IL MANIFESTO  3 GIUGNO 2004

FIOM
Un secolo ben portato

LORIS CAMPETTI
Il XXIII congresso della Fiom che inizia oggi a Livorno è uno dei più importanti nella lunga storia dei metalmeccanici Cgil. Una storia iniziata nel 1901, oltre un secolo fa, nella stessa città toscana dove all'inizio del secolo breve tutto aveva origine. L'iter congressuale della Fiom era iniziato negli ultimi mesi dello scorso anno in un contesto politico-sindacale completamente diverso. L'organizzazione diretta da Gianni Rinaldini era additata da destra e da sinistra come un covo di irriducibili, nostalgici conflittuali che non s'erano accorti che il mondo era cambiato («Good by Lenin»). Non un accordo portato a casa, non un contratto firmato, scioperi tanti. I «signor no», insomma. Un'assemblea nazionale dei delegati, l'appuntamento di metà mandato della Cgil, sembrava capitare a proposito per liberare la scena dagli ultimi mohicani. Già si facevano i calcoli sui cambiamenti che la prossima nomina di Montezemolo a presidente della Confindustria avrebbe comportato: fine della stagione degli accordi separati, ritorno al passato pre-berlusconiano e concertativo, nuova politica dei redditi, cosicché anche il conflitto duro sarebbe potuto tornare in soffitta.

Senonché, la Fiom è stata capace di rompere l'accerchiamento riuscendo a vincere la vertenza più difficile, con il padrone e nel luogo-simbolo più difficili: alla Fiat di Melfi. Ha vinto perché i lavoratori della fabbrica lucana hanno vinto, avendo al fianco (da 10 anni) la sola Fiom. Anche i più scettici sono stati costretti a prendere atto che c'è un altro modo per ricostruire l'unità sindacale, rispetto a quella canonica di vertice: a partire dalle lotte condivise dalla maggioranza dei lavoratori.

E dire che i segnali di una possibile inversione di tendenza c'erano tutti, peccato che in pochi riuscissero a vederli. Non sarà stato per un caso del destino, se a ogni elezione delle Rsu, in qualsiasi fabbrica metalmeccanica, da anni la Fiom vedeva accrescere il proprio consenso, dal Nord al Sud, nelle aziende manifatturiere e nei centri di ricerca, tra i giovani dei call center e tra i vecchi siderurgici. La Fiom cresceva perché si schierava come sindacato autonomo dalla parte dei lavoratori, in difesa dei diritti e dei salari rosicchiati e dell'occupazione falcidiata. Cresceva perché si diceva non disponibile a firmare qualsivoglia accordo che non fosse votato e condiviso dai diretti interessati.

Così va letta la vittoria di Melfi, cosi il risultato strappato nella cantieristica. Anche le numerose sentenze che ribadiscono la permanenza, nonostante tutto, di uno stato di diritto di cui fa parte anche l'articolo 18, segnano una vittoria della Fiom e dei suoi militanti licenziati per rappresaglia. Infine, ci sarà pure una ragione se i giovani che si battono contro la globalizzazione neoliberista e non hanno grande passione per le organizzazioni novecentesche figlie del movimento operaio, nella Fiom si sentono come a casa propria.

Ma oggi, a Livorno, il congresso si apre in uno scenario diverso. Rotto l'accerchiamento, cambiata la musica in Confindustria, inizia una fase diversa da quella su cui si fondavano le mozioni congressuali. Una fase di contrattazione, dunque «più avanzata». La Fiom, è vero, non ha mai smesso di contrattare, o di provare a farlo. Ne sono testimonianza le centinaia di precontratti siglati per recuperare quel che l'accordo separato siglato da Federmeccanica, Fim e Uilm aveva tolto ai lavoratori. Oggi è possibile fare un secondo passo avanti, provando a riportare al vertice quell'unità che gli operai di Melfi hanno imposto dal basso. A due condizioni: ribadendo che un ritorno puro e semplice al passato concertativo non ha prospettive, e che sulla democrazia, sul diritto dei lavoratori a dire l'ultima parola, non si torna indietro.


