5 GIUGNO 2004

«Più sindacato contro il declino»
Al congresso di Livorno è stato il giorno di Guglielmo Epifani. «La Cgil è una fabbrica della speranza». Il leader di minoranza Nencini: «Non costituiremo un'area separata»
MANUELA CARTOSIO
INVIATA A LIVORNO
La Fiom, per la Cgil, è il problema o è la soluzione? Sandro Bianchi, caricato dalla bella vittoria alla Fincantieri, consegna a Guglielmo Epifani la domanda che attraversa da cima a fondo il congresso della Fiom. La risposta del segretario della Cgil è arrivata, ma senza la nettezza che la platea metalmeccanica si aspettava. Epifani ha valorizzato la determinazione con cui la Fiom ha reagito a due contratti separati. Non l'avesse fatto, «oggi avremmo una Fiom con il cappello in mano e una Cgil più debole». Significa che categoria e confederazione sono vasi comunicanti che si rafforzano a vicenda. «Siamo stati uniti nella fase in cui tutto era più difficile, non avrebbe alcun senso dividerci oggi quando la situazione è meno difficile», conclude Epifani. Meno difficile perché le lotte permettono alla segretario della Fiom Gianni Rinadini di fare una proposta sulla democrazia sindacale su cui Fim e Uilm sono costrette a confrontarsi. «Se il segretario della Fim Caprioli e quello della Uilm Regazzi qui a Livorno hanno detto che è possibile costruire un percorso unitario per affrontare il prossimo biennio contrattuale lo si deve a quelle lotte e alla forza che vi siete conquistati sul campo». Un'intesa sulle regole democratiche tra le tre organizzazioni metalmeccaniche sarà un contributo «rilevante» per Cgil, Cisl e Uil che hanno tolto dal freezer una commissione ad hoc. Le legge sulla rappresentanza resta un obiettivo della Cgil, assicura Epifani. Ma è di là da venire e, comunque, un'eventuale intesa tra i sindacati di certo non l'allontana. La necessità di chiudere la stagione della moderazione salariale è l'altro punto su cui Epifani ha dato soddisfazione alla Fiom. Ci arriva dopo un lungo excursus sul declino industriale e dopo gli apprezzamenti per la novità Montezemolo. Le parole che ha pronunciato appena insediatosi al vertici di Confindustria sono quelle «di una persona che non si rassegna al declino del paese». Ma in quelle parole c'è un neo. Il presidentissimo, come Fazio, continua a predicare la moderazione salariale. «Non ci siamo», scandisce Epifani. «Non si torna a crescere se non si dà valore al lavoro».

Sulla concertazione il segretario della Cgil se la cava rinviando a tempi migliori, a quando «ci sarà un quadro politico più favorevole».E qui davvero Epifani non è in sintonia con la platea dei delegati Fiom che non vogliono sentire neppure parlare di rieditare il patto del 23 luglio con un prossimo governo «amico». Dal centrosinistra i lavoratori sono stati scottati e parecchio. «Vedo in giro troppi orfani della concertazione in cerca di nuovi padri», ironizza Franco Grondona, segretario della Fiom di Genova. «Non dobbiamo chiedere scusa a nessuno perché lottiamo», dice il segretario milanese Maurizio Zipponi. Né alla Cgil, né al centrosinistra che se fosse solo un po' sveglio coglierebbe al volo l'importanza delle lotte sociali per mandare a casa prima e meglio Berlusconi.

Riccardo Nencini, primo firmatario della mozione «Le ragioni del sindacato», che ha raccolto il 18% dei voti, ha confermato che il congresso si chiuderà con un documento unitario e che la minoranza non costituirà una sua corrente. A una condizione: che la maggioranza garantisca il pluralismo. È una garanzia che Nencini chiede direttamente al centro, cioè a Rinaldini, perché in periferia la minoranza ha «durato fatica» a farsi conoscere. Nencini rivendica alla sua parte il disgelo verso Fim e Uilm, riconosce alla relazione di Rinaldini il coraggio di «scelte non statiche». Insiste sul patto tra produttori, bocciato senza appello dalla maggioranza. Sul tema si fa troppa polemica ideologia, secondo Nencini.

