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05 Giugno 2004
INDUSTRIALI E SINDACATI CHIEDONO PIU’ CONFRONTO. I DUBBI DEL MINISTRO
MARONI: L’ACCORDO DEL 1993 HA SORTITO SOLO DOCUMENTI RIMASTI INAPPLICATI
Ciampi: necessario un nuovo grande patto sociale
Da S. Margherita appello per la
concertazione
Per il segretario Cgil Montezemolo alla Confindustria
rappresenta una svolta
«E adesso il dialogo»
Roberto Ippolito
inviato a SANTA
MARGHERITA LIGURE
L'analisi è severa:
«L'Italia è un Paese vecchio e sfiduciato che non sogna più». La voglia di
contribuire alla riscossa, comunque, è forte: «Ma da soli potremo fare ben
poco» fa presente Anna Maria Artoni, presidente dei giovani imprenditori della
Confindustria nell'annuale convegno di Santa Margherita Ligure, sollecitando
uno sforzo «collettivo».
I giovani
imprenditori spingono per la ripresa del dialogo fra aziende, sindacati e
governo: insomma un rapporto costruttivo fra forze sociali e istituzioni. «La
concertazione è un valore: l'unica alternativa al conflitto e al
consociativismo» sostiene la Artoni, dando con il proprio contributo originale
il pieno sostegno al progetto di «concertazione strategica» del nuovo
presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. «Concertazione vuol
dire condivisione» sottolinea Alberto Bombassei, vicepresidente per le
relazioni industriali.
Santa Margherita
Ligure è quindi un'altra tappa del confronto che si è aperto. «A undici anni
dalla svolta del '93 è necessario lanciare un nuovo grande patto sociale»
afferma la Artoni. Che apre il convegno leggendo emozionata il lungo messaggio
del presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, regista nel 1993 dello
storico accordo sulla concertazione.
Ciampi dice ai
giovani imprenditori: «Se saprete sviluppare un proficuo rapporto di
collaborazione con le istituzioni politiche e amministrative e con gli altri
protagonisti dello sviluppo del territorio, sarete in grado di realizzare quel
circolo virtuoso, quel fare squadra, fare sistema, indispensabili per
affrontare con successo le sfide che la competizione globale ci impone».
Ciampi parla
dunque dell'esigenza di «fare squadra» al centro delle tesi di Montezemolo. E
il segretario della Cisl Savino Pezzotta nota che «il clima sta cambiando»
riferendosi al largo sostegno, registrato al convegno e non solo, per la
ripresa del dialogo in Italia.
Ma il ministro
del lavoro e delle politiche sociali Roberto Maroni conferma le sue riserve. Il
ministro si dichiara «d'accordo» sulla concertazione solo se «vuol dire dialogo
nel rispetto del ruolo di ciascuno», ma «non sono d'accordo se è la proposta di
tornare all'accordo del '93 che non ha sortito effetti utili ma solo grandi
documenti rimasti inapplicati».
Ovviamente non si
tratta di una discussione di carattere storico (fra l'altro Montezemolo ha già
spiegato che richiamare «esperienze valide» non significa «riproporle tali e
quali»): la questione è il ritorno al confronto.
«Se Maroni non
vuole fare la concertazione lo dica chiaramente» attacca Pezzotta ricordando i
frutti dell'accordo del 1993: adesione all'euro, riforma delle pensioni,
tranquillità sociale. E «questa è la verità, negarla non serve nè a Maroni nè
al Paese». Il leader della Uil Luigi Angeletti definisce le valutazioni del
ministro «una sua opinione», «non molto utile». Per l'opposizione Tiziano Treu,
responsabile economico della Margherita, rileva che le scelte compiute negli
Anni Novanta per il risanamento «sono state sostenute dalla concertazione».
