IL MANIFESTO 4 GIUGNO 2004

Fiom, si apre la stagione del disgelo
«Prudenza e pragmatismo» nel confronto con Fim e Uilm su rappresentanza e democrazia. Ma anche la ferma convinzione che il patto del 23 luglio è morto e freddezza su Montezemolo a capo di Confindustria e Fiat. Il segretario Gianni Rinaldini apre il congresso di Livorno
MANUELA CARTOSIO
INVIATA A LIVORNO
Al congresso della Fiom, cominciato ieri a Livorno, va in scena il disgelo. Il segretario Gianni Rinaldini ufficializza una proposta di mediazione su rappresentanza e democrazia. Fim e Uilm l'accettano come base su cui proseguire il confronto. «Con prudenza e pragmatismo», dice il segretario della Fim Giorgio Caprioli. Se son rose, fioriranno, commenta con altrettanta cautela la platea dei delegati. Ma a nessuno sfugge la novità: Melfi e l'accordo Fincantieri hanno sdoganato il referendum. Fino all'altro ieri era un macigno nei rapporti tra le tre organizzazioni sindacali. È diventato lo spunto per una possibile, parziale ricucitura. Ma le aperture finiscono qui. Su tutto il resto, Rinaldini è andato all'attacco, senza arretrare di un millimetro i paletti piantati dalla mozione di maggioranza, arrivata a Livorno con l'81% dei voti congressuali. Il patto del 23 luglio è morto, sepolto da governo e Confindustria. Non basta lo charme di Montezemolo a riportarlo in vita, «come se nulla fosse successo nel corso di questi 10 anni, dalla politica industriale, alla precarizzazione di massa, alla riduzione delle retribuzioni e delle pensioni». Un «patto tra produttori» non è né possibile, né auspicabile. Il neopresidente di Confindustria invita le parte sociali a fare sistema? La Fiom registra il cambiamento di clima, ma vuol sapere quanto prima se la Confindustria di Montezemolo archivia la stagione degli accordi separati. Che sono possibili, sottolinea Rinaldini, perché la controparte «sceglie di farli». L'occasione non è lontana, in autunno i metalmeccanici rinnoveranno il secondo biennio contrattuale. Anche sul Montezemolo presidente della Fiat la Fiom va coi piedi di piombo. La sua ricetta, ammesso ce l'abbia, salverà la Fiat oppure le banche decreteranno la chiusura di Mirafiori? Il 10 giugno, con una giornata di lotta a Torino, Fiom, Fim e Uilm presenteranno lo loro credenziali al «terzo Agnelli».

Sul contratto nazionale la Fiom di Rinaldini tiene fermo l'obiettivo fissato da Sabattini: va «riconquistato» e deve assicurare aumenti salariali reali, cioè superiori all'inflazione. Obiettivo suggestivo, ma irrealistico, obietta la mozione di minoranza firmata da Riccardo Nencini, convinto che il salario si possa difendere meglio per via indiretta, attraverso la leva fiscale e il welfare. «Non siamo pirla», replica Rinaldini, sappiamo che il salario non si esaurisce nella busta paga. Chiedere aumenti reali è un segnale per invertire una tendenza fatta di moderazione salariale, precarietà, perdita di diritti.

Neppure alla Cgil Rinaldini ha fatto sconti. Guglielmo Epifani, che interviene questa mattina, deve dare parecchie risposte a una Fiom che spinge per il contratto dell'industria e che puntigliosamente sottolinea gli scostamenti tra i principi fissati dall'ultimo congresso della Cgil e le pratiche contrattuali di diverse categorie. «Impressionano» accordi di categoria che recepiscono la legge 30 e la pessima legge sull'orario di lavoro che la Cgil dice di voler cancellare. Il contrattato dell'artigiano scivola pericolosamente verso il federalismo salariale e molti accordi sono stati firmati senza essere sottoposti al voto di tutti i lavoratori. Certo, le categorie sono autonome, ma la coerenza non è un optional.

L'applauso più grosso Rinaldini lo prende quando parla «a futura memoria» al centrosinistra. L'impegno a ritirare tutte le leggi che hanno peggiorato le condizioni di lavoro ed esteso la precarietà è il minimo che la Fiom pretende da un governo post-Berlusconi. E se il centrosinistra tornerà a Palazzo Chigi, l'autonomia della Fiom è fuori discussione, «abbiamo governi avversari, non abbiamo governi amici».

