentanza formata da un'unica persona, caratteristica del collegio
uninominale; o di quella rappresentanza dissociata dalla vita locale che
è caratteristica di un regime di rappresentanza proporzionale. Gli amministratori delle Comunità saranno designati
con particolari procedimenti atti a garantire l'equilibrio fra le forze
della cultura, le forze del lavoro e le forze democratiche propriamente
dette. Si può pertanto considerare che l'insieme regionale dei Presidenti
di Divisione rappresenti la sovranità nella Regione, e l'insieme
nazionale rappresenti la sovranità nazionale. L'idea di sovranità e di
rappresentanza si trasferisce così dalla primitiva affermazione del
Contratto sociale che la commetteva al popolo, inteso astrattamente, a un
corpo numeroso e qualificato che rappresenta una nuova classe politica -
radicalmente aperta - dalla quale emanerà l'intero potere dello Stàto.
Stabilendo il caposaldo fondamentale che la rappresentanza della nazione
risiede nel corpo costituito dall'insieme totale dei Presidenti di
Divisione, si può con facilità dar luogo a un Parlamento moderno, che
esprima con grande approssimazione la volontà del Paese e che nel
contempo sia dotato di una grande efficienza. L'insieme dei Presidenti di Divisione di Comunità
rappresenta il corpo politico dal quale, giocando come in una scacchiera,
si può con facilità raggiungere la formazione dei nuovi istituti. La
camera bassa potrà essere concepità come un'assemblea di secondo grado
mandataria di ciascun Consiglio regionale in modo proporzionale a ciascuna
funzione politica e alla popolazione di ciascuna Regione. Senza rispettare questo criterio si creerebbe
un'assemblea disarmonica con un eccesso di componenti in taluni dei rami
della pubblica amministrazione e con una carenza di componenti in altri
rami; si turberebbe infine quell'equilibrio tra forze del lavoro, valori
della cultura e istituzioni democratiche che abbiamo indicato come
necessario per garantire la stabilità della nuova costruzione. L'elezione
di secondo grado è l'unico dispositivo democratico atto a raggiungere
questi fini. Non vi sono altre alternative. La seconda camera avrebbe: la stessa base elettorale
costituita dai Presidenti di Divisione di Comunità. Tuttavia, mentre per
eleggere i deputati della prima camera, essi si raccolgono per Regione,
nel dar luogo alla seconda camera essi si raccolgono in collegi nazionali
divisi per funzione. Si ottiene in questo modo una camera altamente
qualificata, ma che tuttavia ha le identiche radici democratiche della
prima camera. La seconda camera, pur rispettando i valori
personali, garantirebbe la rappresentanza delle minoranze e l'affermazione
di valori nazionali. Nessun altro modo di costituire una camera funzionale
sàrebbe legittimo da un punto di vista democratico. La coerenza del
sistema e la possibilità di una soluzione definitiva del problema,
derivano dall'aver ricondotto, sin dall'origine, ciascun rappresentante
funzionale allo stesso e identico principio territoriale. Stato
e Chiesa. 16. -Circa i rapporti fra Stato e Chiesa, gli accenni
sopra fatti al laicismo come è inteso dal Movimento Comunità, alla
distinzione fra politica culturale e politica della cultura, al rapporto
fra persona e società nella politica di educazione e di assistenza
saranno valsi a introdurre al nostro pensiero in argomento. La soluzione
deve presentarsi come tale da permettere al cittadino di essere
interamente religioso, interamente rispettoso del suo proprio credo (senza
remore, scrupoli o riserve mentali) ed interamente rispettoso e leale
verso lo Stato. Lo Stato, insistiamo, deve conservare un valore
esclusivamente strumentale, là pure dove i suoi interventi sono
molteplici: esso serve a dare (anche mediante il giusto uso della forza)
organizzazione pacifica alla società, tendendo, al limite, a sostituire a
una società dove prevalgono la potenza e il privilegio una società che -
modificando l'espressione kantiana - potrebbe definirsi come il regno
delle vocazioni. Nei rapporti con la Chiesa, con qualunque società
culturale o spirituale, e con le persone singole, lo Stato conserverà
questa posizione di estrema modestia. E tuttavia dovrà essere di una
estrema severità nella tutela del suo còmpito modesto; vietando ogni
clericalizzazione della funzione «naturale» che è chiamato a svolgere («date
a Cesare...»), impedendo senza eccezioni che qualunque società,
culturale o spirituale, ceda alla tentazione di sostituire le conversioni
per imperativo della coscienza con le conversioni per prudenza terrena. Questi punti non esauriscono evidentemente il
panorama politico italiano, né il programma del Movimento Comunità.