INTERVISTA
Esportiamo il modello Melfi
Parla Emanuele, delegato Fiom della Fiat lucana. I ventuno giorni che hanno fatto storia

Sembrava l'assedio di Fort Apache I falò nella campagna buia, gli stabilimenti immersi nel silenzio, la nuova amicizia e l'orgoglio. Sono stati momenti bellissimi, ma ricordo anche le cariche, e gli altri sindacati che hanno organizzato una contromanifestazione. Cosa ho imparato? Che la lotta vera parte dal basso, con democrazia. Adesso tutti ci vogliono imitare

AN. SCI.
Le immagini più belle dei presidi? «I falò fuori dalla fabbrica, ci sentivamo come gli indiani che assediano Fort Apache. E l'amicizia tra di noi, l'orgoglio di chi lotta per i propri diritti». Le più brutte? «Gli autobus vuoti inviati dall'azienda, la polizia dietro preparata a caricarci». Largo agli operai di Melfi, saranno loro i protagonisti del ventitreesimo congresso Fiom: zero sindacalese, si parla di salari e democrazia. Come si spunta un aumento da un'azienda che ti opprime per oltre 10 anni? Esiste davvero un'assemblea dove tutti possono votare e decidere? La nuova Fiom è tutta nelle parole di Emanuele De Nicola, 34 anni, delegato da dieci alla Fiat di Melfi: «I dirigenti come Raffo, il segretario Rinaldini, non sono rimasti a Roma. Stavano con noi, sotto la pioggia e il sole che batteva, al freddo di notte. Hanno preso le manganellate pure loro, e così si sono conquistati la fiducia degli operai». E' proprio vero, il suo congresso la Fiom l'ha già fatto, davanti ai cancelli dello stabilimento lucano.

Adesso vi sentite più forti. Come è cambiata la vita in fabbrica dopo la vittoria?

E' tutto diverso, ora il management tiene conto delle nostre richieste. Basta pensare al piano ferie, che abbiamo firmato qualche giorno fa. Impensabile prima della lotta di quest'anno. Fino alla passata estate, la Fiat decideva tutto da sola e ci comunicava lo schema a metà-fine luglio. Come ci si poteva organizzare per le partenze in agosto? Quest'anno abbiamo discusso le nostre ipotesi, e nell'accordo finale abbiamo anche deciso per il 24 e 31 dicembre, fissando un ulteriore incontro per ottobre. I lavoratori sono soddisfatti, si parla di più tra di noi. Prima piovevano anche 20 contestazioni e provvedimenti disciplinari al giorno, mentre adesso ci pensano due volte prima di sospendere gli operai dal lavoro e dal salario.

Una lotta difficile, inascoltati per anni...

Sì, noi abbiamo sempre fatto attività sindacale, ma alla fine era davvero frustrante. Io sono entrato in fabbrica nel 1992 e nel 1994 sono diventato delegato: quei 21 giorni di presidi e di assemblee ci hanno fatto capire che il lavoro di 10 anni non è stato inutile, perché è improvvisamente sbocciato e ha dato frutti bellissimi. Alla fine abbiamo ottenuto gli aumenti, superato la doppia battuta, le dodici notti consecutive con lo stesso turno, messo fine al sistema dei provvedimenti disciplinari a pioggia. Il tutto, grazie a un percorso trasparente e democratico, vissuto davvero in prima persona.

Se dovessi riassumere in pochi flash i momenti essenziali, quali sceglieresti?

Tra i più belli, i falò di notte, come ho già detto. Perché lì c'era anche la festa, la leggerezza. Nella notte, in mezzo alla campagna e agli stabilimenti immersi nel silenzio, si vedevano questi fuochi, e gli operai intorno, con le chitarre e qualche panino per riempire lo stomaco. L'amicizia che è nata tra noi, la passione e l'orgoglio di essere insieme per difendere la dignità e assicurare un futuro alle nostre famiglie. E poi le assemblee, sempre affollatissime, ai presidi ma anche in fabbrica, dopo l'accordo. Non si era mai vista tanta gente a un appuntamento sindacale. Di solito andavano deserti. E poi le manifestazioni qui nella Piana di San Nicola, e quella di Roma, dove siamo riusciti a portare per la prima volta un migliaio di operai, con 15 pullman. Ma ci sono stati anche i momenti brutti: a parte le cariche, ci ha ferito il fatto che gli altri sindacati abbiano organizzato una contromanifestazione; l'episodio della delegata che ha affermato di essere stata aggredita, che ha ritardato le trattative di una settimana. Adesso i rapporti interni cambieranno: stiamo raccogliendo le firme per anticipare le elezioni delle Rsu, gli operai non si sentono più rappresentati da chi non ha partecipato a quella lotta.