Torniamo alla proposta su democrazia e rappresentanza. La titolarità della contrattazione aziendale è delle Rsu, elette con il sistema proporzionale puro (attualmente i confederali hanno d'ufficio un terzo dei delegati). Referendum sulle piattaforme e di mandato sugli accordi. Per i contratti nazionali la Fiom accetta di eleggere, sempre su base proporzionale, un'assemblea di delegati che segua e decida i diversi passaggi della trattativa (è un'idea cara alla Fim e questa sembra l'unica concessione fatta dalla Fiom). Ma, anche qui, le piattaforme vanno votate dai lavoratori e gli accordi sottoposti a referendum di mandato.

Nessun problema a eleggere le Rsu con il metodo proporzionale, dicono il segretario della Uilm Regazzi e quello della Fim Caprioli. Nessun problema nemmeno a fare il referendum sulle piattoforme. Caprioli arriva a dire che tra tutti i referendum quello di mandato è «il più virtuoso», perché responsabilizza i lavoratori. Ma se ci sta a farlo anche sui contratti nazionale, e non solo quando ha il fiato sul collo delle lotte, non lo precisa. Preferisce battere sulle piattaforme. «L'unità passa per forza da una piattaforma comune. Se partiamo con tre piattaforme diverse, l'accordo separato è inevitabile». L'idea del sindacato e del contratto dell'industria piace alla Fim, ma non alla Cisl, ricorda Caprioli. Due contratti separati sono una ferita profonda per i metalmeccanici, ma il Patto per l'Italia non è stato un «trauma» minore per le confederazioni. Cgil, Cisl e Uil lo stanno superando, hanno fissato «le priorità» per un'azione comune. «Proviamoci anche noi, con molto pragmatismo e prudenza».

Banco di prova sarà il rinnovo del secondo biennio contrattuale. La platea della Fiom ha ascoltato con attenzione Caprioli. Applausi contenuti, ma non rituali. Qualche fischio, invece, al segretario della Uilm. Un'enorme bandiera della pace ricopre quasi per intero una tribuna del Palalivorno. Oggi una delegazione della Fiom sarà a Roma a manifestare contro Bush.

FIOM IN PIAZZA A ROMA CONTRO BUSH
«Saremo alle manifestazioni e manifesteremo a viso aperto ripudiando ogni forma di violenza». Lo ha detto Gianni Rinaldini ieri dal congresso nazionale della Fiom a Livorno.

 

SACCONI: CONSERVATORI
La linea della Fiom è conservatrice. Lo garantisce il sottosegretario al welfare, il noto progressista Maurizio Sacconi. L'organizzazione, secondo lui, «considera inesorabilmente conflittuale il rapporto di lavoro e l'impresa naturalmente vocata a limitare la dignità della persona nel lavoro». Di più: la Fiom - rivela sempre il sottosegretario - agita a esempio di lotta il modello Melfi. Un'idea che gli pare bizzarra: «Come se il conflitto preventivo sia un esempio di moderne relazioni industriali», sbotta. E forse c'è da credergli: il governativo Sacconi di conflitti preventivi certo se ne intende molto.

 

SALVI: IDEE PER LA SINISTRA
Nel programma di una sinistra che si candida a governare dopo Berlusconi «il lavoro deve avere centralità». E per questo bisogna che la sinistra «raccolga le sollecitazioni che il maggior sindacato le rivolge». Lo dice Cesare Salvi, parlamentare Ds e vicepresidente del Senato. Salvi indica anche i provvedimenti che un eventuale nuovo governo dovrà prendere: «Il ritiro della legge 30» e «una politica di estensione dei diritti e delle giusta causa per i licenziamenti».

 

RC: UN ESEMPIO PER GLI ALTRI
La relazione di Rinaldini «indica una via a tutto il sindacato italiano, che mette al centro la democrazia e i salari». Lo dice Paolo Ferrero, della segreteria nazionale di Rifondazione comunista. Giusto, secondo Ferrero, chiudere con la concertazione. Ma giusto anche non isolarsi, dialogare con gli altri sindacati pur da posizioni chiare e ferme. «Il terreno unitario - secondo il politico - va costruito però insieme ai lavoratori».

L'ARCI: ALTO PROFILO
«Un contributo importante di alto profilo». È il giudizio che Tom Benetollo, presidente nazionale dell'Arci, dà della relazione di Gianni Rinaldini. Benetollo, che ha ascoltato il segretario della Fiom a Livorno, ha apprezzato in particolare la rivendicazione dell'autonomia della Fiom, una spinta «che va raccolta e valorizzata». Autonomia che però non significa isolamento: il presidente dell'Arci ricorda che la Fiom fa idealmente parte di un vasto schieramento pacifista e antiliberista.
 