Alcuni di essi, nell'evolversi delle situazioni politiche, potranno anche
dimostrarsi contingenti e suscettibili di revisione. In ogni nostra
affermazione, accanto ad una convinzione profonda, c'è un largo margine
di invito alla discussione e al dialogo. Ciò che tuttavia rimane costante
in queste pagine è la volontà di stabilire con molta fermezza le finalità
fondamentali e certe della nostra azione politica, la metodologia che noi
riteniamo essenziale ad ogni lotta politica che non voglia esaurirsi nel
compromesso o nell'avventura. Noi confidiamo quindi che ne risultino chiari i
criteri informativi della nostra azione volta all'autonomia delle comunità
nell'àmbito dello Stato federale, e volta alla soluzione dei problemi
umani (di libertà, di dignità personale, di solidarietà sociale) come
preminenti su ogni altra considerazione politica. Così sarà chiaro che
il Movimento Comunità si batte per una politica economica di pieno
impiego, per una riforma tributaria impostata sulla tassazione esercitata
sul reddito e non sul consumo, per una politica edilizia inquadrata in una
integrale politica di pianificazione urbana e rurale che sappia
utilizzare, oltre alle sempre limitate risorse finanziarie, quelle offerte
dalla capitalizzazione del lavoro (utilizzando, ad esempio, per l'edilizia
rurale, il lavoro potenziale non esercitato dai contadini nei mesi
invernali e nei lunghi periodi di sottoccupazione), per una politica di
difesa del consumatore, quindi a favore delle cooperative, dei piccoli
consorzi, delle iniziative locali contro i mastodontici consorzi politici
burocratizzati, e così via Per una vita politica più vicina ai reali bisogni e
alla misura dell'uomo. NOTE (1) «L'indirizzo spirituale del nuovo Stato è
rappresentato da quell'insieme di valori spirituali e morali che per
accettazione comune si intendono denominare "civiltà
cristiana". Pertanto la legge superiore della Comunità è illuminata
dall'Evangelo. Questa dichiarazione non implica per nessuno una
sottomissione politica all'autorità religiosa, ma il riconoscimento
definitivo da parte dei laici, credenti e non credenti, cattolici e non
cattolici, dei valori spirituali contenuti nel Vangelo». Proposizioni
fondamentali 1949 del Movimento Comunità, n. I. (2) Ci rendiamo conto che il pensiero di Lenin (il
testo fondamentale è, come si sa, Stato e rivoluzione) è spiegabilmente
contradditorio, oscillando fra diverse esigenze - le necessità della
pratica e quelle della polemica teorica con gli anarchici; le necessità
della rottura rivoluzionaria e quelle di prospettare una legalità che
permetta il funzionamento dell'ordine nuovo, eccetera. Ma, in linea
generale, si può dire che per lui ci si avvii, attraverso uno Stato
socialista, al futuro comunismo propriamente detto, dove ci sarà una
società politicamente organizzata ma non la consueta coazione statale (cfr.
le osservazioni dello Schlesinger in La teoria del diritto nell'Unione
sovietica, Torino, 1952, al cap. Il - è possibile immaginare variamente
le caratteristiche di questo finale stadio comunista: «totale
realizzazione dei definitivi ideali del liberalismo e dell'anarchismo» o
«ferrea disciplina in cui nessuno osi opporsi alla decisione della
maggioranza»?). Di questo Stato socialista è tuttavia difficile
prevedere se sia una fase transitoria di pochi anni o di secoli; ed è
difficile dire con esattezza quale è il significato di dittatura e di
legalità (fino a che punto dittatura in senso stretto, e quando dittatura
in senso puramente sociologico, che non esclude a priori la legalità).
