il manifesto 02 giugno 2004

Stra-congresso al via
Si apre domani a Livorno l'assise Fiom. Dopo Melfi e con Montezemolo cosa cambia?

MANUELA CARTOSIO
Tecnicamente è un congresso «ordinario anticipato» quello che la Fiom tiene da domani a sabato a Livorno. Indetto lo scorso autunno per rompere l'assedio e l'isolamento dopo due contratti nazionali separati, è diventato in corso d'opera il congresso se non della rivincita, del rilancio. I fatti, la lotta di Melfi innanzi tutto, hanno dato ragione alla Fiom. Sul punto cruciale della democrazia - gli accordi devono essere sottoposti al voto di tutti i lavoratori - la Fim ha dovuto abbassare le ali. Altrettanto è successo nella vertenza Fincantieri. «Riconquistare il contratto» - l'ultimo obiettivo fissato da Claudio Sabattini prima di morire - non sembra più una missione tanto nobile quanto impossibile. Sul versante della Confindustria, la svolta soft di Montezemolo intende rinverdire la concertazione. La Fiom, a stragrande maggioranza, ritiene che quell'albero in passato ha dato frutti avvelenati per i lavoratori e dubita possa darne in futuro di migliori. Il modo d'intendere la «politica dei redditi», vero discrimine tra le due mozioni congressuali firmate da Rinaldini e da Nencini, sarà il cuore delle assise di Livorno perché da qui discende il rapporto tra Fiom e Cgil. La novità Montezemolo saggerà la tenuta della Fiom. Per dirla con Giorgio Cremaschi, che ha il dono della sintesi, «non sarà un congresso straordinario ma uno straordinario congresso». D'Amato ha tolto il disturbo, resta da cacciare Berlusconi, «ma non per tornare alla politica di prima», quella del centro sinistra fatta di salari in caduta libera e precarietà.

Al congresso partecipano 733 delegati eletti in 110 congressi territoriali e 20 regionali. L'iter congressuale ha coinvolto 207 mila dei 367 mila iscritti alla Fiom (il 15% in più rispetto a due anni fa). La mozione «Valore e dignità del lavoro» della maggioranza di centro-sinistra ha ottenuto quasi l'82% dei voti. Il restante 18% è andato alla mozione «Le ragioni del sindacato», firmata da Riccardo Nencini, che non è «un destro» nel senso classico del termine, e supportata da alcuni esponenti cofferatiani della Cgil. La mozione di minoranza ha vinto il congresso regionale in Liguria (per un soffio) e quelli provinciali di Roma, Terni, Firenze, Bari, Varese, Pavia, Brianza. Oltre che sulla politica dei redditi, il documento di minoranza batte sulla ricerca dell'unità con Fim e Uilm. Nello scenario dello scorso autunno, la mozione Nencini interloquiva con i «riformisti» della Cgil. Melfi ha mandato a gambe all'aria l'operazione, l'unità si è fatta «sul campo» e Pezzotta, all'assemblea della Cgil di Chianciano, ha scoperto «la convergenza delle pluralità». A Livorno Nencini non ritirerà la sua mozione ma non costituirà una «corrente» organizzata. Il congresso si chiuderà con un documento programmatico unitario.

Il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini ufficializzerà a Livorno l'apertura a Fim e Uilm anticipata a Chianciano. Chiederà a Caprioli e a Regazzi, che interverranno subito dopo la sua relazione, l'impegno a sottoporre tutti gli accordi al referendum di mandato. Un sì è la condizione indispensabile per ricominciare a parlarsi. Rinaldini sa bene, però, che gli accordi separati esistono «perché la controparte li vuole fare». E dunque la novità Montezemolo andrà «provata» da Federmeccanica al prossimo rinnovo contrattuale.

