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04 Giugno 2004

IL SEGRETARIO RINALDINI APRE IL CONGRESSO CON TONI INATTESI. E CON FIM E UILM E’ SUBITO DISGELO
La Fiom: novità da Montezemolo
«Ma alla concertazione del ‘93 non si torna»

Roberto Giovannini
inviato a LIVORNO
C'era grande attesa per l'apertura del 23° congresso della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil. Sindacalisti e addetti ai lavori si chiedevano se il sindacato guidato da Gianni Rinaldini (la cui mozione ha vinto nettamente il confronto congressuale, con l'82%, nei confronti della mozione «riformista» del segretario nazionale Riccardo Nencini) si sarebbe messo di traverso alla marcia della Cgil verso una unità di azione con Cisl e Uil. Così non è stato: nella sua applaudita relazione introduttiva, Rinaldini - pure ribadendo puntigliosamente le specificità della Fiom, «sindacato autonomo e indipendente» e confermando una linea politica e rivendicativa aggressiva - ha formulato proposte operative di «distensione» nei confronti di Fim-Cisl e Uilm-Uil in tema di democrazia sindacale, e ha aperto alla elaborazione di una piattaforma unitaria per il rinnovo del prossimo contratto di categoria (che giunge dopo lo strappo di ben due rinnovi separati). Nessuna apertura formale, invece, sulla ventilata ripresa della concertazione (parola nemmeno mai citata nella relazione) tra sindacati, imprenditori e governo, auspicata dalle confederazioni e dalla nuova Confindustria di Luca di Montezemolo. Le novità provenienti da Viale dell'Astronomia sono state notate, ma con gli industriali sono possibili solo «convergenze su singoli aspetti».
Oggi toccherà al segretario generale Cgil Guglielmo Epifani intervenire dalla tribuna del fiammante «Palalivorno». Ieri il leader Cgil si è limitato a definire quella di Rinaldini «una buona relazione», ma se non altro da ieri Epifani può sperare che sia stato un po' incrinato il «macigno» nei rapporti con Cisl e Uil, ovvero lo scontro all'arma bianca di questi ultimi anni tra le organizzazioni di categoria dei metalmeccanici. Positivo è il commento di Riccardo Nencini, leader della minoranza. E per Cesare Damiano (ex dirigente Fiom, ora nella segreteria Ds), «è importante la disponibilità a tornare a lavorare insieme dopo quattro anni di accordi separati».
In ogni caso, Gianni Rinaldini - sull'onda di un successo congressuale che è stato certamente favorito dall'esito vittorioso della vertenza Melfi - è riuscito a bilanciare con pragmatismo aperture e conferme della linea seguita in questi anni dalla sua Fiom. Non cambia, infatti, l'analisi sulla globalizzazione liberista e sulla necessità di contrastarla, scelta che ha portato da anni la Fiom al fianco dei movimenti no-global. E del resto, anche oggi i metalmeccanici parteciperanno alla manifestazione pacifista contro George W. Bush: «ci saremo con la nostra identità di organizzazione sindacale democratica che ripudia ogni forma di violenza e manifesta a viso scoperto, senza ridicole bardature». Non cambia nemmeno il giudizio radicalmente negativo sulle scelte del governo e della Confindustria di Antonio D'Amato, e resta l'orgoglio nell'affermare che «per qualcuno siamo un problema non risolto, ma siamo noi, i metalmeccanici della Fiom». Non poteva mancare una particolare attenzione agli sviluppi della Fiat: la Fiom manifesta grande preoccupazione, ribadisce l'utilità di un intervento della mano pubblica, e avverte che giudicherà Luca di Montezemolo presidente di Confindustria per quel che farà come presidente della Fiat, per l'auto e per Mirafiori. Detto questo, la Fiom accoglie le novità emerse in Confindustria, ma mette le mani avanti: «una riedizione del patto sociale del 1993 non esiste», alla luce di quel che è successo negli ultimi dieci anni. Sì dunque a «possibili convergenze», ma sapendo che è necessario (anche con la leva fiscale e lo Stato sociale) «aumentare le retribuzioni reali».
Infine, i rapporti con Fim e Uilm e le regole della democrazia sindacale. Alcune delle proposte di Rinaldini sono più o meno concordate con Fim e Uilm: l'elezione su base proporzionale dei delegati nelle Rsu di fabbrica, che devono avere la titolarità della contrattazione aziendale; l'elezione da parte dei lavoratori di assemblee dei delegati che seguano da vicino e si esprimano sulle trattative per il contratto nazionale e quelli integrativi. La Fiom, però, ribadisce l'esigenza che l'ipotesi conclusiva di accordo venga sempre sottoposta al referendum di tutti i lavoratori. Da Giorgio Caprioli e Tonino Regazzi, leader rispettivamente di Fim-Cisl e Uilm-Uil, arrivano commenti moderatamente favorevoli, se non altro sui toni adottati da Rinaldini, che a giudizio di Caprioli «non enfatizza gli avvenimenti di rottura del passato recente» e ha mostrato «un approccio pragmatico». Resta però la distanza (che invero non appare insuperabile, volendo) tra Fiom e Fim-Uilm sulla politica salariale e sulla titolarità del contratto. Per Caprioli, devono essere le Rsu (o l'assemblea nazionale) a decidere se il referendum si deve fare o meno. Concorda Regazzi: «se il contratto non piace, c'è la crisi della Rsu, proprio come succede nel governo. Anche perché - spiega - la questione sta a monte, e cioè se facciamo una piattaforma e poi un contratto unitario».

