IL MANIFESTO 06 GIUGNO 2004
La
Fiom di oggi è giovane e unita
I ragazzi di Melfi, Polti, Fincantieri sono il vero
carburante. Si scioglie «Lavoro e società», confermato Rinaldini. Montezemolo
e il centrosinistra «li verifichiamo sui fatti»
MANUELA CARTOSIO
INVIATA A LIVORNO
Dal congresso di Livorno esce una Fiom senza correnti, unita
da un documento politico conclusivo di 11 punti. La mediazione si sente in
alcune omissioni: il documento non nomina né il patto del 23 luglio né la
concertazione, su cui le distanze tra le due mozioni congressuali restano. Ciò
nonostante, gli 11 punti tracciano il profilo di un sindacato all'attacco, che
non si fa incantare dallo charme del presidentissimo Montezemolo, incassa
i ripensamenti di Fim e Uilm, invita la Cgil alla coerenza, non firma cambiali
in bianco a un (ipotetico) futuro governo di centro sinistra. Più che a Livorno
il congresso la Fiom l'ha fatto nelle lotte: Termini Imerese, Melfi,
Fincantieri, Polti. E' stato quello il carburante per chiudere la fase della
resistenza e aprire una pagina nuova dove la parola «speranza» non è campata
per aria. Da ieri nella Fiom non esiste più la componente «Lavoro e società»
che aveva sottoscritto la mozione del segretario Rinaldini. «Siamo parte
integrante di questa Fiom», dice Giorgio Cremaschi per sancire lo scioglimento
della sua area programmatica. Nelle altre categorie e nella Cgil, «dove restano
parecchie cose da cambiare», la sinistra resta organizzata come componente.
Riccardo Nencini, firmatario della mozione di minoranza, l'altro ieri aveva
chiesto a Rinaldini di farsi personalmente garante del pluralismo, condizione
per non creare la componente di centro-destra. Il segretario, nelle conclusioni,
si è impegnato a farlo e così nella Fiom del dopo Livorno non ci saranno
formalmente correnti organizzate. La mappa del nuovo comitato centrale, portato
a 180 membri, ricalca le proporzioni numeriche uscite dai congressi
territoriali. Nel comitato centrale va registrata l'assenza volontaria di
Maurizio Zipponi. Il diretto interessato non ha spiegato in pubblico le ragioni
del rifiuto. E' la prima volta che un segretario della Fiom milanese non fa
parte del comitato centrale.
Giorgio Cremaschi, in grande spolvero, ha toccato le corde giuste per
galvanizzare la platea dei delegati. Merito delle lotte dei metalmeccanici se
D'Amato non è più presidente della Confindustria e se le nozze di Parma tra
imprenditori e Berlusconi sono finite con un divorzio. «Abbiamo fatto capire ai
padroni che l'amore per Silvio costava un po' troppo». Arriva Montezemolo, dice
di voler cambiare tutto e scatta l'innamoramento di massa. Calma e gesso, dice
Cremaschi. «Da lui vogliamo sentirci dire che la linea di Parma - gli accordi
si fanno con chi ci sta - è andata in soffitta». Non l'ha ancora fatto. In
compenso, il presidente di Confidustria rilancia la concertazione da scambiare
con la moderazione salariale e l'accettazione di tutte le pessime leggi fatte
dal governo contro il lavoro. Non ci stiamo, dice Cremaschi, non abbiamo più
nulla da scambiare e vogliamo che quelle leggi vengano cancellate. L'ultimo
messaggio è per il centrosinistra: la Fiom chiede all'opposizione di mettere
nel suo programma l'abrogazione della legge 30, della Bossi-Fini e di tutte le
norme che «sottraggono diritti» ai lavoratori.
Il documento ribadisce che il rinnovo del prossimo biennio contrattuale dovrà
dare un aumento salariale reale. Su questo punto, e non solo sulla democrazia,
Fim e Uilm devono rivedere le loro posizioni. La Fiom sollecita alle
confederazioni, e non solo alla Cgil, uno sciopero generale contro la politica
economica del governo. Alla Cgil la Fiom ricorda che la pratica della democrazia
- far votare gli accordi a tutti i lavoratori - non è uno sfizio dei
metalmeccanici. L'altro richiamo alla Cgil è alla coerenza: troppe categorie
firmano accordi che accettano la legge 30. Non ha nulla da dire in proposito la
casa madre? La Fiom, infine, si impegna a fare ovunque possibile la
contrattazione di sito e di filiera: si potrà verificare se l'ipotesi del
contratto dell'industria ha gambe per marciare o resta niente più che una bella
idea.