Al congresso della Fiom cosa porterai di nuovo? Che dirai a chi ti chiederà di Melfi?

Certamente racconterò di una vertenza diversa da tutte le altre, perché giocata veramente dal basso. In questo senso è stata decisiva l'assemblea sulla prosecuzione dei presidi, quando bisognava decidere se andare via o meno perché la Fiat cominciava a mostrare aperture: io stesso ho creduto opportuno appoggiare il passaggio all'assemblea permanente, in modo da seguire le trattative da Roma via telefono, aggiornando in tempo reale gli operai. Non era tutto stabilito a tavolino, decidevamo giorno per giorno con i vertici della Fiom, Rinaldini, Raffo, Cillis, che stavano con noi e prendevano atto delle decisioni della maggioranza. Il sindacato sceglie finalmente il conflitto come strumento, chiudendo il decennio della concertazione iniziato nel 1993. Lo stesso referendum, che ha dato per la prima volta la possibilità a tutti di esprimersi, compresi ovviamente i contrari all'accordo, è stato l'unica conclusione possibile. E così si potrà dire che prima la Fiat voleva esportare il modello produttivo di Melfi, con i turni massacranti e le gabbie salariali, mentre adesso, dopo la nostra vittoria, il «modello Melfi» lo vogliono esportare gli operai.


 
Via al 23° congresso
La Fiom apre oggi a Livorno la sua assise. È la terza volta che il congresso è ospitato dalla città toscana. Qui il sindacato vide la luce, il 16 giugno 1901. Allora c'erano dai 100 ai 120 delegati e circa 18 mila iscritti

 

Metalmeccanici oggi
All'attuale assise i delegati sono 734, in rappresentanza di 367 mila iscritti alla Fiom, da soli più numerosi di quelli Fim e Uilm insieme. Si chiude un ciclo di 110 congressi provinciali e 20 regionali
 

La tesi di Rinaldini
Sostenuta da 207.097 voti espressi in migliaia di assemblee con gli operai, la tesi del segretario generale Fiom Gianni

Rinaldini si intitola «Valore e dignità al lavoro». Si presenta con l'80% dei consensi

 

E quella di Nencini
La tesi di minoranza, presentata dal segretario nazionale Fiom Riccardo Nencini, ha raccolto finora il 20% dei consensi. Ha per titolo «Le ragioni del sindacato» e guarda ai «riformisti»

 

Le voci dal palco
Ad aprire il congresso sarà oggi la relazione di Rinaldini. Seguiranno i segretari di Fim e Uilm Caprioli e Regazzi. Domani parlerà il segretario Cgil Epifani. E' previsto anche l'intervento di Gino Strada per Emergency
 

 

Così si passa dagli obiettivi ai risultati
Lo studio di Giovanni Cartosio sulla contrattazione dei metalmeccanici in Lombardia

CARLA CASALINI
Una contrattazione «consolidata e diffusa» si conferma in Lombardia, pur nel diminuire di dimensione delle aziende. Ma dal carattere mutato rispetto agli anni `70-'80, quando in azienda si contrattava tutto, salario, orario, formazione, si riusciva a intervenire sull'organizzazione del lavoro. All'origine del cambiamento l'accordo del 23 luglio con la delimitazione e «non sovrapposizione delle materie negoziali» tra contratto nazionale e contrattazione decentrata. «Così nelle imprese non emerge una progettualità rivendicativa generale del sindacato che parta dai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori e dall'analisi delle loro concrete condizioni di lavoro: è anche su questo che le aziende hanno operato per modificare a loro favore i rapporti di forza, spesso riuscendovi». E' il monito del segretario nazionale Fiom Tino Magni e del segretario lombardo Ermes Riva, nella prefazione alla ricerca di Giovanni Cartosio, presentata dal leader della Fiom Gianni Rinaldini, pubblicata a fine 2003 - e lo stesso Cartosio avverte che mentre scrive l'elaborazione e le riflessioni sulla contrattazione aziendale lombarda la situazione sta già peggiorando drasticamente: grazie agli accordi separati cui gli industriali inducono Fim e Uilm sul contratto nazionale - sottratti al voto dei lavoratori - grazie alle leggi berlusconiane, che allora si stanno avviando, che oggi vediamo completate in tutti i loro effetti distruttivi. Il valore prezioso di questa ricerca, avvertono i dirigenti sindacali, è nelle indicazioni che fornisce per il futuro a delegati e delegate, a tutto ilsindacato.