 

 

Mirafiori al centro di Torino
Il 9 e 10 giugno gli operai tornano in piazza per raccontare la fabbrica

Canzoni volantini, manifesti, iniziative culturali. I sindacati dei metalmeccanici e i dipendenti della Fiat comunicano con la città

ORSOLA CASAGRANDE
TORINO
Gli operai della Fiat Mirafiori torneranno nel centro di Torino per una giornata intera. A partire dalla sera del 9 giugno e fino alla mezzanotte del giorno dopo infatti piazza Castello ospiterà la 24 ore per Mirafiori. Una serie di eventi, manifestazioni, concerti, spettacoli per riportare lo stabilimento Fiat e la discussione sulle prospettive dell'auto al centro della città. Organizzata da Fim, Fiom, Uilm e Fismic la 24 ore non vuole essere una sorta di pianto collettivo. Al contrario con questa giornata gli operai e i loro sindacati vogliono dire alla città che Mirafiori è un'opportunità. Oggi forse, visti i cambi al vertice della Fiat, più che mai. I metalmeccanici dunque credono nella possibilità di rilanciare Mirafiori (invertendo una tendenza che nell'ultimo anno e mezzo ha significato cassa integrazione e una implacabile emorragia di posti di lavoro) ma a patto che ciascuno giochi la propria parte fino in fondo. Così nelle giornate del 9 e 10 giugno gli operai hanno invitato l'amministrazione e le forze politiche cittadine ad un confronto franco e aperto sul futuro dell'auto. Non solo a Torino ma in tutto il paese. Se è vero, come non si stanca di ricordare la Fiom, che Torino e la Fiat sono state il simbolo del grande passato industriale del paese ma oggi sono il simbolo del declino dell'industria in Italia.

Al congresso nazionale della Fiom a Livorno si parlerà anche di questo, della necessità (come ribadiscono i torinesi) di aprire una vertenza nazionale sulla Fiat, che significa appunto affrontare le prospettive del settore dell'auto. La due giorni si aprirà mercoledì 9 alle 18 con l'apertura di piazza Castello alla città. Padroni di casa, del salotto bello di Torino, saranno per una volta gli operai. Radio Flash sarà la voce dell'iniziativa e per tutte le 24 ore raccoglierà e diffonderà voci e suoni di questa manifestazione. Il Gruppo Abele di Don Ciotti organizza un dibattito (alle 19) su «disagio sociale e mancanza del lavoro».

Alle 21 invece ci sarà la fiaccolata da piazza Arbarello a piazza Castello a cui sono invitati tutti i cittadini, oltre alle associazioni. Il corteo coinciderà con lo sciopero di otto ore del turno di notte degli operai di Mirafiori. La serata si concluderà con una veglia. Il giovedì invece sarà aperto dalla manifestazione dei metalmeccanici: partenza dalla porta 5 di Mirafiori e arrivo in piazza Castello. Quindi ci sarà un incontro dei sindacati con le istituzioni locali e a seguire con le forze politiche torinesi. Non è un caso infatti che la 24 ore sia stata organizzata a due giorni dal voto per le europee e per le provinciali.

Ai politici i metalmeccanici chiederanno impegni concreti per il futuro di Mirafiori. Nel pomeriggio, in concomitanza con lo sciopero del secondo turno, nuova iniziativa dei lavoratori e dibattito sulla «mobilità sostenibile» con le associazioni ambientaliste. Si finisce con la musica. In piazza ci saranno spazi autogestiti dalle associazioni torinesi, mostre, video, teatro.