                                                  

04 Giugno 2004
«SBAGLIATO DIFENDERE LA CONTRATTAZIONE CENTRALIZZATA»
«Purtroppo il congresso della Fiom conferma la linea conservatrice di una organizzazione che considera inesorabilmente conflittuale il rapporto di lavoro e considera l'impresa naturalmente vocata a limitare la dignità della persona nel lavoro», così Maurizio Sacconi, sottosegretario ministero del Lavoro. Per Sacconi, in particolare non è condivisibile «la rigida difesa del modello centralizzato di contrattazione che conseguente mente non lascia spazio ad una dinamica dei salari ancorata alla produttività delle diverse aziende e di diversi territori». Altri punti di criticità, «una idea delle relazioni industriali burocratica in quanto regolata dalla legge e quanto più affidata ai giudici anzichè una libera espressione di responsabili rapporti tra associazioni private; il sostanziale rifiuto della politica dei redditi del 1993 recentemente - o opportunamente - confermata dagli altri attori sociali; la difesa - ed anzi la riproposizione ovunque possibile - del “modello Melfi” nelle dinamiche sindacali come se il conflitto preventivo l'uso dei »picchetti« possano considerarsi un virtuoso esempio d moderne relazioni industriali».

 

04 Giugno 2004

A LECCO NUOVA TAPPA DEL TOUR DEL NUOVO PRESIDENTE «SODDISFATTO CHE TANTI TEMI PROPOSTI SIANO AL CENTRO DEL DIBATTITO»
«Confindustria autonoma da tutti i partiti»
Montezemolo: coi politici parlerò dopo il 14. Anche noi dobbiamo rinnovarci