Non si può che confermare, leggendo la ricerca, corredata di puntuali tabelle, della viva voce dei delegati nei commenti sulle loro aziende, il giudizio sul lavoro appassionato, intelligente e tenace di Nino Cartosio: già per esempio dal paziente incrocio di dati nazionali metalmeccanici, dati Istat, e indagini locali come quelli della Fiom di Brescia su 10mila buste paga, per arrivare, tarandoli, alla individuazione di quanti straordinari si facciano nelle aziende lombarde. Obiettivo costante, toccare il dato vivo dell'agire concreto nella produzione, della condizione di donne e uomini al lavoro, delle loro aspirazioni, differenti convinzioni su se stessi e sul mondo, e relazioni di segno diverso intrecciate tra loro, con i delegati, il sindacato, l'azienda.

Dall'analisi sul «declino» dell'industria metalmeccanica in generale, per le scelte di disinvestimento dagli elementi di qualità, più che dai dati quantitativi - «si conferma settore decisivo per l'economia», con oltre il 40% degli addetti manifatturieri, producendo il 50% delle merci esportate dall'Italia - Cartosio stringe il fuoco sull'occupazione in Lombardia, e mette l'accento sulla precarietà: «le diverse esperienze di questi anni segnalano un'attenzione non corporativa e una reattività della Fiom di fronte alla precarizzazione». Ma emerge anche, viceversa, «un ritardo dei delegati, quindi della Fiom nel suo complesso, nell'intervento sui processi di frammnetazione dell'impresa, in difesa dei lavoratori `esterni'».

Sull'orario, il dato è la diffusione «ordinaria» - come dice un delegato - del lavoro straordinario. Certo, nota Cartosio, le retribuzioni sono basse, anche se la contrattazione lombarda le ha migliorate. Ma al nord scarseggiano le famiglie monoreddito, e spesso fanno straordinari lavoratori «ad alta professionalità, e retribuzione»: la molla spesso sono «i consumi che ritenevamo voluttuari, e che sono diventati primari perché decisivi a definire lo status sociale delle persone»; ma anche «la necessità di mostrarsi disponibili per un buon rapporto con i superiori». Ma non si può tacere neppure «la perdita di controllo sindacale sull'organizzazione del lavoro».

Scarso l'uso dell'orario flessibile plurisettimanale: per le maggiorazioni salariali inferiori a quelle per gli straordinari. Ma anche: «nei metalmeccanici prevale la difesa di una separazione chiara fra tempo del lavoro e altri tempi della vita». Così come la necessità di vederci chiaro pregiudica spesso il gradimento dei «premi di risultato» anche là dove i soldi arrivano. E i delegati sottolineano il «sospetto» su dati «forniti solo dalle aziende».


Le 167 fabbriche lombarde
La ricerca di Giovanni Cartosio ha coinvolto 167 imprese metalmeccaniche di tutti i comprensori, con 41.358 occupati nel 2002 (143 applicano il contratto Federmeccanica, 23 quello Unionmeccanica-Confapi e una, la Infostrada, il contratto Telecomunicazioni). Prevalgono nel campione le grandi aziende, ma significativa è la presenza delle minori: il 44% ha meno di 100 addetti, il 57% meno di 150 e il 70% è comunque sotto i 200. «Un lavoro collettivo»: coinvolte le strutture territoriali, i questionari e la discussione con i delegati sui risultati della contrattazione aziendale 1999-2001 (salario, mercato del lavoro, orario) sono il filo di questo approfondimento qualitativo dell'analisi della Fiom lombarda sui 987 accordi, per 122.478 lavoratori, firmati «e validati democraticamente» nel triennio.