CONGRESSO FIOM
CONTRATTO, SPEZZATINO E ATIPICI

di Maurizio Mascoli*
S i è appena concluso il congresso della Fiom Campania; dal 3 al 5 giugno si terrà a Livorno quello nazionale. La linea politica e contrattuale definita negli ultimi anni dalla Fiom ha naturale continuità nel documento «Valore e Dignità del Lavoro», primo firmatario Gianni Rinaldini che raccoglie oltre l'80% delle adesioni tra gli iscritti a livello nazionale, oltre l'85% in Campania. I temi al centro del congresso regionale hanno affrontato i nodi della contrattazione nel Sud. Per molti anni è stata sostenuta un'equazione: mantenere i salari bassi, al di sotto dell'inflazione, ridurre i diritti ed estendere la precarietà per favorire gli investimenti e creare nuova occupazione. Un'equazione che ha prodotto il dissesto industriale del paese, con gravi conseguenze nel settore metalmeccanico. Ma la lotta dei lavoratori della Fiat e dell'indotto di Melfi dimostrano che l'equazione non regge sul piano sociale. Melfi ha rimesso al centro il contratto nazionale come dimensione di parità di salario e diritti. D'altra parte il problema salariale è prioritario nel mezzogiorno. I dati disponibili sulla base di una recente ricerca dell'Ires Campania dimostrano che negli ultimi anni la forbice salariale tra nord e sud è aumentata. L'inflazione si mantiene da tempo più alta nei grandi centri urbani del Sud, in particolare a Napoli, rispetto a quelli del centro-nord: quasi un punto percentuale in più. Così quando la Fiom mette al centro del suo congresso il cnl come strumento per definire incrementi salariali fa una scelta meridionalista. Salario e diritti sono l'altra faccia della stessa medaglia di uno sviluppo basato sulla ricerca, l'innovazione, la qualità della produzione. Il processo di deindustrializzazione in atto in Campania ci riporta ai primi anni '90. Nel settore auto la crisi della Fiat è costata oltre 2000 posti di lavoro, nell'indotto continuano i tagli per gli effetti del ridimensionamento produttivo registrato dal gruppo. Con la prospettiva di un cambio negli assetti azionari, l'accordo per la nuova Pomigliano resta per noi un punto di riferimento importante, ma reggerà solo se si riavvia il tavolo negoziale nazionale, l'intervento pubblico e un nuovo progetto industriale. E d'intervento pubblico dobbiamo parlare anche per i settori tecnologicamente più avanzati.

Il primo obiettivo deve essere il ritiro del progetto Finmeccanica 2 e degli accordi d'internazionalizzazione che portano ad un ruolo marginale del nostro paese in segmenti industriali strategici. Invece di perseverare nella logica delle privatizzazioni a spezzatino, come per Ansaldo, Fincantieri, Alenia, bisogna ricostruire una politica industriale in una dimensione europea. E' necessario rimettere al centro la questione industriale in Campania. Il Congresso deve continuare anche una riflessione già avviata sul futuro della nostra Organizzazione nel mezzogiorno, sul suo rapporto con una nuova classe operaia che anche in Campania ha fatto le sue prime difficili esperienze. Un processo che sta già determinando una fase di rinnovamento della Fiom nelle aziende, per costruire il rinnovamento nelle strutture territoriali, sperimentando nuovi quadri sindacali, anche in forme non tradizionali.

(*Seg. Gen. Fiom Campania)


CONTRATTI
Il governo gela gli statali
Risultati deludenti nell'incontro a palazzo Chigi Fini non trova i soldi per il rinnovo. Possibili nuovi scioperi

Il governo ha ricevuto ieri i sindacati del pubblico impiego a palazzo Chigi per discutere del rinnovo del contratto. Ma la riunione è terminata con un nulla di fatto, perché la compagine berlusconiana - divisa al suo interno - non è in grado di trovare la soluzione finanziaria per chiudere la partira, né comunque di rompere definitivamente con i sindacati alla vigilia delle elezioni. «Il nostro giudizio è negativo - ha detto alla fine dell'incontro Carlo Podda, segretario generale della funzione pubblica Cgil - il governo non va oltre una generica disponibilità a discutere di produttività, ma con criteri che a noi non piacciano. Sul recupero dell'inflazione il governo è stato poi molto netto: non c'è nulla da dare perché gli stipendi pubblici sarebbero stati in linea». Nulla di fatto dunque e rinvio al dopo elezioni per la prosecuzione della trattativa. I sindacati sono d'accordo nel giudizio negativo delle proposte del governo e annunciano una serie di nuove iniziative di mobilitazione. Ieri il governo era rappresentato ai massimi livelli, segno dell'importanza che è stata data a una riunione inizialmente voluta dal vicepremier Gianfranco Fini. A palazzo Chigi, al tavolo con i sindacati, erano seduti ieri, oltre a Fini, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, il ministro dell'economia Giulio Tremonti, quello del welfare Roberto Maroni e il ministro della funzione pubblica, Luigi Mazzella. I sindacati confederali erano rappresentati dai segretari generali di Cgil, Cisl, Uil, Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti, accompagnati dai responsabili dei sindacati di categoria del pubblico impiego.