Del resto,
puntualizza Luigi Abete, vicepresidente dell'Assonime e presidente Bnl, «per
far sviluppare una società complessa come la nostra, dove non esiste Mandrake,
ci vuole il consenso nei limiti del possibile». Abete (per il quale Montezemolo
ha «fatto bene a parlare di nuova concertazione») ha ricostruito i risultati
positivi e anche quelli negativi dopo l'accordo del 1993. Rivolto al direttore
generale della Confindustria Stefano Parisi gli ha imputato di essere oggi
contrario ma di essere in passato «dall'altra parte». E ha osservato che la
mancata firma della Confindustria nel 1995 all'intesa sulle pensioni, poi
attuata, dimostra l'inesistenza di un diritto di veto e al massimo il
raggiungimento di una soluzione «non esaustiva»: è una risposta a Maroni che
teme «il ritorno a vecchi sistemi» con l'immobilismo imposto da singole sigle.
Maroni rivendica
invece la realizzazione negli ultimi anni di «molte cose importanti utilizzando
un metodo che non so se chiamare dialogo sociale o concertazione attenuata».
E' la Artoni poi
a indicare le differenze rispetto al 1993: «Non possiamo più permetterci di
giocare solo in difesa» per i salari e i conti pubblici, ma bisogna «giocare
all'attacco» con «obiettivi diversi: innovazione, ricerca, produttività,
risorse umane. Adesso, nota Bombassei, si deve entrare nel vivo: «Non vediamo
l'ora che il confronto inizi e ci si metta intorno a un tavolo per rilanciare
lo sviluppo del Paese». Per Bombassei «conforta» che Ciampi e il governatore
Antonio Fazio dicano «le stesse cose che abbiamo detto noi».
Puntualizzando
l'esigenza di concordare gli obiettivi, Pezzotta rimprovera al governo di
fissare «da solo il tasso di inflazione programmato, parametro di riferimento
per i contratti: «Perciò io non lo applico». A Parisi che non concorda con lui,
Pezzotta risponde che «il tasso deve essere condiviso» come «è scritto»
nell'accordo del 1993.
La situazione è
in movimento. Abete vede «una grande occasione» nel rilancio del dialogo
proposto da Montezemolo: «Quindi pensiamo alle cose del futuro, altrimenti
questo Paese discute sempre del passato».
05 Giugno 2004
«Via alla nuova politica dei redditi»
Epifani alla Fiom: ma la ricetta
non è la moderazione salariale
Roberto Giovannini
inviato a LIVORNO
La Cgil «non è
una fabbrica di odio», ma piuttosto «una fabbrica di speranza che non si
rassegna al declino del Paese». Così il segretario generale della Cgil
Guglielmo Epifani ha risposto ieri a Silvio Berlusconi, dal palco del congresso
della Fiom al «Palalivorno». Un intervento in cui il numero uno di Corso
d’Italia - che ha plaudito alla scelta di maggioranza e minoranza di chiudere
con un documento unitario e senza spaccature l’assise dei metalmeccanici - ha
soprattutto ribadito la sua analisi preoccupata sullo stato di salute del
Paese. E insieme, Epifani ha ribadito l’interesse per la «svolta» portata dalla
nomina di Luca di Montezemolo a presidente di Confindustria. Chiarendo però che
la nuova, auspicata, stagione di politica dei redditi non potrà essere
all’insegna della moderazione salariale.
Epifani - al
collo una sciarpa della pace - ha naturalmente ricordato con soddisfazione le
manifestazioni che in quelle ore si tenevano a Roma durante la visita di George
Bush. Una protesta che «le manifestazioni sciocche e irresponsabili di qualche
frangia estremista» non hanno intaccato. Semmai, il leader Cgil se la prende
con chi in questa occasione ha voluto caricare il clima di tensione. «Perché -
si è chiesto - Berlusconi ha usato le parole che ha detto nei confronti della
Cgil quando ci ha definito “fabbrica dell'odio”?». Al contrario, «dobbiamo
continuare ad essere quello che siamo, una grande forza tranquilla e serena. Se
fabbrica noi siamo, è una fabbrica di speranza che non si rassegna al declino
del Paese», amplificato dalla confusione del governo. Un declino che potrà
essere invertito con una nuova politica industriale, ma è probabile che per
queste scelte del governo bisognerà aspettare «un nuovo quadro
politico-istituzionale». «Da qui ad allora - ha spiegato - non dobbiamo far
passare soluzioni che riducano il nostro patrimonio produttivo, dalla Fiat alle
telecomunicazioni».