Gianni Rinaldini non ha insistito sulle risposte che l'altro ieri Epifani non
aveva dato. Nelle conclusioni ha preferito guardare in casa propria, soddisfatto
per il buon congresso e soprattutto per l'autorevolezza che la Fiom si è
conquistata sul campo. Ha insistito sul protagonismo dei giovani nelle lotte,
invitando a far largo a queste nuove «soggettività». E' tornato su
Montezemolo: ha una proposta che salvi la Fiat? Ce la faccia al più presto.
Intanto, rafforzata dalle lotte al Sud, la Fiom guarda a Mirafiori, impegnandosi
a una nuova vertenza nazionale.
Non è un trascinatore di folle l'uomo che ieri il comitato centrale, con il 95%
di sì, ha rieletto segretario generale. Altri meriti gli hanno conquistato la
stima e l'affetto dei delegati. Dozzine d'interventi hanno ricordato la sua
presenza ai cancelli di Melfi. Quei giorni passati nel camper con il megafono in
mano, quell'assemblea in cui la Fiom si è giocata tutto, hanno conferito a
Rinaldini i galloni del leader. Che può concedere qualcosa alla Fim perché sa
che su tutto il resto ha vinto lui.
Su pace e guerra Rinaldini ha lasciato che a parlare fosse Gino Strada. Ma una
frase ha tenuto ad aggiungerla: «Per la Fiom la guerra è un tabù».
Carla Cantone ha seguito per la Cgil i tre giorni del congresso. Anche lei era a
Melfi, e a Livorno dice di non essere venuta per «vigilare» sulla Fiom, ma per
«amore». Di fatto il suo ruolo è quello del «pontiere»: la conclusione
unitaria del congresso, commenta, favorisce un legame sempre più forte tra
metalmeccanici e Cgil. Il comitato centrale ha confermato alla segreteria Magni,
Cremaschi, Re David, Nencini.
LA LOTTA
Polti, sciopero avanti tutta
Continua ormai da dodici giorni lo sciopero a oltranza degli
operai della Polti di Cosenza. Duecento, addetti alla fabbricazione dei ferri da
stiro «Vaporella» e degli aspirapolvere «Ecologico», si sono fermati martedì
25 maggio a causa del licenziamento di un delegato sindacale e due iscritti,
tutti alla Fiom. Il caso ha tenuto banco anche al congresso Fiom di Livorno,
tanto che l'organizzazione dei metalmeccanici Cgil ha offerto piena solidarietà
alla lotta, attivando la Cassa di resistenza e chiedendo un incontro urgente,
insieme a Fim e Uilm, presso la presidenza del consiglio. I ragazzi intanto
continuano a scioperare e a presidiare la fabbrica, soprattutto dopo la proposta
dell'azienda, che avrebbe voluto trasformare i licenziamenti in cassa
integrazione: l'uscita dei lavoratori, così, sarebbe stata solo posticipata di
13 settimane. Ieri, poi, sono arrivati anche i carabinieri: «Un camionista si
è presentato per prendere un tir pieno di merce bloccato all'interno
dall'inizio delle proteste - spiega Mario Sinopoli, segretario regionale Fiom -
Con lui c'erano diverse camionette dei carabinieri. L'azienda comincia
evidentemente ad accusare problemi nella fornitura e tenta di trasformare lo
sciopero in un problema di ordine pubblico». I carabinieri hanno fatto marcia
indietro, come anche il camionista, che non ha potuto portare il tir fuori.
Intanto, ieri si è recata ai presidi una troupe di «Ballarò», che ha
intervistato gli operai. «Il Tg regionale, però - continua Sinopoli - finora
ci ha trascurato, e per questo abbiamo presidiato la sede Rai. Lunedì saremo
davanti alla Regione, che ci ha ugualmente ignorato. Se il governo non ci
concederà l'incontro, mercoledì organizzeremo dei pullman per Roma:
destinazione, ministero delle attività produttive".
Datamat,
parte la mobilitazione
Le assemblee dei lavoratori di Datamat (Roma, Milano
e Firenze), Keycab e Metasistemi hanno indetto, per domani due ore di sciopero a
inizio turno. Chiedono l'immediata apertura di confronto negoziale che coinvolga
l'intero gruppo rispetto alla piattaforma elaborata per l'integrativo aziendale.
