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IL SEGRETARIO RINALDINI APRE IL
CONGRESSO CON TONI INATTESI. E CON FIM E UILM E’ SUBITO DISGELO
La Fiom: novità da Montezemolo
«Ma alla concertazione del ‘93
non si torna»
Roberto Giovannini
inviato a LIVORNO
C'era grande
attesa per l'apertura del 23° congresso della Fiom, il sindacato dei
metalmeccanici della Cgil. Sindacalisti e addetti ai lavori si chiedevano se il
sindacato guidato da Gianni Rinaldini (la cui mozione ha vinto nettamente il
confronto congressuale, con l'82%, nei confronti della mozione «riformista» del
segretario nazionale Riccardo Nencini) si sarebbe messo di traverso alla marcia
della Cgil verso una unità di azione con Cisl e Uil. Così non è stato: nella
sua applaudita relazione introduttiva, Rinaldini - pure ribadendo
puntigliosamente le specificità della Fiom, «sindacato autonomo e indipendente»
e confermando una linea politica e rivendicativa aggressiva - ha formulato
proposte operative di «distensione» nei confronti di Fim-Cisl e Uilm-Uil in
tema di democrazia sindacale, e ha aperto alla elaborazione di una piattaforma
unitaria per il rinnovo del prossimo contratto di categoria (che giunge dopo lo
strappo di ben due rinnovi separati). Nessuna apertura formale, invece, sulla
ventilata ripresa della concertazione (parola nemmeno mai citata nella
relazione) tra sindacati, imprenditori e governo, auspicata dalle
confederazioni e dalla nuova Confindustria di Luca di Montezemolo. Le novità
provenienti da Viale dell'Astronomia sono state notate, ma con gli industriali
sono possibili solo «convergenze su singoli aspetti».
Oggi toccherà al
segretario generale Cgil Guglielmo Epifani intervenire dalla tribuna del fiammante
«Palalivorno». Ieri il leader Cgil si è limitato a definire quella di Rinaldini
«una buona relazione», ma se non altro da ieri Epifani può sperare che sia
stato un po' incrinato il «macigno» nei rapporti con Cisl e Uil, ovvero lo
scontro all'arma bianca di questi ultimi anni tra le organizzazioni di
categoria dei metalmeccanici. Positivo è il commento di Riccardo Nencini,
leader della minoranza. E per Cesare Damiano (ex dirigente Fiom, ora nella
segreteria Ds), «è importante la disponibilità a tornare a lavorare insieme
dopo quattro anni di accordi separati».
In ogni caso,
Gianni Rinaldini - sull'onda di un successo congressuale che è stato certamente
favorito dall'esito vittorioso della vertenza Melfi - è riuscito a bilanciare
con pragmatismo aperture e conferme della linea seguita in questi anni dalla
sua Fiom. Non cambia, infatti, l'analisi sulla globalizzazione liberista e
sulla necessità di contrastarla, scelta che ha portato da anni la Fiom al
fianco dei movimenti no-global. E del resto, anche oggi i metalmeccanici
parteciperanno alla manifestazione pacifista contro George W. Bush: «ci saremo
con la nostra identità di organizzazione sindacale democratica che ripudia ogni
forma di violenza e manifesta a viso scoperto, senza ridicole bardature». Non cambia
nemmeno il giudizio radicalmente negativo sulle scelte del governo e della
Confindustria di Antonio D'Amato, e resta l'orgoglio nell'affermare che «per
qualcuno siamo un problema non risolto, ma siamo noi, i metalmeccanici della
Fiom». Non poteva mancare una particolare attenzione agli sviluppi della Fiat:
la Fiom manifesta grande preoccupazione, ribadisce l'utilità di un intervento
della mano pubblica, e avverte che giudicherà Luca di Montezemolo presidente di
Confindustria per quel che farà come presidente della Fiat, per l'auto e per
Mirafiori. Detto questo, la Fiom accoglie le novità emerse in Confindustria, ma
mette le mani avanti: «una riedizione del patto sociale del 1993 non esiste»,
alla luce di quel che è successo negli ultimi dieci anni. Sì dunque a
«possibili convergenze», ma sapendo che è necessario (anche con la leva fiscale
e lo Stato sociale) «aumentare le retribuzioni reali».