Gli interventi più caldi sono quelli in presa diretta con le lotte. «Dove ci sono i lavoratori c'è la Fiom e dove c'è la Fiom ci sono i lavoratori», dice il delegato della Fincantieri di Marghera. La vertenza Fincantieri rovescia tante «false verità». Le elenca Sandro Bianchi e qui ne citiamo solo una: «Non è vero che piattaforme diverse finiscono inevitabilmente in un accordo separato». Alla Fincantieri le piattaforme erano due, l'accordo è unitario perché così hanno imposto le lotte. Giuseppe Cillis, segreatario della Basilicata, annuncia che dopo la vittoria di Melfi la Fiom ha raccolto 500 nuove iscrizioni. «Festeggeremo il 3 luglio ai cancelli dove siamo rimasti 21 giorni». Sui metodi di lotta è un coro: «solo se fanno male, producono risultati».

Il segretario della Fiom di Torino non considera la vittoria di Melfi come «un risarcimento» per la sconfitta dell'80 alla Fiat. «Sarebbe troppo e, nello stesso tempo, troppo poco».Da Melfi viene la speranza per costruire una vertenza nazionale di tutto il gruppo Fiat. «Mirafiori deve diventare un tema nazionale e Montezemolo va messo alla prova a partire dalla Fiat». Airaudo non si genuflette di fronte al presidentissimo. Però gli riconosce il merito di aver ricordato alla politica distratta l'importanza dell'industria.

Sulla possibile ricucitura con Fim e Uilm i delegati della Fiom non mettono la mano sul fuoco. Sono soddisfatti perché il referendum non è più una parola tabù. Ma sanno che il vero banco di prova sarà un altro: Quanti soldi d'aumento chiediamo per il prossimo biennio contrattuale? Qui la distanza resta intatta, perché Caprioli ha ripetuto che per la Fim gli aumenti salariari non devono superare l'inflazione. Previsione del solito maligno bresciano: «Il prossimo contratto non sarà separata perché così vorrà Montezemolo e Fim e Uilm dovranno rassegnarsi». Previsione probabilmente azzeccata. In privato il presidentissimo avrebbe assicurato a Epifani che gli accordi separati sono roba del passato.

Piaggio, dopo l'intesa ci vuole un piano
Dopo 9 anni l'accordo integrativo siglato giovedì è probabilmente un sospiro di sollievo per i lavoratori della Piaggio. E, a voler essere ottimisti, un segno positivo sulla nuova gestione di Piaggio dopo il passaggio di consegne a Colaninno. Niente frettolosi entusiasmi però. Perché, avvertono i sindacalisti, questo è solo il primo passo. L'azienda dopo il passaggio di proprietà mostra uno stato di salute migliore. Ma non ha ancora varato un serio progetto industriale che la proietti fuori dal guado. E la Fiom ha tutta l'intenzione di sollecitarla perché si sbrighi. L'ipotesi d'accordo sarà ora sottoposta, com'è buona consuetudine dopo Melfi, al giudizio dei lavoratori. Prima con assemblee (già da settimana prossima), poi con un referendum, previsto per metà giugno.

Sono quasi 4 mila i lavoratori di Pontedera, 500 dei quali stagionali. E l'intesa prevede che 140 di loro siano assunti a tempo indeterminato di qui al 2007. Non solo: 50 contratti a termine saranno trasformati in part-time. E ogni anno, vista la salute dell'azienda, la Piaggio s'è impegnata a discutere con i sindacati il consolidamento dei livelli occupazionali. Per quanto infine riguarda la parte economica, l'intesa prevede un premio di risultato progressivo, che nel 2007 sarà pari all'8% della retribuzione media.

Difficile, anche per le rsu di Pontedera, capire quanto i lavoratori apprezzino l'intesa. Secondo uno di loro, Fabio Barbafiera, il clima è costruttivo, «anche se un po' di scetticismo c'è». C'era però anche, ricorda Barbafiera, soddisfazione per un miglioramento delle condizioni, dopo tanti anni. E, tra i sindacalisti, la consapevolezza che il clima sta cambiando, che «dopo anni difficili il sindacato ha una grande forza e può puntare a risultati alti», sempre secondo Barbafiera.