Roberto Ippolito
inviato a LECCO
Il progetto della «nuova Confindustria» è in cammino. Con la massima attenzione all’autonomia. E’ il presidente Luca Cordero di Montezemolo, eletto il 26 maggio, a puntualizzarlo preoccupato per i tentativi di affibbiare all’organizzazione etichette politiche «vetero-provinciali» ma «contento che tanti temi proposti dalla Confindustria siano al centro di dibattiti, analisi e valutazioni»,
Arrivando all’Unione industriali di Lecco, dove interviene all’assemblea alla quale partecipano con un faccia a faccia il segretario Ds Piero Fassino e quello dell’Udc Marco Follini, Montezemolo segnala «il rischio di essere strumentalizzati da una parte o dall’altra perchè siamo in piena campagna elettorale», mentre «la Confindustria non fa politica». Perciò dice: «Con i politici riparlerò più volentieri e più a fondo dopo il 14 giugno» ovvero all’indomani dei risultati delle elezioni europee.
Ovviamente nulla di personale. Anzi, dopo averli ascoltati, il presidente della Confindustria afferma che Fassino e Follini «incarnano nella sostanza e nella forma un modo di dialogare che ci è mancato e di cui abbiamo bisogno». Tuttavia è indispensabile, per Montezemolo, comprendere l’approccio della nuova Confindustria: «Noi siamo fuori dalla politica e dai partiti. Mai come in questo momento siamo autonomi». Però «quando si è in campagna elettorale e si parla con esponenti autorevoli di partito si rischia sempre di essere tirati per la giacca, ma noi siamo forti e non ci facciamo tirare per la giacca da nessuno».
Nell’auditorium dell’Unione industriali di Lecco, nel quale gli imprenditori stentano a trovare posto in piedi, Montezemolo cerca di incanalare quell’entusiasmo che in un’economia appannata sta emergendo. Per rimediare a quella «pigrizia del paese» descritta da Rossella Sirtori, presidente dell’associazione.
«Bisogna individuare pochi obiettivi, condividerli e fare di tutto per raggiungerli» dice Montezemolo che ha lanciato la proposta della concertazione strategica per concretizzare uno sforzo collegiale e dare una scossa al paese. «A noi interessa che si smetta di litigare e si ci si metta d’accordo su alcuni punti». Ancora una volta, come in altre assemblee delle associazioni territoriali di questi giorni, anche Lecco sottolinea con un forte applauso il bisogno di concordia e di unità.
Il confronto è un modo di lavorare. Indipendentemente dai termini: «Parlare di concertazione, dialogo sociale o assunzione responsabilità: cambia poco; ma il dialogo sociale è fondamentale per i prossimi mesi. Ognuno reagisce come vuole, non possiamo star dietro a tutte le reazioni e a tutte le irritazioni».
Fra l’altro richiamare «esperienze molto valide» come la concertazione realizzata negli anni novanta «non significa riproporle tali e quali»: l’importante è sviluppare il confronto. La Confindustria dunque opera per alimentare la «collaborazione» e un rapporto positivo con i sindacati: «Abbiamo bisogno di dialogo e di un rapporto chiaro e costruttivo con i rappresentanti dei lavoratori che devono saper mettere in un angolo gli estremisti». E «questo è un punto fondamentale per un sindacato moderno».
Dopo aver preso tra venerdì e martedì scorsi alle assemblee di Modena, Brescia, Varese e Torino, a Lecco Montezemolo parla anche della Confindustria e del suo impegno. «Basta con il professionismo di Confindustria» esclama, anticipando che sei mesi prima della scadenza del mandato quadriennale «non mi occuperò minimamente del successore; tornerò a fare il mio mestiere e cercherò di lasciare a chi verrà dopo una Confindustria ancora più forte e moderna».
Con il nuovo vertice, pertanto, si lavora anche per migliorare la Confinfustria: «Non possiamo pensare che l’efficienza sia solo in casa delle nostre aziende e poi lasciare nel nostro sistema confindustriale sempre le cose come stanno».
Insomma bisogna «rinnovare anche al nostro interno». E «saper guardare in casa», anche perchè «Parmalat non era al di fuori del nostro sistema». Le vicende di questa azienda, pongono fra l’altro, il problema di un’adeguata separazione «tra la proprietà e la gestione» dell’impresa

 

04 Giugno 2004

Ma il rilancio del dialogo seduce i poli
Follini: aperta una fase nuova. Fassino: necessari obiettivi condivisi

 