INTERVISTA
Con la passione degli operai Polti

Ci cronometrano anche la pipì - spiega Alessandro, delegato Fiom di Cosenza - Presidiamo la fabbrica della Vaporella da una settimana, dopo il licenziamento ingiusto di tre iscritti al sindacato. Io avevo anche segnalato problemi di sicurezza, chiedevo una ispezione della Asl. L'azienda ci ha messi alla porta non appena sono stati comunicati i nomi delle Rsu, il sindacato evidentemente dà fastidio. Da cinque anni sosteniamo ritmi di lavoro insopportabili, molti si sono dovuti dimettere. Non toglieremo i presidi finché non avremo risultati concreti
ANTONIO SCIOTTO
Cronometrati mentre vanno al bagno, bombardati dalle sospensioni, licenziati perché fanno sindacato e chiedono una ispezione della Asl. Con i polsi piegati dai ritmi sempre più veloci, costretti a farsi la pipì addosso o in una bottiglietta di plastica - perché la postazione non si può lasciare per nessun motivo - confinati per punizione ai «quattro trapani», il temutissimo reparto degli operai-robot: in un minuto e dieci devi avvitare quattro differenti tipi di vite con altrettanti trapani diversi. «Hanno superato il segno, ci trattano come schiavi». La rivolta metalmeccanica non è scoppiata solo a Melfi: nell'ultima settimana, blocchi e presidi anche a Cosenza, nella piana del Savuto. Stop alla costruzione a occhi bassi di ferri da stiro Vaporella e aspirapolvere Ecologico, alla Polti vogliamo contare anche noi. Soprattutto, dopo l'incomprensibile licenziamento di due operai e di un delegato sindacale, iscritti alla Fiom. E' proprio Alessandro Altomare, Rsu Fiom e rappresentante della sicurezza, 26 anni, a raccontarci come è andata.

Come mai vi hanno licenziato?

La giustificazione è per «eccessivi costi aziendali», ma non vediamo come un'azienda, che per giunta ha i conti in attivo, possa utilmente risparmiare dal licenziamento di tre operai su un totale di 199 dipendenti. Piuttosto, ci ha fatto pensare un altro avvenimento: proprio nello stesso giorno in cui ci è stato detto che dovevamo fare le valigie - lunedì 24 maggio - ma solo qualche ora prima, era arrivata all'azienda la comunicazione ufficiale della mia elezione a Rsu e rappresentante della sicurezza. Sempre lunedì, avevo fatto circolare la raccolta di firme per richiedere un'ispezione della Asl nello stabilimento: sarebbe la prima in cinque anni, la Polti ha aperto a Cosenza nel 1999.

Avete problemi di sicurezza?

Molti operai soffrono di «tunnel carpale», un problema al polso dovuto ai ritmi di lavoro troppo sostenuti. Quando non reggono più, o si autolicenziano - come è accaduto in molti casi - o prendono permessi per malattia, ma senza che mai l'azienda abbia riconosciuto il problema. Anzi, i primi anni i ritmi erano più tollerabili, poi i dirigenti hanno cominciato a stringere, accorciando ogni volta di uno o due secondi. Sempre unilateralmente, senza mai discutere con noi: «Esigenze produttive - ci dicevano - dovete andare più veloci». Vorremmo poi che fosse controllata anche l'eventuale tossicità dei solventi che usiamo: magari ha ragione la Polti, a dirci che sono sicuri, ma noi preferiamo avere anche un parere esterno.

Mi sembra il minimo. Non c'è stato mai un dialogo interno?

Dialogo? Abbiamo capilinea che ci cronometrano quando andiamo in bagno. Un operaio ha dovuto resistere due ore, alla fine non ce l'ha fatta più: l'ha fatta un po' addosso e un po' in una bottiglietta di plastica. Avendo delle coliche, ha chiesto alla direzione di chiamare il 118: gli è stato negato e ha dovuto telefonare con il proprio cellulare. Un altro, dopo un'attesa altrettanto lunga, ha deciso di andare senza permesso: al ritorno ha ricevuto una sospensione di tre giorni dal lavoro e dallo stipendio per «abbandono del posto».

Alla faccia della Vaporella. Così avete deciso di fare sindacato.