Infine, i
rapporti con Fim e Uilm e le regole della democrazia sindacale. Alcune delle
proposte di Rinaldini sono più o meno concordate con Fim e Uilm: l'elezione su
base proporzionale dei delegati nelle Rsu di fabbrica, che devono avere la
titolarità della contrattazione aziendale; l'elezione da parte dei lavoratori
di assemblee dei delegati che seguano da vicino e si esprimano sulle trattative
per il contratto nazionale e quelli integrativi. La Fiom, però, ribadisce
l'esigenza che l'ipotesi conclusiva di accordo venga sempre sottoposta al
referendum di tutti i lavoratori. Da Giorgio Caprioli e Tonino Regazzi, leader
rispettivamente di Fim-Cisl e Uilm-Uil, arrivano commenti moderatamente
favorevoli, se non altro sui toni adottati da Rinaldini, che a giudizio di
Caprioli «non enfatizza gli avvenimenti di rottura del passato recente» e ha
mostrato «un approccio pragmatico». Resta però la distanza (che invero non
appare insuperabile, volendo) tra Fiom e Fim-Uilm sulla politica salariale e
sulla titolarità del contratto. Per Caprioli, devono essere le Rsu (o
l'assemblea nazionale) a decidere se il referendum si deve fare o meno.
Concorda Regazzi: «se il contratto non piace, c'è la crisi della Rsu, proprio
come succede nel governo. Anche perché - spiega - la questione sta a monte, e
cioè se facciamo una piattaforma e poi un contratto unitario».
04 Giugno 2004
«SBAGLIATO
DIFENDERE LA CONTRATTAZIONE CENTRALIZZATA»
«Purtroppo il
congresso della Fiom conferma la linea conservatrice di una organizzazione che
considera inesorabilmente conflittuale il rapporto di lavoro e considera
l'impresa naturalmente vocata a limitare la dignità della persona nel lavoro»,
così Maurizio Sacconi, sottosegretario ministero del Lavoro. Per Sacconi, in
particolare non è condivisibile «la rigida difesa del modello centralizzato di
contrattazione che conseguente mente non lascia spazio ad una dinamica dei
salari ancorata alla produttività delle diverse aziende e di diversi
territori». Altri punti di criticità, «una idea delle relazioni industriali
burocratica in quanto regolata dalla legge e quanto più affidata ai giudici
anzichè una libera espressione di responsabili rapporti tra associazioni
private; il sostanziale rifiuto della politica dei redditi del 1993
recentemente - o opportunamente - confermata dagli altri attori sociali; la
difesa - ed anzi la riproposizione ovunque possibile - del “modello Melfi”
nelle dinamiche sindacali come se il conflitto preventivo l'uso dei »picchetti«
possano considerarsi un virtuoso esempio d moderne relazioni industriali».
04 Giugno 2004
A LECCO NUOVA TAPPA DEL TOUR DEL NUOVO
PRESIDENTE «SODDISFATTO CHE TANTI TEMI PROPOSTI SIANO AL CENTRO DEL DIBATTITO»
«Confindustria autonoma da tutti i partiti»
Montezemolo: coi politici
parlerò dopo il 14. Anche noi dobbiamo rinnovarci
Roberto Ippolito
inviato a LECCO
Il progetto della
«nuova Confindustria» è in cammino. Con la massima attenzione all’autonomia. E’
il presidente Luca Cordero di Montezemolo, eletto il 26 maggio, a
puntualizzarlo preoccupato per i tentativi di affibbiare all’organizzazione
etichette politiche «vetero-provinciali» ma «contento che tanti temi proposti dalla
Confindustria siano al centro di dibattiti, analisi e valutazioni»,
Arrivando
all’Unione industriali di Lecco, dove interviene all’assemblea alla quale
partecipano con un faccia a faccia il segretario Ds Piero Fassino e quello
dell’Udc Marco Follini, Montezemolo segnala «il rischio di essere
strumentalizzati da una parte o dall’altra perchè siamo in piena campagna
elettorale», mentre «la Confindustria non fa politica». Perciò dice: «Con i
politici riparlerò più volentieri e più a fondo dopo il 14 giugno» ovvero
all’indomani dei risultati delle elezioni europee.