Intanto, si può
ragionare sulla nuova politica dei redditi, che però non potrà essere basata
sulla moderazione salariale, come chiede Antonio Fazio e indicato anche da
Montezemolo. Resta il fatto che per Epifani l'arrivo di Luca Cordero di
Montezemolo alla guida di Confindustria è «davvero una svolta», come mostra il
«duro confronto» nell’associazione degli imprenditori. Nei confronti di
Montezemolo «dobbiamo operare passi verso le richieste di dialogo», magari
cominciando a ragionare sulla politica industriale e sul ruolo del sistema
bancario. Quanto alla Fiat, resta una forte preoccupazione, e la Cgil appoggerà
le richieste della Fiom e della Rsu di Mirafiori: «Sul futuro di questo gruppo
- ha detto Epifani - ci giochiamo un pezzo rilevante della capacità produttiva
del sistema industriale del Paese».
Infine, i
rapporti tra Cgil e Fiom. Epifani promuove - «saremmo tutti stati più deboli»,
dice - le scelte dei metalmeccanici, anche quelle di rottura; e a suo dire se
oggi si può riparlare di disgelo tra Fiom-Fim-Uilm è anche merito «del rigore
con cui siamo stati in campo in anni difficili». Insomma, tra confederazione e
Fiom c’è un confronto in corso, ma nessuna divisione. Ed è «suggestiva ma irreale»
la descrizione di una frattura tra radicali e riformisti nel sindacato. È bene,
dunque, che anche la Fiom resti unita.
Una linea che
aveva in precedenza indicato anche il segretario nazionale Riccardo Nencini,
leader della minoranza «riformista» Fiom. Nencini ha confermato che non verrà
costituita una corrente, anche perché Rinaldini «ha avuto il coraggio di
assumere scelte non statiche», specie sui rapporti con Fim e Uilm e sulla
democrazia sindacale. Quanto alla politica dei redditi, per Nencini non serve
una battaglia ideologica, sapendo che quando c’è una crisi «il sindacato deve
proporre un’alternativa, per non subire una limitazione della sua libertà
contrattuale».
05 Giugno 2004
«Mirafiori è
una risorsa per la città»
Appello di oltre 200 intellettuali: la sua difesa non è
solo un simbolo
Oltre 200 intellettuali torinesi
hanno firmato un appello intitolato «Per Mirafiori come risorsa per Torino».
Nel testo si legge: «La difesa dello stabilimento della Fiat di Mirafiori non è
un fatto solo simbolico. Mirafiori deve restare aperta per cruciali ragioni
economiche che riguardano al nostra area e il paese».
E prosegue:
«Mirafiori deve restare aperto perchè la città ne ha un vantaggio economico e
non perchè c’è un problema sociale. Ma perchè ciò si realizzi lo stabilimento
deve essere oggetto di nuove scelte strategiche che ne prefigurino un vero
futuro produttivo. Il movimento sindacale sta facendo di questo il suo impegno
centrale e non possiamo lasciarlo solo».
Tra i firmatari
Furio Colombo, Luigi Ciotti, Riccardo Bellofiore, Luciano Gallino, Marco
Revelli, Massimo Salvadori, Andrea e Luigi Bobbio, Bianca Guidetti Serra,
Nicola Tranfaglia, Gianni Vattimo, Sofia Grande Stevens, Chiara Saraceno, Mimmo
Calopresti, Aldo Agosti, Giovanni Del Tin, Carlo Carlevaris, Gian Paolo Zancan,
Gioia Montanari, Benedetto Terracini, Gian Giacomo Migone, Renzo Rovaris,
Giorgio Balmas, Livio Pepino, Patrizia Presbitero, Gastone e Silvana Cottino,
Marco Brunazzi, Giovanna Galante Garrone, Agostino Pierella.
Commenta Vanna
Lorenzoni: «Che tante personalità di primo piano abbiamo deciso di scendere in
campo con il sindacato per non lasciarlo solo nella battaglia affinchè Torino
abbia un futuro si sviluppo ancorato all’industria e al suo stabilimento
simbolo è importantissimo e non scontato».