inviato a LECCO
«QUEL che è certo è che questa Confindustria non è più collaterale, siamo entrati in una fase nuova. Se il nuovo corso è meglio o peggio del vecchio? Io non dò voti ai presidenti degli industriali passati o presenti, ma dico solo alla maggioranza che il motto non è più “molti nemici molto onore”, perchè per fare le riforme servono amici invece che nemici».
Marco Follini, segretario dell’Udc, spiega così la sua posizione nei confronti della nuova Confindustria subito dopo il faccia a faccia con il segretario dei Ds Piero Fassino davanti alla platea dell’Unione industriale di Lecco. Per un’ora Fassino e Follini si affrontano - ma è un confronto, non uno scontro - sulle priorità del paese e sulla possibilità di riallacciare quel dialogo sociale e politico che Luca Cordero di Montezemolo ha rilanciato una settimana fa come metodo di lavoro. E alla fine, dopo che anche Montezemolo ha fatto il suo discorso citando ecumenicamente più volte entrambi i segretari, anche dall’entourage di Fassino arriva la benedizione: «E’ una settimana che con Montezemolo fanno un gioco di sponda, anche se non certo concordato, nelle loro dichiarazioni. Del resto, come ha spiegato lo stesso Fassino sono due anni che diciamo le cose che dice anche il presidente di Confindustria». L’interesse con cui di Ds guardano il nuovo corso di viale dell’Astronomia, assicurano, va ben oltre la fase elettorale e punta a cercare, oltre a una visione comune dei problemi italiani, anche una possibile strategia condivisa sulle soluzioni.
L’inevitabile paradosso, insomma, è che se Montezemolo si sgola a ripetere da qualche giorno a questa parte che «Confindustria non fa politica», chiarisce come ha fatto ieri che con i partiti «parlerà dopo il 14 giugno» per non essere strumentalizzato, e rifugge dalle interpretazioni che danno il nuovo corso degli industriali come elemento centrale di un ipotetico asse che da un lato arriva fino al Governatore della Banca d’Italia e dall’altro apre ai sindacati, la politica non si lascia invece sfuggire occasione per lanciare messaggi e cercare contatti con una Confindustria che proprio come soggetto autonomo ha riacquistato di sicuro un peso politico.
Così Fassino di fronte alla platea lecchese non si discosta certo dall’ortodossia confindustriale quando dice che «le imprese devono tornare in un contesto favorevole alla crescita», e snocciola le quattro priorità su cui dovrebbero puntare le politiche pubbliche, «visto che l’impresa da sola non può muovere quelle leve»: investimenti in ricerca, infrastrutture, formazione e internazionalizzazione delle imprese. Il tutto, per tirare in ballo Berlusconi e Tremonti, «usando anche la leva fiscale, ma come leva e non come obiettivo. E’ illusorio e velletario pensare di investire di più e poi proporre sgravi fiscali generalizzati».
Dove i due segretari si spingono più avanti è però proprio sul tema del dialogo, della possibilità di rimettere assieme le forze politiche su grandi obiettivi condivisi. «Come accadde nel ‘96 con l’ingresso nell’euro», ricorda Fassino. «Sì, con i contribuenti che hanno pagato la tassa per l’Europa portando al massimo la condivisione», lo punzecchia Follini. Ma, passato a parte, il segretario dei Ds propone di mettere «in cima all’agenda politica la creazione di un terreno per un nuovo grande patto sociale». Questa volta al centro ci dovrebbero essere le debolezze strutturali dell’Italia, ma anche «una politica redistributiva, che di sicuro è un pezzo di una nuova politica sociale». Anche per Follini «dobbiamo cercare la quadratura del cerchio tra riforme e consenso» e in questo quadro «accettiamo serenamente che si siano persone e ruoli anche non legati alla politica». Ma per poter trovare intese allargate, dice ancora Fassino, bisogna anche abbassare i toni: «Se io mi trovo ogni giorno Berlusconi e Tremonti che dicono: “Non sapete che distastro abbiamo ereditato” e poi sentiamo qui dalla presidente dell’Unione industriale di Lecco che non c’è nessun disastro ereditato, questo non crea certo un clima favorevole al dialogo. L’idea che ci voglia sempre un nemico su cui scaricare la clava non ci porta da nessuna parte».

 

 

04 Giugno 2004
DA LUNEDI’ INCONTRI CON TUTTI I MANAGER


Lunedì sarà il primo vero giorno di lavoro per Sergio Marchionne, il nuovo amministratore delegato della Fiat che domenica ha sostituito Giuseppe Morchio. Inizierà gli incontri esplorativi con i responsabili finanziari e quelli degli otto settori del Gruppo: Auto, Iveco, Cnh, Magneti Marelli, Comau, Teksid, Business Solutions e Itedi. È probabile che il battesimo tocchi a Herber Demel, l'austriaco cui è stato affidato il core-business del Lingotto, quello dell'Auto, che è anche il più sofferente. Fra 25 giorni, poi, altro appuntamento cruciale, quello con Richard Wagoner e gli altri vertici della General Motors, a Detroit. Il tempo per ambientarsi è dunque poco, ma la cosa non sembra spaventare il manager italo-canadese, protagonista del risanamento della svizzera Sgs, colosso della certificazione di qualità. «È uno che lavora sodo - dice chi lo conosce - nessun hobby». Marchionne da ieri è a Torino, dove alloggia provvisoriamente in un grande albergo.
Intanto continuano le dichiarazioni e le prese di posizione sui nuovi vertici. Il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini ieri ha ribadito la richiesta di un incontro all'azienda, «per capire quali sono le intenzioni del nuovo presidente». Dal canto suo Massimo D'Alema, durante la sua visita allo Stabilimento di Termoli, ha definito «abbastanza confortante» il cambio di guardia alla Fiat.