Rinaldini uscirà dal congresso più forte di quanto c'è entrato. Grazie a Melfi (di nuovo), lui che si portava appresso l'etichetta di «sindacalista d'allevamento», senza esperienza nell'industria, ha dimostrato d'essere capace di guidare e vincere una vertenza contro la Fiat. Gli resta da dimostrare d'essere capace di governare un'organizzazione composita e gelosa della propria autonomia come la Fiom. Il punto d'equilibrio segnerà il rapporto tra il «quarto sindacato» e la Cgil. Rinaldini da solo, senza la sinistra di «Cambiare rotta», riuscirà ad avere il 51%? E' questa l'unica curiosità numerica dell'appuntamento livornese. Curiosità piuttosto accademica nell'immediato. L'iter congressuale ha cementato una maggioranza vera, che condivide le scelte di fondo su salario, conflitto, precarietà. L'eventuale autosufficienza di Rinaldini potrebbe avere un peso in futuro, nei due anni da qui al prossimo congresso della Cgil.

A Epifani, che interverrà venerdì, Rinaldini chiederà - tanto per cambiare - di non lasciare sola la Fiom. Ma non lo farà con il cappello in mano. Dalla sua ha la coerenza che finalmente ha pagato. Dirà che molti accordi di categoria firmati recentemente (tessili, artigianato, autoferrotranvieri) anche dalla Cgil non superano l'esame finestra, non rispettano gli impegni assunti a Rimini nell'ultimo congresso. Con l'ambizione, stavolta, d'essere qualcosa di più della coscienza critica della Cgil.

Fiat, il primo giorno di Marchionne
«Ecco a voi la squadra» Luca Cordero di Montezemolo presenta il nuovo amministratore delegato e i manager. John Elkann: «Morchio? Avevamo un'idea diversa della governance»

BRUNO PERINI
INVIATO A TORINO
Le strategie della Fiat su Rcs? «No comment». L'ingresso delle banche nell'azionariato della Fiat? «No comment. Posso dire soltanto che io ho la fortuna di avere rapporti con tutti i più importanti banchieri e come già emerso ieri dalle banche è arrivato un totale sostegno all'azienda». «Il mio ruolo? Il responsabile operativo del gruppo è Sergio Marchionne. Il mio compito è rappresentare la proprietà. «Giuseppe Morchio? Mi dispiace per la decisione che ha preso. Non entro nel merito della sua scelta, ma dico che per molti aspetti non l'ho capita». Nel giorno del grande battesimo di fronte alla stampa Luca Cordero Montezemolo è frizzante come al solito, charme come il suo fondo d'investimento, ma «al primo giorno di scuola» preferisce non toccare i temi più delicati che lo attendono al varco nelle prossime settimane, si limita a fare le presentazioni di Sergio Marchionne e John Elkann, pregando i giornalisti di rinviare i dettagli al prossimo incontro. La battuta più feroce nei confronti dell'ex amministratore delegato della Fiat la lascia al giovane Elkann, che indirettamente conferma l'ipotesi di manovre finanziarie attorno al gruppo messe in atto da Morchio. «Mi dispiace - ha detto Elkann - che Giuseppe Morchio abbia deciso di lasciare ma avevamo una diversa concezione della corporate governance».

I dettagli su cui i nuovi vertici Fiat preferiscono non rispondere al primo incontro con i giornalisti sono naturalmente il futuro assetto proprietario della Fiat e la riuscita del piano industriale, ma il neo presidente insiste. «Oggi siamo qui per presentare il nuovo amministratore delegato. Dateci tempo di guardare le cose poi ne parliamo». Un minuto di silenzio per ricordare Umberto Agnelli, un quarto d'ora di botta e risposta su temi marginali e poi via all'Unione Industriali di Torino.

Dopo i primi momenti di euforia Montezemolo deve aver capito di essersi infilato in un'impresa difficilissima, che probabilmente non avrebbe accettato se non avesse avuto al suo fianco un manager di provata esperienza industriale e finanziaria come Marchionne. Le sue parole lo fanno capire: «La presidenzadi Confindustria me la sono cercata, la presidenza della Fiat no. Non me lo sarei mai aspettato. E' un compito molto gravoso che è giunto in un momento che è il meno opportuno per i miei impegni professionali e famigliari , ma ogni tanto nella vita si deve fare qualcosa per spirito di servizio. Alla famiglia Agnelli non potevo dire di no. Mi auguro con tutto il cuore di proseguire sull'esempio di Umberto Agnelli e nel piano industriale concordato con il Governo... La mia nomina a presidente di Fiat non è una decisione delle banche né del mondo della finanza ma è una decisione presa dagli azionisti. Il mio ruolo, la mia missione saranno di continuare l'opera di Umberto Agnell».