L'azienda, per bocca di Colaninno, s'è impegnata a fissare un calendario che porti alla presentazione d'un progetto industriale. Già da settimana prossima sono in programma incontri con i sindacati, in cui si discuteranno le linee generali del piano. Sono previsti buoni investimenti: perché l'azienda, dopo esser stata salvata dal baratro, va rilanciata. Questo il nuovo vertice sembra averlo capito. È sicuramente presto per essere ottimisti - anche perché Colaninno difficilmente può essere preso a esempio d'industriale illuminato - eppure, giurano i sindacalisti, finora il finanziere mantovano ha avuto comportamenti corretti.

 

Il nodo della legge «Biagi»
Nei prossimi mesi uno dei temi di confronto tra Fiom e Cgil sarà la legge 30
AN. SCI.
LIVORNO
Uno dei terreni di confronto tra Fiom e Cgil nei prossimi mesi sarà sicuramente il nodo della legge «Biagi», quella che ha inaugurato - a detta della stessa Cgil - il «supermarket della precarietà». Serie di norme che, nonostante l'opposizione a parole, cominciano a filtrare all'interno dei rinnovi e degli accordi aziendali. Così come si fanno largo i decreti sull'orario di lavoro e sui contratti a termine. Tutto questo alla Fiom - è stato uno dei punti centrali della relazione di Gianni Rinaldini - non va per nulla bene. «Abbiamo detto, come Cgil - ricorda Rinaldini - che le varie leggi approvate dal governo, dall'orario di lavoro ai contratti a termine, alla legge 30 sono inaccettabili, e abbiamo raccolto 5 milioni di firme a sostegno di questa posizione. Non può rimanere questa una petizione di principio. Per un sindacato questo non è possibile, è necessaria una pratica contrattuale che sia coerente rispetto a ciò che diciamo. Questo riguarda la Fiom e la Cgil nel suo complesso». Le altre categorie, e la Confederazione, stanno tenendo fede a quell'impegno, ai 5 milioni di firme? L'affondo di Rinaldini si fa poi più circostanziato: «Impressiona leggere formulazioni che di fatto recepiscono la legge 30 nelle causali per il ricorso del lavoro a termine, nell'accettare il lavoro a chiamata, fino ad arrivare alla deroga sulle 11 ore di riposo garantite dalla pessima legge sull'orario di lavoro che prevede la possibilità di 13 ore di lavoro. Impressiona leggere formulazioni che persino sulla legge 30 introducono differenziazioni peggiorative per i lavoratori del Sud. Impressiona leggere formulazioni per la regolarizzazione dei co.co.co. con contratti che assomigliano a quelli di emersione dal lavoro nero». Nessun riferimento diretto a chi ha siglato quei contratti, ma noi proviamo a capire, con il segretario Fiom Giorgio Cremaschi, dove siano i punti più controversi.

Gli ultimi contratti dei tessili e della gomma-plastica, ad esempio, hanno recepito il decreto 66 sugli orari, ma derogando proprio su uno dei cardini positivi della legge, quello che fissa a 11 ore il minimo di riposo tra un turno e l'altro. Il contratto degli alimentaristi-Confapi, ha invece fatto proprio il job on call che permette all'azienda di «ordinare» al telefono il lavoratore in qualsiasi momento. Gli edili hanno aperto agli enti bilaterali azienda-sindacati, pronti a certificare i rapporti di lavoro.

E poi c'è l'accordo di Atesia, siglato con il gruppo Telecom, che trasforma 1350 co.co.co. in collaboratori a progetto, non mutando dunque la loro condizione, e tutto il resto (3 mila operatori) frammentati in contratti di inserimento, apprendistato, a tempo determinato. «Sicuramente non si possono respingere del tutto le forme di lavoro che c'erano prima», spiega Cremaschi. «In certe condizioni possono andar bene l'inserimento e l'apprendistato, ma con paletti: non fino a 6 anni, come prevede la legge per gli apprendisti, ma cercando di migliorarli, con più formazione e inquadramenti migliori. Invece dobbiamo dire no ai contratti a progetto, negativi come i co.co.co. del pacchetto Treu, allo staff leasing (somministrazione a tempo indeterminato) e al job on call (lavoro a chiamata). Soprattutto, dobbiamo coinvolgere nei contratti tutta la filiera e le categorie coinvolte, anche l'azienda madre in caso di gruppi che si frammentano con gli appalti. È per questo che abbiamo proposto alla confederazione di creare la nuova Cgil dell'industria: per gruppi come Telecom, che esternalizzano i dipartimenti gestionali o i call center, applicando contratti diversi ai differenti addetti».