Comunque a noi importa denunciare intanto gli sviluppi storici del
leninismo: che sinteticamente possono essere resi da due articoli della
Costituzione sovietica del 1936 (artt. 126 e 141) e da un commento teorico
autorevole, di Viscinskij. Articolo
126: «In conformità con gli interessi dei lavoratori e
allo scopo di sviluppare l'iniziativa delle masse popolari nel campo
dell'organizzazione e la loro attività politica, è assicurato ai
cittadini dell'U.R.S.S. il diritto di unirsi in organizzazioni sociali:
sindacati, cooperative, organizzazioni della gioventù, organizzazioni
sportive e di difesa, società culturali, tecniche e scientifiche, -
mentre i cittadini più attivi e più coscienti appartenenti alla classe
operaia e agli altri strati di lavoratori si uniscono nel Partito
comunista (bolscevico) dell'U.R.S.S., che è l'avanguardia dei lavoratori
nella loro lotta per il consolidamento e lo sviluppo del regime socialista
e rappresenta il nucleo dirigente di tutte le organizzazioni dei
lavoratori, tanto sociali che di stato». Articolo
141 : «I candidati alle elezioni vengono presentati per
circoscrizioni elettorali. Il diritto di presentare dei candidati è assicurato
alle organizzazioni sociali e alle associazioni dei lavoratori: alle
organizzazioni del Partito comunista, ai sindacati, alle cooperative, alle
organizzazioni della gioventù, alle società culturali». Viscinskij (citato dallo Schlesinger, op. cit., cap.
VIII) ha fatto nel 1939 alcune precisazioni sul diritto socialista: «Il
diritto socialista durante il compimento della ricostruzione socialista e
il graduale trapasso dal socialismo al comunismo» viene definito come «un
sistema di norme stabilite in forza di legge dallo Stato dei lavoratori,
ed esprimente la volontà dell'intero popolo sovietico, guidato dalle
classi lavoratrici capeggiate dal Partito comunista, al fine di
proteggere, rafforzare e sviluppare i rapporti socialisti e la formazione
di una società comunista». Se, malgrado la Costituzione del 1936 e le
varie dichiarazioni teoriche di uomini sovietici autorevoli, ci sia una più
profonda intenzione di arrivare a dissolvere il partito nello Stato, ciò
va debitamente provato: ma, secondo noi, non può essere provato, almeno
per ciò che riguarda il gruppo attualmente al potere. L 'ultimo congresso
del partito comunista dell 'U .R.S.S. conferma la nostra convinzione. (3) Queste osservazioni sono fatte senza ignorare la
maggiore «apertura» che si è voluta dare via via al Partito comunista
dell'U.R.S.S., così da poter essere considerato alla fine una
organizzazione più nazionale che classista, cioè di un àmbito che tende
a coincidere con quello statale. Ma il Partito comunista dell'U.R.S.S.
rimane pur sempre, e sotto certi aspetti diviene sempre di più, organo di
parte, in esso si è vincolati a una determinata filosofia politica - dove
lo stesso socialismo ne ammetterebbe più di una, per non dire
innumerevoli -, in esso ha limitazioni assai gravi la democrazia interna e
non è possibile un controllo istituzionale del potere dei suoi capi.