Il neo presidente fa capire chiaramente che anche Sergio Marchionne è stata una scelta di Umberto Agnelli: «Quando la prima volta ho letto il suo nome nel consiglio d'amministrazione ho chiesto a Umberto: `E questo chi è?' Lui mi ha risposto: «Ma come è un bravissimo manager».

Sul cumulo delle cariche, Montezemolo anticipa le domande: «Ora sono presidente della Fiat ma resterò anche presidente della Ferrari perchè quella è la mia vita».

Neppure il nuovo amministratore delegato della Fiat è stato di tante parole. «Sono stato nominato da circa due ore e per ora posso dirvi che abbiamo intenzione di completare il piano di rilancio. Marchionne ha detto che i rapporti con Gm sono «ovviamente» una priorità e ha aggiunto che non è stata ancora presa una decisione su chi sostituirà Umberto Agnelli in Mediobanca.

INDUSTRIA
Grandi imprese 17 mila in meno

Continua il calo a picco delle grandi imprese: in marzo, secondo l'Istat, l'occupazione è scesa in termini tendenziali dello 0,9% (al lordo della cig, di 1,3% al netto). Considerando gli occupati del settore, circa 2.041.000 unità, si sono persi circa 17 mila posti di lavoro. In particolare, nell'industria si registra una flessione di circa 23 mila postazioni, mentre nei servizi c'è un aumento di 6 mila unità. «Serve una diversa strategia industriale, che manca da troppo tempo - commenta Carla Cantone, segretaria confederale Cgil - Il governo non ha idee, ma con Confindustria si deve aprire un nuovo capitolo, come Montezemolo ha auspicato». Per il sottosegretario al welfare Sacconi, «i dati tetimoniano un cambiamento nei modelli organizzativi: si localizzano le produzioni in mercati di nuova espansione, si esternalizzano le funzioni complementari al core business, appaltandole ad operatori specializzati». Insomma, legge 30 a tutto spiano.
 
LAVORO
Gli operai Finmek si fermano 4 ore

Le segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm, al fine di sollecitare tutte le parti in campo a un incisivo e immediato impegno, hanno proclamato ieri 4 ore di sciopero per il gruppo Finmek, da tenersi giovedì 3 giugno con l'effettuazione di iniziative locali in tutti i territori. «Il mancato pagamento degli stipendi, non rispettando gli impegni assunti, mette in difficoltà migliaia di lavoratori e le loro famiglie», scrivono i sindacati. Fim, Fiom e Uilm chiedono alla presidenza del consiglio e al governo di intervenire immediatamente sul commissario e sul sistema bancario per determinare le condizioni per il rilancio del gruppo dopo l'applicazione della legge Marzano.
 
SANITA'
Stop dei medici contro il governo

«Uniti nella distinzione». Così Serafino Zucchelli, presidente dell'Anaao Assomed, definisce il cartello dei 42 sindacati medici in agitazione da oltre sei mesi, alla vigilia degli scioperi di domani e venerdì. Domani si asterranno dal lavoro per 24 ore i dipendenti del Ssn, mentre venerdì sarà la volta dei convenzionati e saranno garantite solo le emergenze. «Siamo uniti negli obiettivi, ma divisi sugli strumenti», affermano un po' tutte le sigle. Rimane condivisa sia la preoccupazione di una devolution selvaggia, che rischia di portare alla frammentazione della sanità, sia sul sottofinanziamento della sanità, che compromette i livelli essenziali di assistenza. I contratti sono scaduti da due anni per i dipendenti diretti e da tre per i convenzionati. In piazza Anaao Assomed, Civemp, Fesmed, Fp Cgil medici e Umsped. Hanno invece sospeso la protesta Anpo, Aupi, Cimo-asmd, Cisl e Uil medici, Federsanità. La spaccatura nasce dall'«apertura» mostrata, secondo alcuni, dal ministro Sirchia, che lunedì scorso ha incontrato i sindacati. (laura genga)