Ovviamente nulla
di personale. Anzi, dopo averli ascoltati, il presidente della Confindustria
afferma che Fassino e Follini «incarnano nella sostanza e nella forma un modo
di dialogare che ci è mancato e di cui abbiamo bisogno». Tuttavia è
indispensabile, per Montezemolo, comprendere l’approccio della nuova
Confindustria: «Noi siamo fuori dalla politica e dai partiti. Mai come in
questo momento siamo autonomi». Però «quando si è in campagna elettorale e si
parla con esponenti autorevoli di partito si rischia sempre di essere tirati
per la giacca, ma noi siamo forti e non ci facciamo tirare per la giacca da
nessuno».
Nell’auditorium
dell’Unione industriali di Lecco, nel quale gli imprenditori stentano a trovare
posto in piedi, Montezemolo cerca di incanalare quell’entusiasmo che in
un’economia appannata sta emergendo. Per rimediare a quella «pigrizia del
paese» descritta da Rossella Sirtori, presidente dell’associazione.
«Bisogna
individuare pochi obiettivi, condividerli e fare di tutto per raggiungerli»
dice Montezemolo che ha lanciato la proposta della concertazione strategica per
concretizzare uno sforzo collegiale e dare una scossa al paese. «A noi
interessa che si smetta di litigare e si ci si metta d’accordo su alcuni
punti». Ancora una volta, come in altre assemblee delle associazioni
territoriali di questi giorni, anche Lecco sottolinea con un forte applauso il
bisogno di concordia e di unità.
Il confronto è un
modo di lavorare. Indipendentemente dai termini: «Parlare di concertazione,
dialogo sociale o assunzione responsabilità: cambia poco; ma il dialogo sociale
è fondamentale per i prossimi mesi. Ognuno reagisce come vuole, non possiamo
star dietro a tutte le reazioni e a tutte le irritazioni».
Fra l’altro
richiamare «esperienze molto valide» come la concertazione realizzata negli
anni novanta «non significa riproporle tali e quali»: l’importante è sviluppare
il confronto. La Confindustria dunque opera per alimentare la «collaborazione»
e un rapporto positivo con i sindacati: «Abbiamo bisogno di dialogo e di un
rapporto chiaro e costruttivo con i rappresentanti dei lavoratori che devono
saper mettere in un angolo gli estremisti». E «questo è un punto fondamentale
per un sindacato moderno».
Dopo aver preso
tra venerdì e martedì scorsi alle assemblee di Modena, Brescia, Varese e
Torino, a Lecco Montezemolo parla anche della Confindustria e del suo impegno.
«Basta con il professionismo di Confindustria» esclama, anticipando che sei
mesi prima della scadenza del mandato quadriennale «non mi occuperò minimamente
del successore; tornerò a fare il mio mestiere e cercherò di lasciare a chi
verrà dopo una Confindustria ancora più forte e moderna».
Con il nuovo
vertice, pertanto, si lavora anche per migliorare la Confinfustria: «Non
possiamo pensare che l’efficienza sia solo in casa delle nostre aziende e poi
lasciare nel nostro sistema confindustriale sempre le cose come stanno».