Inoltre la stessa «apertura», di cui si discorre sopra, ha indubbiamente
valore sul terreno dell'evoluzione costituzionale: ma in effetti, nel
quadro dell'assedio a cui la nazione russa è stata sottoposta per anni da
parte delle potenze capitalistiche, può anche segnare la definitiva
involuzione in senso nazionalistico di un ideale internazionalista. (4) A. O. : L'ordine politico delle Comunità, 2.
ed., Milano, 1951, pagg. 310-311. (5) Manvendranath Roy ha partecipato dal 1906 al
movimento di liberazione nazionale in India e, dal 1917, ha avuto un ruolo
di primaria importanza entro le formazioni politiche di sinistra d'Asia,
d'Europa e d'America (Messico). Per molti anni è stato a capo del «dipartimento
orientale» dell'Internazionale Comunista: si è poi via via orientato
verso posizioni «al di là del comunismo», di umanesimo radicale, per le
quali al mutamento delle strutture economico-sociali si nega la priorità
assoluta e viene richiesta, come fondamentale al pari di esso, la
fondazione di istituti per l'esercizio concreto e diretto, da parte di
tutti, delle libertà indi viduali («salvo che come somma totale di
libertà e di benessere attualmente goduti da parte degli individui, la
liberazione sociale e il progresso sono ideali immaginari, che non
verranno mai realizzati»). Roy è uno dei maggiori scrittori politici
dell' Asia. Nel
recensire The Meaning of Democracy, di Ivor Brown (sulla rivista The
Humanist Way da lui diretta - [voI. IV, n. 4, 1951]) egli scriveva: «Non c'è dubbio che l'autore [Brown]
attribuisce, nella sua esposizione, importanza di primo piano ai partiti
politici. Egli è certo conscio dei pericoli legati ai partiti politici,
ma ritiene che possano essere eliminati con una riforma delle condizioni
delle masse. Non appare chiaro come, esistendo i partiti politici, si
possa evitare la lotta per il potere; e se la lotta per il potere continua
ad essere la molla della prassi politica, l'inganno e la demagogia saranno
all'ordine del giorno. In realtà i metodi che l'autore cerca di
correggere nel suo volume sono da attribuirsi in massima parte ai partiti
politici. Brown ammette tuttavia che i partiti (e nel caso particolare si
deve intendere i partiti politici) sono inevitabili, in quanto, affondano
le loro radici nella natura stessa degli uomini. Non ci riesce di
comprendere lo scopo di tutta la fatica da lui spesa a questo proposito. I
partiti politici propriamente detti hanno origine recente, e sono
concepiti nel presupposto che la detenzione del potere politico sia
essenziale per il conseguimento dei mutamenti sociali e costituzionali
desiderati. Quindi la conquista del potere politico è stato l'argomento
principale dei loro programmi, e buona parte della confusione del mondo di
oggi deriva inevitabilmente da questo concetto. La tragedia dei tempi
moderni è l'atomizzazione della persona, costretta a farsi insignificante
e impotente in mezzo a una società potente e ad uno Stato onnipotente. I
partiti politici hanno colto tutti i vantaggi possibili dalla situazione,
ed hanno fatto dell'individuo un essere vuoto e miserabile. Ci sembra che
la soluzione sia da ricercarsi in direzione di un sistema di piccole
organizzate democrazie, integrate in una struttura a piramide, che
costituirebbe lo Stato, e dotate, ognuna di esse, di effettivo potere
economico e politico. Lo stesso Brown dimostra di cogliere il punto
essenziale quando scrive che «la decentralizzazione del controllo
industriale ed economico, effettuata in modo che l'operaio senta che
attraverso il suo voto egli diviene qualcuno sia nella fabbrica che nello
Stato, è evidentemente la necessità del momento attuale». Questo
concetto merita di essere studiato ed daborato in tutti i suoi aspetti e
le sue conseguenze, e ciò che qui si vuol concedere a ogni operaio «spetta
altresì ad ogni cittadino nei confronti del potere politico ed economico».