 

04 Giugno 2004
«COSTRUIRE LA SOCIETA’ DEI TALENTI»: E’ LO SLOGAN DI QUEST’ANNO ALL’INCONTRO DI SANTA MARGHERITA CHE SI APRE OGGI
Artoni: serve un nuovo patto generazionale
«Investire di più sui giovani, lavorare coi sindacati per migliorare il nostro Welfare»

ROMA
ANNA Maria Artoni, presidente dei giovani imprenditori della Confindustria ha un obiettivo: «Lavorare insieme ai sindacati per migliorare lo stato sociale, senza pensare solo alle pensioni, e per costruire il futuro delle nuove generazioni». E' questo il progetto che lancerà oggi all'annuale convegno di Santa Margherita che avrà come tema «La piramide rovesciata. Un nuovo patto tra generazioni per costruire la società dei talenti».
Dottoressa Artoni, come sono nate le vostre tesi?
«A ottobre a Capri, con l'altro nostro convegno, abbiamo discusso del "nuovo rinascimento" che deve far leva su uomini e tecnologie, quindi sull'innovazione, affinchè le imprese vincano le sfide internazionali. Ma il nostro paese non investe sui giovani: la riforma delle pensioni è orientata verso gli anziani, non viene riequilibrata la spesa sociale, la natalità è ai livelli più bassi nel mondo».
Cosa significa piramide rovesciata?
«Piramide rovesciata vuol dire che ci sono più anziani dei giovani, i pensionati superano i lavoratori non precari, la vecchiaia è più tutelata dell'infanzia, la popolazione inattiva ha più attenzione delle nuove generazioni. E' arduo per le imprese scommettere in un paese sempre più vecchio: la piramide deve essere rovesciata investendo sui giovani».
Non è ovvio che i giovani imprenditori tutelino i giovani?
«Le questioni che poniamo riguardano tutti. La mobilità sociale è scarsa: le borse di studio sono poche e chi non è ricco fatica a mantenersi agli studi. L'Italia ha pochi laureati, pochi diplomati, poca formazione. Per puntare in alto, nel mondo, servono uomini preparati».
Quindi sollecitate governo e parlamento ad agire?
«Lo sforzo deve essere collettivo. La politica non basta, le parti sociali devono essere protagoniste. Cerchiamo di concepire il nuovo stato sociale!».
Trascura il fatto che i sindacati sulle pensioni frenano.
«L'accordo del 1993 fra i sindacati, la Confindustria, le altre forze sociali e il governo guarda all'innovazione. Da lì è possibile partire per la nuova concertazione. La riforma delle pensioni all'esame del parlamento affronta il problema in modo parziale, cercando di tamponare e solo dal 2008 le esigenze di cassa. Ma non è risolto lo squilibrio della spesa sociale: i giovani imprenditori non vogliono preoccuparsi solo della previdenza».
Allargare la discussione, dunque?
«Vogliamo discutere di tutto lo stato sociale. Serve un nuovo patto tra le generazioni. Oggi non c'è equità tra padri e figli. Credo che qualunque esponente sindacale sia d'accordo nel discutere un migliore assetto dello stato sociale: non per togliere diritti, ma per aggiungere giustizia».
Ignora la limitatezza delle risorse pubbliche?
«Siamo consapevoli dell'eredità del passato e degli incrementi futuri della spesa previdenziale. Per questo non possiamo non occuparcene scaricando i problemi sulle nuove generazioni».
E' realmente possibile il confronto con i sindacati?
«Lei avrà notato che Epifani, Pezzotta e Angeletti, segretari di Cgil, Cisl e Uil, interverranno a Santa Margherita. Sarà la prima occasione pubblica per ragionare insieme».
Quindi concorda con la «concertazione strategica» proposta dal neopresidente della Confindustria Montezemolo?
«Per compiere passi avanti bisogna obbligatoriamente essere insieme e non soli. Il dialogo è fondamentale per realizzare riforme sostenibili. Non si può discutere solo di pensioni senza la cornice. Con un discorso complessivo è possibile cercare l'accordo generale con un equilibrio fra le diverse istanze».
Lei è proprio fiduciosa?
«I presupposti del dialogo fra i sindacati, la Confindustria, le forze sociali e le forze politiche ci sono. Tutti dobbiamo marciare nella stessa direzione, con i grandi obiettivi condivisi come dice Montezemolo».
Gli imprenditori, pertanto, sono in movimento?
«Nel necessario gioco di squadra gli imprenditori faranno la loro parte, nell'interesse generale. I giovani imprenditori daranno il supporto ma faranno anche le provocazioni come Montezemolo stesso ci ha chiesto. E lui manterrà fede all'impegno di essere il presidente di tutti gli imprenditori».
Anche adesso, dopo la nomina alla presidenza della Fiat...
«Montezemolo è stato eletto, come del resto i predecessori, indipendentemente dai compiti svolti al di fuori della Confindustria. Le sue nuove responsabilità impongono un supporto ancora più forte e convinto da parte di tutti noi». \