Insomma bisogna
«rinnovare anche al nostro interno». E «saper guardare in casa», anche perchè
«Parmalat non era al di fuori del nostro sistema». Le vicende di questa
azienda, pongono fra l’altro, il problema di un’adeguata separazione «tra la
proprietà e la gestione» dell’impresa
04 Giugno 2004
Ma il rilancio del dialogo seduce i
poli
Follini: aperta una fase nuova.
Fassino: necessari obiettivi condivisi
inviato a LECCO
«QUEL che è certo
è che questa Confindustria non è più collaterale, siamo entrati in una fase
nuova. Se il nuovo corso è meglio o peggio del vecchio? Io non dò voti ai
presidenti degli industriali passati o presenti, ma dico solo alla maggioranza
che il motto non è più “molti nemici molto onore”, perchè per fare le riforme
servono amici invece che nemici».
Marco Follini,
segretario dell’Udc, spiega così la sua posizione nei confronti della nuova
Confindustria subito dopo il faccia a faccia con il segretario dei Ds Piero
Fassino davanti alla platea dell’Unione industriale di Lecco. Per un’ora
Fassino e Follini si affrontano - ma è un confronto, non uno scontro - sulle
priorità del paese e sulla possibilità di riallacciare quel dialogo sociale e
politico che Luca Cordero di Montezemolo ha rilanciato una settimana fa come
metodo di lavoro. E alla fine, dopo che anche Montezemolo ha fatto il suo
discorso citando ecumenicamente più volte entrambi i segretari, anche
dall’entourage di Fassino arriva la benedizione: «E’ una settimana che con
Montezemolo fanno un gioco di sponda, anche se non certo concordato, nelle loro
dichiarazioni. Del resto, come ha spiegato lo stesso Fassino sono due anni che
diciamo le cose che dice anche il presidente di Confindustria». L’interesse con
cui di Ds guardano il nuovo corso di viale dell’Astronomia, assicurano, va ben
oltre la fase elettorale e punta a cercare, oltre a una visione comune dei
problemi italiani, anche una possibile strategia condivisa sulle soluzioni.
L’inevitabile
paradosso, insomma, è che se Montezemolo si sgola a ripetere da qualche giorno
a questa parte che «Confindustria non fa politica», chiarisce come ha fatto
ieri che con i partiti «parlerà dopo il 14 giugno» per non essere
strumentalizzato, e rifugge dalle interpretazioni che danno il nuovo corso
degli industriali come elemento centrale di un ipotetico asse che da un lato
arriva fino al Governatore della Banca d’Italia e dall’altro apre ai sindacati,
la politica non si lascia invece sfuggire occasione per lanciare messaggi e
cercare contatti con una Confindustria che proprio come soggetto autonomo ha
riacquistato di sicuro un peso politico.
Così Fassino di fronte
alla platea lecchese non si discosta certo dall’ortodossia confindustriale
quando dice che «le imprese devono tornare in un contesto favorevole alla
crescita», e snocciola le quattro priorità su cui dovrebbero puntare le
politiche pubbliche, «visto che l’impresa da sola non può muovere quelle leve»:
investimenti in ricerca, infrastrutture, formazione e internazionalizzazione
delle imprese. Il tutto, per tirare in ballo Berlusconi e Tremonti, «usando
anche la leva fiscale, ma come leva e non come obiettivo. E’ illusorio e
velletario pensare di investire di più e poi proporre sgravi fiscali
generalizzati».
Dove i due
segretari si spingono più avanti è però proprio sul tema del dialogo, della
possibilità di rimettere assieme le forze politiche su grandi obiettivi
condivisi. «Come accadde nel ‘96 con l’ingresso nell’euro», ricorda Fassino.