(6) Ecco i passi più importanti del Punto IV di
Truman (dal discorso inaugurale da lui tenuto al Congresso nel febbraio
1949, come 33° Presidente degli Stati Uniti d' America): «Dobbiamo impegnarci in un nuovo audace programma al
fine di utilizzare i benefici della nostra marcia scientifica e del nostro
progresso industriale nel miglioramento e nello sviluppo delle aree
depresse. (.) Il vecchio imperialismo - sfruttamento da parte di stranieri
- non trova posto nei nostri piani. Ciò che noi intendiamo è un
programma di sviluppo fondato sul concetto di un leale comportamento
democratico. (.) La democrazia soltanto può fornire quella forza vitale
atta a stimolare i popoli del mondo a un'azione vittoriosa non solo contro
i loro oppressori umani, ma anche contro i loro nemici di sempre: fame,
miseria, disperazione». (7) Il Piano di Colombo (del 1950. Così chiamato
dalla città di Colombo nell'isola dì Ceylon) si concertò per i paesi
asiatici del Commonwealth, con l'accordo di tutte le nazioni del
Commonwealth stesso, e mentre alle riunioni per la sua redazione erano
presenti osservatori della Birmania, dell'Indonesia, dell'Indocina e del
Siam. E' un piano fondato sul presupposto che sia un dovere per le nazioni
più progredite e in posizione più fortunata, partecipare all'elevazione
del livello di vita delle aree arretrate o depresse. Altra sua
caratteristica essenziale consiste nel non essere di formazione
autoritaria, «unilaterale», ma nel chiamare anzitutto in causa le
rappresentanze responsabili dei paesi interessati. (8) Il Movimento Comunità ha appoggiato sin dagli
inizi gli scopi dichiarati dal «Consiglio dei Comuni d'Europa» e
appoggia la battaglia per la realizzazione dei princlpi contenuti nella «Carta
europea delle libertà locali», alla cui redazione ha dato un suo
contributo dottrinario e di pratica esperienza (vedi la rivista Comunità,
n. II, giugno, 1951: «Partecipazione delle libere collettività locali a
un consiglio europeo dei comuni»; e n. 15, ottobre, 1952: «Carta europea
delle libertà locali»). (9) La Fabian Society, in vari decenni di lavoro in
stretto dialogo col partito laburista e con le Trade Unioons (e
conservando «gelosamente», come tengono a dichiarare i suoi stessi
membri laburisti, la sua indipendenza) si è preoccupata di delineare una
serie di riforme di struttura, anche quando non se ne vedeva
immediatamente possibile la realizzazione per gli esistenti rapporti di
forza politici. Non impegnata nelle contese elettorali politiche, la sua
forza è consistita nell'assenza di ogni tatticismo, nella larga apertura
- senza dogmatismi - agli esperti e nella sua fiducia nell'azione
educativa svolta, oltre che con i consueti libri e pamphlets, da più
diecine di centri o società fabiane locali, e anche attraverso scuole e
convegni. Sarà forse a questo punto utile riportare una
considerazione del laburista Aneurin Bevan (In Plact' of fear, London
1952; nella traduz. ital., Il socialismo e la crisi internazionale,
[Novara] 1952): «È abitudine di molti pubblicisti irridere al Partito
laburista per il suo attaccamento a quelli che passano per princìpi
dottrinari». Dal tono di questi attacchi vien fatto di pensare che la
mancanza di princìpi sia, in politica, la cosa più conveniente. Nessun
uomo di stato può reggere alla tensione imposta dalla vita politica
moderna senza quell'intima serenità che deriva dall'aderenza a un certo
numero di convinzioni fondamentali. Senza la loro influenza
equilibratrice, egli è in balìa d'ogni brezza passeggera. Intelligenza e
agilità politica non possono sostituirle validamente». (10) Proposta di legge n. 2616 del 25 marzo 1952
presentata al Parlamento dai deputati Calamandrei, Rossi Paolo, Mondolfo,
Ariosto, Cornia, Belliardi e Cavinato. (11) A chiarimento del nostro pensiero, e ad evitare
interpretazioni «conservatrici» di esso, rimandiamo all'articolo
Ricreazione educazione e servizio sociale (v. Ricreazione, anno III, n.