 

MOBILITATI
«Ecco perché le lotte di noi giovani pagano»
Melfi, Fincantieri, Polti: emerge una nuova generazione di lavoratori. Che vince
ANTONIO SCIOTTO
INVIATO A LIVORNO
Le nuove forme di lotta pagano: hanno funzionato a Melfi, nella vertenza Fincantieri, adesso sono in sperimentazione a Cosenza, nella durissima vertenza Polti. Gli ingredienti? Una base di sciopero a oltranza che blocchi la produzione (diciamo almeno una settimana, tanto per cominciare), tanta democrazia (assemblee per informare in tempo reale i lavoratori sullo stato delle trattative) e un bel tocco di referendum alla fine, per validare un eventuale accordo. La pozione magica ha qualità miracolose, ma per fare effetto ha bisogno di un altro elemento fondamentale: l'entusiasmo e la passione operaia, molto più forte dopo che negli ultimi anni sono arrivate le infornate di 25-30 enni. «Non credo che con la vecchia guardia, delusa dalle mobilitazioni degli anni '80 e fiaccata dall'ultimo decennio di concertazione, avremmo avuto una lotta come quella di Melfi», conferma Emanuele De Nicola, Rsu della Fiat lucana, 34 anni. «I giovani erano i più attivi ai presidi», confermano i segretari Fiom Lello Raffo e Giuseppe Cillis

L'energia dei ragazzi di Melfi, ma anche dei trentenni di Terni e della Fincantieri, dei ventenni della Polti di Cosenza, ha alimentato le lotte della Fiom, dando solidità e consenso alla «linea Rinaldini», basata sul rapporto diretto con i lavoratori: i vertici nazionali devono partecipare direttamente alle lotte, individuare un percorso democratico fatto di assemblee, Rsu delegate a trattare, referendum finale. Come a Melfi, appunto. «Noi rischiavamo di farci annegare, ma la nostra lotta era troppo importante e non ci siamo fermati», aggiunge Fabio Querin, 36 anni, delegato della Fincantieri di Porto Marghera. Si riferisce alla mobilitazione dello scorso 26 maggio, quando oltre 200 operai hanno occupato il bacino del porto, impedendone il riempimento per il varo dell'Arcadia, la mastodontica nave di 84 mila tonnellate ordinata dal colosso del turismo P&O. «La proprietà ha dovuto vararla a secco, è riuscita solo a lanciare la bottiglia». Un giorno dopo, l'accordo: «È stata una vertenza molto difficile, iniziata con gli scioperi classici, due ore per stabilimento - aggiunge Fabio - Poi siamo passati a quelli di mezz'ora a turno, e infine alla settimana di blocco della produzione. Volta per volta gli operai, in assemblea, ci suggerivano le forme di lotta più adatta, e adesso andremo al referendum».

Come conferma Sandro Bianchi, segretario Fiom che ha seguito la vertenza, «né Melfi né Fincantieri avrebbero potuto essere portate avanti senza la mobilitazione degli operai più giovani, circa l'80% delle forze in campo, spinti dal desiderio di migliorare le condizioni di lavoro». «Infatti molti ragazzi - riprende Fabio - mi hanno spiegato di aver sostenuto il pre-contratto Fiom per respingere la legge 30 e scongiurare futuri rischi di precarietà».

Novità anche dalla Polti di Cosenza. In collegamento telefonico, Alessandro Altomare, 26 anni, Rsu Fiom licenziato insieme ad altri due iscritti, ha raccontato che va avanti il blocco della produzione iniziato il 25 maggio scorso: «La signora Polti, che è venuta a trattare personalmente, ci ha proposto di trasformare i licenziamenti in cassa integrazione: ovviamente abbiamo rotto le trattative, non ci fermeremo fino a quando non verremo reintegrati e non sarà iniziato un confronto sulle nostre condizioni di lavoro». Basti pensare che l'azienda cronometra perfino la pipì degli operai e impone ritmi di lavoro pesantissimi, come il manifesto aveva denunciato giorni fa. La Fiom ha attivato la cassa di resistenza e i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, ha fatto sapere Gianni Rinaldini, hanno chiesto un incontro urgente alla presidenza del consiglio: insomma, ragazzi, non vi arrendete.