«Sì, con i contribuenti che hanno pagato la tassa per l’Europa portando al
massimo la condivisione», lo punzecchia Follini. Ma, passato a parte, il
segretario dei Ds propone di mettere «in cima all’agenda politica la creazione
di un terreno per un nuovo grande patto sociale». Questa volta al centro ci
dovrebbero essere le debolezze strutturali dell’Italia, ma anche «una politica
redistributiva, che di sicuro è un pezzo di una nuova politica sociale». Anche
per Follini «dobbiamo cercare la quadratura del cerchio tra riforme e consenso»
e in questo quadro «accettiamo serenamente che si siano persone e ruoli anche
non legati alla politica». Ma per poter trovare intese allargate, dice ancora
Fassino, bisogna anche abbassare i toni: «Se io mi trovo ogni giorno Berlusconi
e Tremonti che dicono: “Non sapete che distastro abbiamo ereditato” e poi
sentiamo qui dalla presidente dell’Unione industriale di Lecco che non c’è
nessun disastro ereditato, questo non crea certo un clima favorevole al
dialogo. L’idea che ci voglia sempre un nemico su cui scaricare la clava non ci
porta da nessuna parte».
04 Giugno 2004
DA LUNEDI’
INCONTRI CON TUTTI I MANAGER
Lunedì sarà il
primo vero giorno di lavoro per Sergio Marchionne, il nuovo amministratore
delegato della Fiat che domenica ha sostituito Giuseppe Morchio. Inizierà gli
incontri esplorativi con i responsabili finanziari e quelli degli otto settori
del Gruppo: Auto, Iveco, Cnh, Magneti Marelli, Comau, Teksid, Business
Solutions e Itedi. È probabile che il battesimo tocchi a Herber Demel,
l'austriaco cui è stato affidato il core-business del Lingotto, quello
dell'Auto, che è anche il più sofferente. Fra 25 giorni, poi, altro
appuntamento cruciale, quello con Richard Wagoner e gli altri vertici della
General Motors, a Detroit. Il tempo per ambientarsi è dunque poco, ma la cosa
non sembra spaventare il manager italo-canadese, protagonista del risanamento
della svizzera Sgs, colosso della certificazione di qualità. «È uno che lavora
sodo - dice chi lo conosce - nessun hobby». Marchionne da ieri è a Torino, dove
alloggia provvisoriamente in un grande albergo.
Intanto
continuano le dichiarazioni e le prese di posizione sui nuovi vertici. Il
segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini ieri ha ribadito la richiesta
di un incontro all'azienda, «per capire quali sono le intenzioni del nuovo
presidente». Dal canto suo Massimo D'Alema, durante la sua visita allo
Stabilimento di Termoli, ha definito «abbastanza confortante» il cambio di
guardia alla Fiat.
04 Giugno 2004
«COSTRUIRE
LA SOCIETA’ DEI TALENTI»: E’ LO SLOGAN DI QUEST’ANNO ALL’INCONTRO DI SANTA
MARGHERITA CHE SI APRE OGGI
Artoni: serve un nuovo patto generazionale
«Investire di più sui giovani,
lavorare coi sindacati per migliorare il nostro Welfare»
ROMA
ANNA Maria
Artoni, presidente dei giovani imprenditori della Confindustria ha un
obiettivo: «Lavorare insieme ai sindacati per migliorare lo stato sociale,
senza pensare solo alle pensioni, e per costruire il futuro delle nuove
generazioni». E' questo il progetto che lancerà oggi all'annuale convegno di
Santa Margherita che avrà come tema «La piramide rovesciata. Un nuovo patto tra
generazioni per costruire la società dei talenti».
Dottoressa
Artoni, come sono nate le vostre tesi?
«A ottobre a
Capri, con l'altro nostro convegno, abbiamo discusso del "nuovo
rinascimento" che deve far leva su uomini e tecnologie, quindi
sull'innovazione, affinchè le imprese vincano le sfide internazionali. Ma il
nostro paese non investe sui giovani: la riforma delle pensioni è orientata
verso gli anziani, non viene riequilibrata la spesa sociale, la natalità è ai
livelli più bassi nel mondo».