Sì, fino a questo gennaio c'erano solo 20 iscritti Uil. Oggi siamo già 85 iscritti alla Fiom e un centinaio tra Cisl e Uil. Noi abbiamo avuto due delegati, loro uno. Il sindacato è entrato in fabbrica, e questo deve aver dato molto fastidio. All'indomani del licenziamento, abbiamo fatto un'assemblea ai cancelli e deciso i blocchi. Siamo tutti uniti, la media di età è intorno ai 26 anni, ma ci sono anche padri di famiglia. Proprio ieri l'azienda ha deciso di incontrarci: fino a quando non saremo riconosciuti alla pari non smobiliteremo.
 

Ecco come abbiamo vinto la lotta con Fincantieri
Una vertenza lunga 8 mesi. Vista da Pino Torraco, delegato del cantiere più grande, quello di Monfalcone

BEPPE MARCHETTI
La vertenza cominciò nella pancia di una nave. Una di quelle grandi, da crociera. Con un festoso nome inglese, Carnival Glory. Grandi sfarzi: piste da ballo, ristoranti, una piscina. E un teatro con 1.600 poltroncine. 27 giugno 2003, la Carnival Glory s'inaugura. A Monfalcone: Friuli profondo, quasi Slovenia. Un giorno di festa, con l'armatore, l'amministratore delegato di Fincantieri, persino il viceministro Urso. Tutti seduti in teatro, mentre dal palco magnificano l'azienda, la qualità delle sue navi, il suo futuro. Finché Pino non prende la parola. In Fincantieri non si lavora mica bene, dice. La paga è bassa, il lavoro pericoloso. Usa parole come «lotta», «pre-contratto», «diritti». Chiama i lavoratori «compagni». Pino di cognome fa Torraco, è un delegato della Fiom. Mette in scena il punto di vista dei lavoratori, davanti a tanto nobili spettatori. Conclude annunciando mobilitazioni per il pre-contratto. Tre giorni dopo, il 30 giugno, partono i primi scioperi. Monfalcone è lo stabilimento più grande di Fincantieri. Ci lavorano anche 5.000 persone, tra i dipendenti diretti (1.900) e quelli di ditte appaltatrici. Per giorni si blocca la produzione. Il 26 settembre una manifestazione a Trieste mette in fila 2.500 persone. I cantieri sempre fermi. «La risposta è stata grandiosa - dice Pino Torraco - perché c'erano problemi seri e condivisi». Per esempio la sicurezza. Ancora Pino: «Solo i minatori sono messi peggio di noi. Lavoriamo nei doppi fondi delle navi, 80 centimetri di altezza. O nelle sale macchine, alle prese con fumi velenosi. Per chi lavora nelle ditte d'appalto poi è ancor peggio: lì ci sono pochissime regole, nessun controllo». Risultato: più di mille infortuni nel 2003.

Poi c'è la questione del salario. Fincantieri va benissimo, macina utili. Il 26 settembre esce il bilancio semestrale: +12%. Il pre-contratto chiesto dalla Fiom (da sola) punta appunto a questo: «Abbiamo sempre detto ai lavoratori che la busta paga doveva migliorare». Ma non solo: «Volevamo cancellare anche la legge 30», dice Pino. «E per ottenere tutto questo l'unica via era quella del pre-contratto». Questo i lavoratori l'hanno capito subito. Operai, ma anche impiegati (a Monfalcone sono 450), hanno sempre sostenuto le proteste. «Anche se Fincantieri all'inizio sminuiva le nostre mobilitazioni. E anche qualche sindacato faceva finta di non vedere».

La svolta arriva a dicembre. La Fiom presenta una piattaforma per il pre-contratto, Fim e Uilm dicono no. Il 10 e l'11 c'è il referendum: il 95% di chi vota dà ragione alla Fiom. La fiducia dell'azienda s'incrina: accetta una trattativa riservata con la Fiom. Le proteste continuano: un'altra nave, la Principessa dei Caraibi, è bloccata a Monfalcone. Il clima è cambiato e lo si capisce anche alle elezioni delle rsu nel cantiere friulano. È il 19 marzo, la Fiom prende il 70%. Si torna a discutere, questa volta in modo unitario. Otto incontri tra l'azienda insieme alle tre sigle sindacali. Alla fine, è maggio, l'accordo sembra a portata di mano.

