IL MANIFESTO 1 GIUGNO 2004
Senza
governo
GALAPAGOS
Antonio Fazio ha «scaricato» il governo. A pochi giorni
dall'assemblea della Confindustria che ha preso le distanze da Berlusconi, il
governatore, ha sbattuto la porta in faccia all'esecutivo. Le critiche di Fazio
non lasciano spazi per un ripensamento: in tre anni si è passati
dall'evocazione del «nuovo miracolo economico possibile» a una critica
puntigliosa dell'operato del governo. Certo, Bankitalia annuncia che nel 2004 il
pil potrebbe crescere dell'1%, che le imprese sono un po' meno pessimiste e
hanno ripreso a investire. Ma le «buone» notizie si fermano qui. Tutto il
resto è una analisi puntuale dei fallimenti della politica economica. Rischiosa
perfino la legge Biagi: in assenza di sviluppo potrebbe trasformarsi in una «trappolone»
per i lavoratori flessibilizzati. Quella delineata da Fazio è l'immagine di un
paese in declino. Sembrava di sentir parlare la Cgil: la produttività che
decresce, le esportazioni che crollano (solo il 3% della quota mondiale rispetto
al 4,5% di pochi anni fa). L'Italia ormai è esportatrice solo di prodotti
maturi ma con sul collo il fiato dei paesi in via di sviluppo. Manca la
tecnologia, la ricerca è assente.
Poi i conti pubblici: un disastro. A fine anno il deficit potrebbe raggiungere
il 3,5% del pil. Nel prossimo anno il 4%. Il tutto non per scelta, ma per
lassismo. Risultato: serve una manovra correttiva. E mancano (o vanno a rilento)
gli investimenti in infrastrutture, mentre l'occupazione, che pure seguita a
crescere, è lavoro di sussistenza, a basso valore aggiunto. Lo dimostra
l'enorme numero di imprese con un solo dipendente-imprenditore nate in questi
anni.
«Compito prioritario della politica economica nell'attuale difficile contesto -
spiega il governatore - è il contenimento del volume di risorse assorbito dal
settore pubblico»: contenimento significa realizzare dei surplus per far
crescere l'avanzo primario (crollato al 2,2%, contro il 5,2% ereditato del
centro sinistra) perché solo così si riuscirà a intaccare la mole del debito
che incombe sui conti pubblici sotto forma di spesa per interessi destinati a
aumentare con il prossimo aumento dei tassi. Insomma, spazi per ridurre la
pressione fiscale, sono «pochini». Poi un altro attacco al governo: il
prossimo Dpef deve essere finalizzato al risanamento e concordato con le parti
sociali che sono state abolite dal lessico e dalla pratica del governo.
Sul ruolo della banca centrale per la questione della difesa del risparmio Fazio
si è difeso e attaccato giocando di rimessa. Ha riferito degli elogi ricevuti
al suo operato e alla struttura dalle banca dalla Bce e dal Fmi. Poi ha tirato
un po' le orecchie alle banche. Debbono imparare a spiegare bene i rischi
dell'investimento ai risparmiatori: solo così si eviteranno altri casi
Parmalat. Il sistema bancario (al centro della relazione per la capacità
propulsiva e il nuovo ruolo che può assumere per lo sviluppo) si è detto
d'accordo. Di più: il presidente di Banca Intesa, Bazoli, parlando a nome dei
«signori partecipanti» non ha esitato a denunciare i rischi «di ingerenza
della politica» insiti nella legge sul risparmio del governo.
Nel 2000 il governatore «salutò» il centro-sinistra con una relazione
durissima. Nel 2001 l'esaltazione di Berlusconi. Oggi la conferma di una nuova
svolta con «Considerazioni finali» politicamente di centro, da conservatore
illuminato, anche se di questi tempi descrivere relisticamente la situazione può
apparire «rivoluzionario». La sinistra ha apprezzato le parole di Fazio, ma
deve stare attenta a non bruciarsi: il governatore può essere un «compagno di
strada», nulla più. E non solo per l'insistenza con la quale ha riproposto il
«completamento» della riforma delle pensioni o quella sanitaria. Accontentarsi
può essere grave anche per gli esiti elettorali di qui a dieci giorni.