1-2-3, genn.-febbr.-marzo 1951) di Angela Zucconi. (12) In Il comunismo sovietico: una nuova civiltà di
Sidney e Beatrice Webb (voI. Il, «Post scriptum» alla seconda edizione,
Einaudi, Torino 1950) si dice: «Molto più grave [rispetto ai mali della
burocrazia], per il pericolo che può derivarne per il futuro progresso
sociale, è la persistenza nell'U.R.S.S. della decisa riprovazione e anche
repressione, non della critica dell'amministrazione, che è, pensiamo noi,
più persistentemente e più attivamente incoraggiata che in qualsiasi
altro paese, ma del pensiero indipendente su problemi sociali
fondamentali, su possibili nuovi modi di organizzare gli uomini in società,
su nuove forme di attività sociale e nuovi sviluppi del codice di
condotta socialmente stabilito. È dalla facoltà di pensare nuovi
pensieri e di formulare anche le più inattese idee nuove che dipende il
progresso futuro dell'umanità». Ci piace inoltre, a questo punto, richiamare una
pagina di Alain (del 1934; ripubblicata dalla rivista francese Federation,
luglio 1951): «Viendra-t-il un temps, où la politique ne declamera plus?
Il faut l'esperer. On demande à la societe la sûreté, la
propreté, la commodité, d'après les règles de la cooperation. Il n'y a
pas lieu de gonfler par la rhétorique ces fonctions inférieures. Et
quant aux supérieures, la société ne peut. Par exempIe, instruire, la
société ne le peut. Elle ne tirera de sa rhétorique propre que quelques
phrases misérables qui changeront avec le gouvernement. On en tirera à
peine une dictée. Le vrai fonds inéquisable, d'où l'instruction tire
ses richesses, est dû à un bon nombre de fortes têtes, de penseurs, de
poètes, d'artistes, qui ne furent point soumis à la commune opinion,
mais qui au contraire raisonnèrent et chantèrent comme chantent les
oiseaux. Ce gran ramage des génies fait ce qu'on nomme très bien les
Humanités. On ne demande pas de quelle nation la Bible, de quelle, la géométrie
de Thalès, de quelle, le principe d.Archimède, de quelle, l.Iliade, de
quelle, Faust, de quelle, Don Quichotte, de quelle, Othello; ces oeuvres,
et tant d'autres sont humaines. La nation ne peut nourrir l'homme. Et
pourquoi? Parce que les fonctions de sociètè sont importantes, certes,
mais basses. Certes, il importe que je ne sois pas dépouillé, empoisonnè,
assommé, ou bien attelé comme un cheval; il importe que la peste, le
choléra et l'ordure soient balayés; sans quoi je ne penserais guère.
Mais si ces balayages et défenses prennes tout le temps, personne ne
pensera plus du tout. La première clameur fera preuve. La panique et la
furereur remédieront aux maux de nature par des maux encore pires, selon
la méthode de civiliser qui est si bien dépeinte dans Candide. Et
pourquoi l'homme descend si vite au ridicule et à l'odieux, on le
comprend très bien. C'est qu'il agit comme société, par masse, par coopération;
et cette méthode qui produit de grandes poussées, produit en revanche de
très petites pensées. Assurément je dois, si je veux être juste, bénir
la société à laquelle j'appartiens, qui m'a donné protection,
puissants moyens, loisirs pour apprendre, et la paix, dans les rues; et
qu'il y ait incendie ou écroulement, ou tout autre périI, j'y dois
courir e j'y cours, afin de rendre à mes semblables ce qu'ils ont fait
pour moi. En ce sens je les aime, et je me soumets à leur masse. Mai leur
demander ce que je dois penser, non. Leur pensée, autant qu'elle leur est
commune, est puérile, fanatique et folle. Ce
n'est pas que l'homme de la rue manque de bon sens. Je suis bien loin de
le penser; et au contraire j'accepte l'égalité des suffrages; toutefois
sous cette condition de prudence que le citoyen soit seul au moment où il
decide. Et s'il pouvait alors prononcer d'après sa seule experiénce,
tout irait bien. Tout le mal vient de cette fantastique opinion publique
qui n'est de personne et que tous subissent. On dit, cela signifie que
personne ne dit, mais que tout disent qu'on dit. C'est ainsi qu'on citoyen
a confiance par la publique confiance, et défiance par la publique
defiance. Les autres font de même et n'en savent pas plus. Comme la
publicité vous enfonce un nom dans les yeux et dans les oreilles, ainsi
la presse, l'affiche et la radio sont en mesure de créer des paniques et
finalement d'imbéciles massacres. Depuis la paix quelles rumeurs n'a-t-on
pas lancées? Il me semble toutefois qu'elles ne courent pas longtemps. Le
calme revient, et même plus vite qu'on ne l'espérait. Il y a comme un
frein invisible qui amortit les oscillations. Preuve qu'on bon nombre de
citoyens ont compris la malice, et contrarient d'abord de leur place, et
sans crier, toute rumeur qui leur vient aux oreilles. On examinera, soit.