Il governo ha avanzato una timida apertura solo sulla questione della produttività, che potrebbe passare da un aumento dello 0,2% a uno dello 0,3% annuo, ma applicato con criteri di selezioni tra i dipendenti pubblici che i sindacati non condividono. Il punto più dolente riguarda però l'inflazione. Il governo non è disposto a spostarsi di un millimetro, probabilmente sulla base delle precise indicazioni del ministro Tremonti. Secondo il governo il recupero dell'inflazione non si deve neppure affrontare perché gli stipendi pubblici avrebbero sostanzialmente tenuto l'aumento dei prezzi. Il biennio precedente sarebbe quindi completamente azzerato con questa impostazione. Il governo insiste poi che per quanto riguarda il biennio successivo si dovrà parlare solo di inflazione programmata. Tradotto in soldi, significa che il governo non è disposto a venire incontro alle richieste di aumenti avanzate dai sindacati confederali. Anche sulle altre questioni relative al contratto la chiusura sembra - almeno per ora - totale. E' anche probabile che su questa vertenza incidano ragioni politiche che travalicano i motivi sindacali. An ha infatti un atteggiamento verso i dipendenti pubblici. La Lega, ministro Maroni compreso, uno opposto.

ALITALIA
Cimoli-sindacati, primo round
Senza sorprese l'incontro tra le nove sigle e il nuovo capo Qualche segnale di disponibilità, ma la discussione è solo all'inizio

BEPPE MARCHETTI
L'Alitalia di Cimoli prova a mettersi in moto. Ieri il nuovo presidente ha incontrato i dirigenti del suo gruppo e i sindacati. Ha provato a imbarcare entrambi. Destinazione: un'Alitalia risanata, rilanciata, finalmente produttiva. «Non posso farcela da solo - ha detto - ho bisogno di voi tutti». I dirigenti sono parsi entusiasti, ma è il loro lavoro sembrarlo. Più prudenti i sindacati: «L'incontro è stato solo interlocutorio, è presto per commentare», era la frase più ricorrente. Qualcosa di più si saprà nel giro di 15 giorni, quando azienda e sindacati si dovrebbero rivedere con più carne al fuoco. In quell'incontro - se non il piano, previsto tra un paio di mesi - i sindacati vorrebbero discutere almeno alcune linee guida. «La cornice futura - nelle parole del segretario della Filt Fabrizio Solari - in cui collocare l'azienda». Ma per arrivare a questo bisogna prima garantire all'azienda continuità, e cioè soldi freschi. Per ora nessuna banca ha dato l'ok al prestito garantito dal governo. E lo stesso esecutivo ha più chiacchierato che fatto, secondo uno stile ormai consolidato.

Ieri Cimoli ha detto che il risanamento sarà quello «delle maggiori compagnie europee». È un'indicazione già contenuta nell'accordo in sei punti siglato da azienda e sindacati lo scorso 6 maggio. Garantisce elementi fermi: per esempio che non ci sia il temuto spezzatino (la frammentazione in molte società) o l'altrettanto nefasta divisione in due (la parte buona dell'azienda, da rilanciare e quella cattiva, da svendere). Ma espone anche al rischio di tagli al personale: diverse «maggiori compagnie europee» si sono risanate a colpi di sacrifici tra i lavoratori. Lo spiega bene Fabrizio Tomaselli del Sult: «L'indicazione è vaga, ognuno può vederci quello che vuole. Ci sono esempi positivi, come Air France e altri negativi, come British Airways che ha licenziato molto. Ma la British s'è ristrutturata un sacco di anni fa, non può fare da modello».

Su questo tema Cimoli ha segnato una differenza (almeno nelle parole) rispetto ai predecessori: risanamento - ha detto davanti ai suoi manager - non può significare solo tagliare il costo del lavoro (che, va ricordato, rappresenta il 22% del totale, meno delle «maggiori compagnie»). Vanno sfruttate al meglio, secondo il presidente, «sinergie strategiche con altri partner industriali». Ciò che, tradotto in lingua italiana, significa cedere parte delle attività in perdita (manutenzione, servizi) ad altre aziende. Sono quelle che nell'ultimo piano si chiamavano partnership. Proprio su questo punto si gioca l'accordo e il futuro stesso della compagnia. Tutti i sindacati, pur con sfumature, si oppongono a partnership in cui Alitalia resti come socio di minoranza. La ragione è chiara: se la compagnia di bandiera vendesse il 51% di un settore a un'altra azienda, quest'ultima potrebbe decidere un minuto dopo di licenziare chi vuole. «Sarebbero esternalizzazioni mal fatte, non partnership», dice Tomaselli.