COSENZA
I giovani della Polti in sciopero a oltranza

Primo risultato della lotta a oltranza dei 199 dipendenti della Polti di Figline Vegliaturo, nel distretto del Savuto (Cosenza): l'azienda ha accettato di incontrare i rappresentanti dei lavoratori e discutere le loro richieste. L'incontro avverrà domani nel capoluogo calabrese, alla presenza di un funzionario del ministero delle attività produttive. A convincere la Polti, il riuscitissimo blocco della Salerno-Reggio all'altezza di Rogliano. «Bene l'incontro - dice Mario Sinopoli, segretario regionale Fiom - ma la pregiudiziale perché i lavoratori rientrino in fabbrica è l'immediato reintegro degli operai licenziati». Lo sciopero a oltranza va avanti da martedì scorso, con blocco totale della produzione, a causa del licenziamento di due operai e un delegato sindacale - tutti Fiom - proprio nel giorno della comunicazione ufficiale delle elezioni della Rsu. «Dopo il reintegro, puntiamo a discutere tutti i punti della piattaforma - continua Sinopoli - Il pieno riconoscimento delle Rsu, il piano industriale, l'organizzazione del lavoro e il rispetto della 626». Lo sciopero della Polti ricorda la vertenza di Melfi: operai giovani - media di età sui 24 anni - oppressi per anni dalle punizioni, zero dialogo da parte del management che ha usufruito nel '99 di ingenti finanziamenti della 488. Adesso si è diffusa una coscienza sindacale, e via ai blocchi e ai presidi. «Non è una vertenza "lugubre", pesante, come forse qualcuno può pensare - conclude Sinopoli - I ragazzi sono combattivi, ma c'è anche un'atmosfera di festa, cantano e suonano la chitarra. Una lotta bella, fatta con la passione dei vent'anni».
 

MELFI
Anche l'indotto sigla l'intesa Più certezza sui posti di lavoro

Firma anche per i 3200 operai dell'indotto della Sata di Melfi. Il protocollo di intesa è stato firmato a Roma dall'Acm - consorzio che associa le 23 aziende di componentistica - e Fim, Fiom, Uilm e Fismic. Dopo la chiusura per i 5 mila dipendenti della casa madre, la questione dell'indotto restava aperta soprattutto a causa della pesante crisi occupazionale che minacciava i lavoratori: ben 400 nell'ultimo anno erano finiti in cassa integrazione, e non sembrava esserci alcuno spiraglio, soprattutto per l'assenza di piani industriali credibili da parte degli sfuggentissimi dirigenti Acm. L'intesa, già votata e approvata con larga maggioranza negli stessi giorni del referendum della Sata, prevede praticamente gli stessi punti dell'accordo Fiat (105 euro di aumento entro due anni, quattordicesima, miglioramento delle condizioni di lavoro). Niente eliminazione della doppia battuta, semplicemente perché nell'indotto non c'era, ma la garanzia della cosiddetta «mobilità orizzontale»: ovvero, gli eventuali esuberi di un'azienda verranno assorbiti dalle altre. Stop alla cassa integrazione, dunque, e tutte le imprese dovranno presentare il proprio piano industriale entro il 31 dicembre (quelle in crisi entro il 21 luglio). «I lavoratori della Sata e dell'indotto hanno lottato insieme e adesso si raccoglie un nuovo risultato importante», ha commentato Giuseppe Cillis, segretario regionale della Fiom

 

ASTI
Prima vittoria Dierre: accordo sull'aumento

Operai-Dierre, uno a zero. E' solo il primo round, ma decisivo. Come alla Polti di Cosenza, nell'azienda di Villanova D'Asti lo sciopero a oltranza è iniziato martedì 25 maggio, ma gli operai sono tornati al lavoro già da lunedì pomeriggio: hanno infatti ottenuto 500 euro fissi di aumento più un euro al giorno come premio di risultato. «Entro i prossimi 15 giorni, dobbiamo definire i parametri per arrivare a 1000 euro di variabile e regolare gli aspetti normativi, soprattutto rispetto ai diritti e alla precarietà», spiega Liviana Guariento, della Fiom di Asti. «Quello che abbiamo ottenuto - continua la sindacalista - è particolarmente importante: la Dierre, azienda che costruisce casseforti, serrature e porte blindate, con i suoi 800 operai è la più grande azienda italiana aderente alla Confapi. Si sono rotti due principi difesi dalle imprese: il fatto che non debba esserci un premio fisso, e che sia tutto variabile; che il fisso non debba essere mensile. Fino all'anno scorso gli operai ricevevano solo due-trecento euro a fine anno, per concessione liberale dell'azienda». Centrale la lotta alla precarietà: «Puntiamo a normare l'uso degli interinali e dei contratti a termine, da riequilibrare sui 4 stabilimenti - spiega Guariento - Inoltre, abbiamo una serie di ipotesi per la trasformazione dei rapporti precari in lavoro fisso». La lotta della Dierre si è incrociata con lo sciopero per il premio di risultato dei 210 operai della Cornaglia, oltre a ricevere tanta solidarietà dalla cittadinanza. La piattaforma è stata redatta da Fim, Fiom e Uilm e approvata dai lavoratori. Anche l'intesa verrà sottoposta al voto