Mais il importe premièrement de repousser ce qui envahit. L 'esprit,
quand il est digne de son nom, commence toujours par supposer faux ce qu'il
se sent porté à croire. J'avais
raison de dire que l'Etat n'est pas capable d'énseigner; car il
enseignera ce qu'on doit croire. En réalité ce sont les individus qui
enseignent, et chacun enseigne en défendant contre la rumeur le plus haut
de lui-même. Il y a beau temps qui nos seigneur ont dénoncé l'incrédulité
comme le mal des Républiques. Ils criaient avant d'être écorchés. En réalité,
les premiers signes de l'incrédulité paraissent à peine. L 'esprit roulé
comme Ulysse par la vague, apparaît quelquefois nageant selon sa loi. On
est étonné alors de ce sillage qu'on homme libre laisse après lui; mais
du reste qu'il ne s'occupe pas de cela. Qu'il soit libre d'abord ». (13) Vedi L'industria nell'ordine delle Comunità, La
lotta per la stabilità, Tecnica della riforma agraria, in « Tecnica
delle riforme », [Torino], l951; poi in « Società Stato Comunità »,
Milano, 1952, pagg. 39-69 e 89-106. (14) « S'intende parlare di un laicismo inteso come
adesione al metodo della non-violenza, del rispetto, dell'amorevole
persuasione, quale si conviene a tutti coloro che - trascendentisti o
immanentisti - credono che non sia altrimenti proponibile una vita
spirituale, in cui si affermi il valore della persona umana. Alla radice
di un conseguente spirito laico non c'è necessariamente una
"religione della libertà", in cui alla verità trascendente o
almeno metastorica si sostituisce una veritas filia temporis: c' è posto
fra i laicisti sia per gli storicisti che per i non storicisti. Questo
spirito laico è proprio di tutti coloro che sono, comunque, vivamente
preoccupati di interrogare sempre la propria coscienza; che ritengono la
ragione un dono "divino" da difendere in ogni caso; che vogliono
essere persuasi e non violentati (sia pure in senso puramente psicagogico);
che non sono aridi di cuore, amano il prossimo per se stesso e non
vogliono fare "della virtù a spese del prossimo" - per usare
parole di don De Ménasce (articolo "Fede, speranza e carità",
nella rivista Studium, aprile 1951) -; che sentono necessità di questo
prossimo per la vita della propria coscienza e della propria intelligenza,
le quali finirebbero per rattrappire in un mondo di sole cose o di
soggetti da intendere come enti puramente ricettivi; che non sono, allora,
meno assetati di giustizia che di libertà. È chiaro che per tutti
costoro le varie istituzioni della vita associata, lo stesso Stato, il
diritto, i partiti, la scuola, ecc., hanno un valore strumentale - il che
non implica un loro avvilimento, ma l'attribuzione di un valore
semplicemente parziale. Ciascuno, per mutua consolazione o per un ascolto
corroborante, tenderà sovente a incontrarsi con uomini della stessa
vocazione o della stessa fede: ma in questo mondo così ricco di fratture
dobbiamo moltiplicare le occasioni di lavorare insieme agli "altri
"; per mostrare loro, col "modo" di lavorare, il grado di
profondità e il senso della nostra fede, e per intendere, sotto l'altrui
professione di fede, l'impegno morale che la sorregge, l'amore e il dolore
che la alimentano». (Umberto Serafini, da una conversazione al Centro
culturale di Comunità di Roma, nella serie Laicismo e non laicismo