L'azienda ha infatti dichiarato di non volere procedere all'apertura della sede
negoziale per tutte e tre le società che compongono il gruppo, nonostante che
le Rsu si fossero dichiarate disponibili a svolgere il negoziato su tavoli
distinti, uno per ciascuna delle singole società. Secondo le Rsu, Datamat in
realtà «non è disponibile al confronto di merito per la definizione di un
premio di risultato che sostituisca il salario fino ad oggi discrezionalmente
erogato dall'azienda stessa». La piattaforma per l'integrativo è stata
approvata con il 98% dei consensi. Al referendum ha partecipato il 60% dei circa
2 mila dipendenti complessivi del gruppo
Nella
Cgil c'è un nuovo operaio: Gino Strada
Ovazioni e tessera onoraria Fiom per il fondatore di
Emergency. Ai delegati: «Pace e lavoro vanno insieme»
LORIS CAMPETTI
INVIATO A LIVORNO
Firma bandiere arcobaleno, libri, tessere. Si lascia
fotografare con delegati e delegate che non lo mollano un istante. Si vede che
c'è feeling, tra il fondatore di Emergency e la Fiom, tra Gino Strada e Gianni
Rinaldini. Cos'è che tiene unita questa strana coppia? E' l'amalgama tra due
sostantivi: pace e diritti. La reazione chimica capace di far precipitare il
composto sarebbe semplicissima, eppure così complicata da realizzarsi, gli
elementi ci sono, tutto sta a trovare il catalizzatore. «Non c'è pace senza
democrazia, non c'è democrazia senza giustizia sociale, non c'è giustizia
sociale se non si elimina lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo». Sta in questa
sfida epocale rilanciata da Gino Strada al XXIII Congresso della Fiom, nella
convinzione fantastica che un altro mondo è possibile, il legame che tiene
unita la strana coppia, il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil e
il fondatore di Emergency. Per questo comune sentire l'intervento di Strada è
stato accolto con una standing ovation dai delegati, tutti in piedi ad
applaudire «uno di noi», e dal conferimento della tessera onoraria Fiom.
Giustizia sociale, lotta allo sfruttamento. Se è da qui che bisogna partire per
espellere la guerra dalla storia - e dalla cultura e dai sentimenti di ciascuno
- ecco che tutte le parole, i valori, vanno coniugati, perché non restino
soltanto slogan, o peggio «consigli per gli acquisti». Dunque non basta dire
«diritti» se non si spiega che «o valgono per tutti o sono privilegi».
Diritto alla vita, a non crepare di fame e di stenti, diritto al lavoro. Se i
lavoratori stanno male, dice Strada, sta male la società, sta male la
democrazia. Per dirla tutta, «grazie, care compagne e cari compagni della Fiom
per le vostre lotte per i diritti di tutti, voi siete uno dei pochi pezzi di
quel che resta della democrazia». Parla di pace, Strada, e di guerra. Cita
Albert Einstein («La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire») e
Bertold Brecht per spiegare che i costi della guerra ricadono sui vincitori e
sui vinti, sulla povera gente, e i profitti vanno in tasca sempre agli stessi.
La General Motors compra la Opel ('29), la Opel tedesca costruisce motori per
l'aviazione nazista e la Opel americana per l'aviazione americana. Le bombe
dell'una e dell'altra ammazzano la popolazione civile dell'una e dell'altra
parte in guerra. A Coventry come a Dresda. Poi la Opel ha ottenuto dal governo
Usa il risarcimento per i bombardamenti della Opel tedesca.
Attenti al linguaggio, le parole contano e le bugie pesano. Effetti collaterali,
per esempio. Le 10 mila vittime civili afghane o le migliaia di donne, bambini e
vecchi iracheni ammazzati in nome della democrazia sono effetti collaterali di
una guerra giusta, preventiva, contro il terrorismo? E allora, le vittime delle
Torri gemelli «sono vittime della guerra santa?». Guai a dirlo? Allora abbiamo
a che fare con «una cultura razzista». Attenti alle parole. «Guerra
umanitaria? Se per ragioni umanitarie è giusto uccidere, perché aspettare?».