 

Amianto Breda, tutti assolti
Pistoia, i vertici aziendali assolti per la morte di 17 operai
Per i giudici i dirigenti della Breda «non potevano sapere». Il silenzio amaro dei parenti delle vittime. Le lacrime del pm

FEDERICO SALLUSTI
«Come Porto Marghera, queste sentenze ci dicono come vengono cancellate le responsabilità delle aziende». E' il commento di Valter Bartolini, ex lavoratore della Breda e sindacalista Cgil che si era occupato della vicenda. Uno schiaffo alla memoria dei lavoratori morti lo ha dato ieri a Pistoia il giudice unico Alessandro Bazzegoli, che ha pronunciato la sentenza di assoluzione per quattro ex dirigenti della Breda. L'accusa era quella di omicidio colposo plurimo, relativo alla morte per tumore di 17 dipendenti, che erano stati esposti per anni all'amianto. Le motivazioni della sentenza saranno note fra novanta giorni, ma trapela l'accoglimento dell'articolo 530 relativo all'impossibilità di provare la colpevolezza. Come per Porto Marghera, quindi, passa il concetto del «non potevano sapere». La linea della difesa è infatti stata impostata sull'impossibilità di riconoscere le responsabilità individuali degli imputati, due dei quali non ricoprivano ruoli dirigenziali nel periodo preso in esame. L'accusa, da parte sua, poteva contare su una sentenza del pretore, passata in giudicato, che riconosceva ai lavoratori della Breda di Pistoia l'esposizione all'amianto fino al 1985. Altro particolare è che, già nel 1977, le Ferrovie dello stato avevano comunicato alle aziende che producevano carrozze la pericolosità dell'amianto, poi vietato a partire dal 1992.

La sentenza non ha quindi tenuto conto di questo, come non ha tenuto conto della stretta relazione fra le morti e l'esposizione all'agente cancerogeno. Nel corso del processo sono state condotte decine di autopsie sui corpi dei lavoratori deceduti e sono state rimarcate le condizioni di scarsa sicurezza in cui i dipendenti della Breda lavoravano. Nulla però è valso a sollevare il velo che in Italia copre a tutti i costi le responsabilità delle aziende di fronte alla salute, e purtroppo sovente alla morte, dei propri dipendenti.

«E' una sentenza diseducativa a livello sociale - dice ancora Bartolini - che rafforza la percezione, purtroppo comune, che le malattie professionali siano una fatalità, inevitabile quanto casuale».

Non casuale, ma fatale sicuramente, è stato il destino di quelli che hanno dovuto misurarsi con la morte dei propri cari. Ieri, in aula, la sentenza è stata accolta dal mutismo spettrale dei parenti delle vittime. Nessuno, nonostante l'amarezza, ha voluto rilasciare dichiarazioni, lasciando al silenzio il compito di manifestare la disperazione e il dissenso verso un'ingiustizia. L'unica eco alle parole del giudice sono state le lacrime sommesse del pubblico ministero Jacqueline Monica Magi, che ha seguito le indagini e rappresentato l'accusa. La sua rabbia è esplosa poi fuori dal tribunale: «Questa sentenza non chiude tutto - ha detto - presenterò appello».

In un paese dove gli esposti per le morti sul lavoro vengono archiviate in tutta fretta e facilità, pare già un successo essere arrivati ad una sentenza, per quanto negativa. «A noi non resta altro che gestire i funerali» ha detto con amarezza Marco Vittori, pure lui Cgil. La fievole speranza è che non sia così.