E invece il 20 maggio il tavolo salta. I sindacati non sono d'accordo su come gli aumenti figureranno in busta paga. L'azienda cerca di sfruttare l'impasse a suo vantaggio. È il momento più difficile. Pino ricorda: «Dopo mesi che lottavamo abbiamo preso `sto colpo. Mi aspettavo lavoratori demotivati. Invece che roba!». Perché la lotta riprende, a oltranza. Poi arriva un'altra nave.

Sempre a Pordenone. 26 maggio. C'è la prova a mare di una nave, con 950 lavoratori a bordo, che s'affannano ai rimorchiatori. Sotto la nave altri lavoratori, centinaia, che vogliono bloccare la prova. Si sciopera a turni: chi sta sulla nave, appena arriva il suo turno scende e si unisce a quelli che lottano. La nave resta dov'è. «L'azienda s'aspettava che facessimo qualcosa - dice Pino - ma non credeva che riuscissimo a bloccare la prova. Si sbagliava!». Si torna a discutere. Il 27 maggio c'è la firma. Pino era a Roma, racconta: «Ai cantieri i blocchi continuavano. Ho telefonato a Monfalcone per dare la notizia dell'accordo. Mi ha risposto un boato. Da vent'anni sto alla Fiom, un'emozione così non l'avevo mai provata».

CRONOLOGIA IN BREVE
7 maggio 2003. Fim e Uilm firmano il contratto nazionale. La Fiom non è d'accordo.

3 giugno: inizia la campagna Fiom per i pre-contratti.

27 giugno: inaugurazione di una nave a Monfalcone. Un delegato, Pino Torraco, spiega all'azienda le ragioni della campagna.

30 giugno: partono i primi scioperi: 5 ore a settimana.

23 luglio: si riunisce a Trieste il coordinamento nazionale della Fiom. Decisa una manifestazione nazionale il 26 settembre.

11 settembre: Fim e Fiom annunciano una piattaforma separata da quella Fiom.

17 settembre: alcune grandi aziende cominciano a firmare pre-contratti.

26 settembre: sciopero e manifestazione a Trieste. Cantieri paralizzati.

13 ottobre: prime ammissioni dell'azienda: gli scioperi ci fanno perdere molti soldi.

28 ottobre: Fincantieri chiede alla Fiom una trattativa a due.

9 dicembre: La Fiom unifica le due vertenze (pre-contratto e integrativo). Nei due giorni successivi, un referendum promuove la sua piattaforma.

22 gennaio 2004: si apre un tavolo unico, chiesto dall'azienda.

19 marzo: elezioni rsu. A Monfalcone vince la Fiom (70%).

20 maggio: dopo 8 incontri, rimossi tutti gli ostacoli, una proposta della Uilm fa saltare il tavolo. Altri scioperi.

24 maggio: sciopero a oltranza, navi bloccate.

27 maggio: a Roma riparte il confronto. Trattativa non-stop per un giorno e una notte. Alla fine c'è l'accordo.

 


RINNOVI
Chiuso il contratto della gomma-plastica

Un aumento medio dei minimi di 85 euro sulla categoria F, erogato in tre tranche: la prima, da giugno 2004, di 37 euro; la seconda, da gennaio 2005, di 33 euro; la terza, dal 1 luglio 2005, di 15 euro. A copertura dei cinque mesi di vacanza contrattuale - il contratto era scaduto alla fine del 2003 - sarà erogata con la retribuzione di giugno una «una tantum» di 150 euro eguale per tutti. «Inoltre una novità, non di poco conto - dice una nota dei sindacati - A partire dal dicembre 2005 ai lavoratori che svolgono turni di notte, oltre a quanto già previsto dal contratto, verranno aggiunti 3 euro in busta paga per ogni notte di lavoro prestata». Questo, in estrema sintesi, è quanto prevede l'ipotesi di accordo per il rinnovo quadriennale siglata ieri tra Assogomma e Fulc (federazione unitaria dei lavoratori di Filcem-Cgil, Femca-Cisl, Uilcem-Uil). Il contratto riguarda circa 130 mila lavoratori addetti in oltre 2500 aziende, tra cui Pirelli, Bridgestone, Michelin.