Cosa significa
piramide rovesciata?
«Piramide
rovesciata vuol dire che ci sono più anziani dei giovani, i pensionati superano
i lavoratori non precari, la vecchiaia è più tutelata dell'infanzia, la
popolazione inattiva ha più attenzione delle nuove generazioni. E' arduo per le
imprese scommettere in un paese sempre più vecchio: la piramide deve essere
rovesciata investendo sui giovani».
Non è ovvio che i
giovani imprenditori tutelino i giovani?
«Le questioni che
poniamo riguardano tutti. La mobilità sociale è scarsa: le borse di studio sono
poche e chi non è ricco fatica a mantenersi agli studi. L'Italia ha pochi
laureati, pochi diplomati, poca formazione. Per puntare in alto, nel mondo,
servono uomini preparati».
Quindi
sollecitate governo e parlamento ad agire?
«Lo sforzo deve
essere collettivo. La politica non basta, le parti sociali devono essere
protagoniste. Cerchiamo di concepire il nuovo stato sociale!».
Trascura il fatto
che i sindacati sulle pensioni frenano.
«L'accordo del
1993 fra i sindacati, la Confindustria, le altre forze sociali e il governo
guarda all'innovazione. Da lì è possibile partire per la nuova concertazione.
La riforma delle pensioni all'esame del parlamento affronta il problema in modo
parziale, cercando di tamponare e solo dal 2008 le esigenze di cassa. Ma non è
risolto lo squilibrio della spesa sociale: i giovani imprenditori non vogliono
preoccuparsi solo della previdenza».
Allargare la
discussione, dunque?
«Vogliamo
discutere di tutto lo stato sociale. Serve un nuovo patto tra le generazioni.
Oggi non c'è equità tra padri e figli. Credo che qualunque esponente sindacale
sia d'accordo nel discutere un migliore assetto dello stato sociale: non per
togliere diritti, ma per aggiungere giustizia».
Ignora la
limitatezza delle risorse pubbliche?
«Siamo
consapevoli dell'eredità del passato e degli incrementi futuri della spesa
previdenziale. Per questo non possiamo non occuparcene scaricando i problemi
sulle nuove generazioni».
E' realmente
possibile il confronto con i sindacati?
«Lei avrà notato
che Epifani, Pezzotta e Angeletti, segretari di Cgil, Cisl e Uil, interverranno
a Santa Margherita. Sarà la prima occasione pubblica per ragionare insieme».
Quindi concorda
con la «concertazione strategica» proposta dal neopresidente della
Confindustria Montezemolo?
«Per compiere
passi avanti bisogna obbligatoriamente essere insieme e non soli. Il dialogo è
fondamentale per realizzare riforme sostenibili. Non si può discutere solo di
pensioni senza la cornice. Con un discorso complessivo è possibile cercare
l'accordo generale con un equilibrio fra le diverse istanze».
Lei è proprio
fiduciosa?
«I presupposti
del dialogo fra i sindacati, la Confindustria, le forze sociali e le forze
politiche ci sono. Tutti dobbiamo marciare nella stessa direzione, con i grandi
obiettivi condivisi come dice Montezemolo».
Gli imprenditori,
pertanto, sono in movimento?
«Nel necessario
gioco di squadra gli imprenditori faranno la loro parte, nell'interesse
generale. I giovani imprenditori daranno il supporto ma faranno anche le provocazioni
come Montezemolo stesso ci ha chiesto. E lui manterrà fede all'impegno di
essere il presidente di tutti gli imprenditori».
Anche adesso,
dopo la nomina alla presidenza della Fiat...
«Montezemolo è
stato eletto, come del resto i predecessori, indipendentemente dai compiti
svolti al di fuori della Confindustria. Le sue nuove responsabilità impongono
un supporto ancora più forte e convinto da parte di tutti noi». \