organizzata dal «Movimento internazionale di unione e fraternità»). (15) Costituzione Italiana, art. 34. « La scuola è
aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto
anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno
diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con
borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono
essere attribuite per concorso». (16) « Laddove la realtà di un profondo e operante
progresso sociale è stata raggiunta attraverso una pianificazione
urbanistica integrale -nell'Inghilterra - la scuola ha determinato l'unità
dimensionale dei piani urbanistici. L'"optimum" di funzionalità
di una scuola serve a stabilire qual è l'"optimum" delle
dimensioni dell'unità residenziale. La scuola è la base e la misura
dell'intero centro abitato. I vari tipi di scuole caratterizzano i vari
tipi di unità residenziali : l'"unità-vicinato" (composta di
1.000-1.500 abitanti) comprende il nido d'infanzia; l'unità-borgo
(4.000-7.500 abitanti) il nido e la scuola elementare; l'unità-distretto
(20-30.000 abitanti) l'asilo, le elementari e le scuole medie di tutti i
gradi. «Ma non si tratta solamente di questo. La scuola
elementare e la scuola media sono destinate ad essere i centri attivi
dell'intera comunità. Il complesso scolastico, situato in posizione
centrale, come cuore dell'intero dispositivo urbanistico, comprende sale
di riunione, biblioteca e locali per la ricreazione ed i giuochi. Intorno,
nella zona verde. di rispetto, sono sistemati i campi e le attrezzature
sportive. Non soltanto la scolaresca iscritta è chiamata a fruire di
questi servizi; l'intera comunità trova nel complesso scolastico il suo
luogo d'incontro e il fulcro di ogni forma di vita associata. «Il legame fra scuola e città è di carattere
organico. La vitalità di un complesso scolastico dipende dalla vitalità
dell'unità cui appartiene. Il servizio che la scuola è chiamata a
rendere alla comunità può essere determinato solo avendo ben presenti le
caratteristiche funzionali della comunità. In tutta l'edilizia scolastica
italiana si è sempre trascurato questo aspetto fondamentale. L 'edificio
scolastico è tradizionalmente inteso come un insieme di aule, completato
da pochi uffici, da una palestra, da impianti igienici più o meno
completi e, nei casi migliori, da un giardino. Spesso ci si limita alle
aule, agli uffici e ai gabinetti. La causa di queste manchevolezze non è
sempre la povertà di mezzi finanziari o la colposa inosservanza delle
norme regolamentari. Quando si perde la vera funzione della scuola in
tutto il complesso urbanistico, si può anche rinunciare a cuor leggero a
questo o a quel Il servizio»: l'essenzialità di esso diventa materia
opinabile. «Concludendo, bisogna aver chiaro soprattutto un
punto: il problema dell'edilizia scolastica non è un mero problema
quantitativo; nè è soltanto un problema di buona o cattiva architettura.
Per risolverlo, occorre trasferirlo sull'unico piano cui attiene, sul
piano urbanistico» (Riccardo Musatti, relazione Scuola e urbanistica
tenuta al XIV Congresso Nazionale della Federazione Nazionale Insegnanti
Scuole Medie, Roma 13/15-III-1952, e riportata negli Atti, editi, sotto il
titolo «La parola della scuola», a Torino dal periodico L'eco della
scuola nuova). (tratto da www.communitas2002.it) |