Ecco allora la guerra preventiva. Non ci sono guerre giuste e guerre sbagliate,
non ci sono guerre di destra e guerre di sinistra. L'unica verità delle guerre
sono le vittime, i morti. Nella condanna della «guerra umanitaria» del `99 in
Kosovo, Gino Strada non ha bisogno di convincere nessuno, qui a Livorno. Altro
che «dolorosa o contingente necessità», la Fiom era in piazza contro la
guerra, a prescindere dal fatto che a capo del governo ci fosse un «amico» o
un «nemico». Nemico è chi scatena le guerre. Qui sta l'autonomia della Fiom,
da tutti, dai governi e dai padroni. Un'autonomia che somiglia moltissimo a
quella di Emergency che non si presenta alle convocazioni dei generali americani
che organizzano l'intervento umanitario tra le macerie che loro stessi hanno
provocato. Cosicché le popolazioni «non capiscono più chi è che cosa» e «ogni
occidentale diventa un bersaglio».
Pace, diritti, giustizia sociale e, ancora, «l'unica guerra giusta è quella
per sconfiggere lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo». Quando Strada chiede alla
Fiom di stargli accanto nella battaglia legislativa per definire le norme
applicative dell'art. 11 della Costituzione, perché non siano un «consiglio
per gli acquisti poi ognuno fa quel che gli pare», la risposta è un nuovo,
lunghissimo applauso. La strada è lunga per quel famoso mondo diverso, Fiom ed
Emergency la stanno percorrendo insieme.
Melfi, «orgoglio e
rabbia» in tv
Gli operai Fiat si raccontano stasera su Rai 3. Con
Mirafiori e Termini
LO.C.
«Lavorare da persone, non da schiavi». Orgoglio e rabbia, il rapporto con la
più grande multinazionale italiana non può che essere conflittuale,
contraddittorio. Raccontare il lavoro, dopo un ventennio di silenzio, sembra
essere tornato d'attualità e finalmente si riscoprono le storie operaie, si va
di nuovo a scavare nei vissuti. La fatica, l'umiliazione, la lotta.
L'emancipazione, anche. Francesca Catarci ha fatto un viaggio in Fiat, da Melfi
a Termini Imerese, a Mirafiori e ce lo propone non attraverso le sue impressioni
ma attraverso il racconto stesso dei lavoratori, senza politechese e senza
sindacalese. Chi non lavora al turno di notte e non è stato piegato dal turno
del pomeriggio, o non deve alzarsi alle 4 del mattino per il primo turno potrà
vedere e ascoltare questa sera su Raitre, alle 23,05, il bel documentario «Fiat:
orgoglio e rabbia», una cinquantina di minuti di vite operaie in diretta.
Catarci parte dalle cariche della polizia davanti allo stabilimento lucano e ci
rimanda le parole, le lacrime, i «Padre nostro» dei lavoratori melfitani che
con la loro lotta di 21 giorni ai cancelli sono riusciti a emanciparsi dalle
gabbie salariali. Sembra poco, ma strappare un trattamento analogo a quello dei
loro compagni delle altre fabbriche Fiat è stata un vittoria straordinaria,
dopo 10 anni a capo chino, più orario e meno salario, «doppia battuta» e cioè
due settimane consecutive di lavoro notturno che «ti trasformano». Quando
tutti sanno, come ci ricorda l'operaia di Melfi, che «la notte è fatta per
dormire». Ma si sa, padroni e capi «vogliono, vogliono, vogliono» e non danno
nulla, e noi a lavorare «come robot, non abbiamo tempo per respirare».
Da Melfi a Termini Imerese la musica non cambia: «Non c'è più tempo per
aiutarci l'un l'altro». Una volta si andava a lavorare «con gioia», adesso
come «cani bastonati». A parole loro gli operai siciliani della Fiat
raccontano la paura per il dumping sociale, «La Panda potevamo farla noi, lì
(in Polonia, ndr) ci sono macchine scartate» e operai che costano quattro
soldi. Racconti di emigrazione in Germania e di ritorno a Termini pieni di
speranza, poi la crisi, la lotta, la preoccupazione per il futuro che fa «abbassare
le ali».
Ultima tappa, Mirafiori. Anche qui, in scena la storia di donne meridionali,
dalla Puglia passando per la Svizzera, per finire a Torino. Il trauma di
lavorare immersi nel rumore dei convogliatori e nelle puzze di vernici,
brutalizzati dalle vibrazioni della pressa, «l'amarezza di questa azienda che
toglie dignità», la grande lotta dell'80 e poi una routine di sfruttamento, la
speranza di costruire per i figli «un futuro migliore del nostro», il dubbio
di non farcela e giovani che denunciano: «Noi siamo una generazione che sta
peggio di quella precedente, si sopravvive e si spera». Salvare Mirafiori,
salvare Torino.
Un racconto semplice, che buca lo schermo e arriva al telespettatore. Un
documentario che meritava un orario migliore.