Il
giorno della corona
Oggi il cda della Fiat battezza i nuovi vertici:
presidente Luca Cordero di Montezemolo, amministratore delegato Sergio
Marchionne. Le banche plaudono ma si preparano a spulciare i conti
Il nuovo vertice della Fiat Il neo presidente Luca Cordero di Montezemolo e
(sotto) il vice John Elkann
BRUNO PERINI
Aquattro giorni dalla morte di Umberto Agnelli si celebra
oggi a Torino la grande svolta: il consiglio d'amministrazione della Fiat
incoronerà Luca Cordero di Montezemolo, presidente del gruppo automobilistico e
il manager italo-canadese Sergio Marchionne amministratore delegato al posto di
Giuseppe Morchio, uscito di scena alla velocità di un fulmine. La vice
presidenza sarà assunta da John Elkann, numero due del gruppo. Per la Fiat è
di nuovo discontinuità di gestione, un problema che preoccupa soprattutto la
comunità degli affari. Per Montezemolo è un'orgia del potere, l'ultimo passo
di una irresistibile ascesa che nel giro di poche ore lo ha trasformato in uno
degli uomini più importanti del nostro paese, il numero uno di un centro di
potere in crescita che vede come esponenti di spicco Marco Tronchetti Provera,
Diego Della Valle, il gruppo Merloni, il banchiere Alessandro Profumo e altri
esponenti della borghesia industriale italiana che vuole contare di più e
prendere le distanze in qualche modo dal governo Berlusconi. Anche dal punto di
vista personale il quadro su Montezemolo è presto fatto: alla presidenza della
Federazione Italiana degli Editori e della Ferrari nel giro di poche ore si sono
aggiunte le poltrone di presidente della Confindustria e di presidente della
Fiat. Un potere che in termini mediatici porta al controllo diretto e indiretto
di 3 quotidiani: la Stampa, il Sole 24 ore e il Corriere della Sera. Insomma,
roba da suscitare l'invidia di Silvio Berlusconi.
Il nome di Sergio Marchionne, invece, è uscito dopo un turbinio di
indiscrezioni sui possibili successori di Giuseppe Morchio, il manager che con
le sue mire espansionistiche deve aver provocato più di una preoccupazione
nella famiglia Agnelli. Si dice, infatti che Morchio avesse come minimo
l'ambizione di prendersi anche la presidenza e come massimo l'ipotesi di un
operazione di acquisto della Fiat, attraverso le banche. Un operazione di leveraged,
ovvero di scalata dall'interno, che non deve essere piaciuta tanto agli
azionisti. E' per questo, si mormora negli ambienti bancari, che il nome di
Marchionne sarebbe stato indicato addirittura da Umberto Agnelli prima di
morire.
Per Montezemolo c'è stato un vero e proprio tripudio negli ambienti politici e
finanziari. Dalle banche creditrici a Bankitalia, dal centro sinistra alla lista
Di Pietro-Occhetto fino al presidente del consiglio, che gioco forza ha ingoiato
il rospo, tutti hanno accolto il suo arrivo ai vertici della Fiat come una
svolta, in continuità con la gestione degli Agnelli. All'assemblea di
Bankitalia, Marco Tronchetti Provera si è spinto fino al punto di vedere
un'identità di vedute programmatiche tra il governatore della Banca d'Italia,
Antonio Fazio e il nuovo presidente di Confindustria e Fiat. Un'osanna che ha
avuto come eccezioni soltanto Luigi Lucchini e la Deutsche Bank, che ha accolto
con forte scetticismo le dimissioni di Morchio.
Più caute le dichiarazioni sul nuovo arrivato alla poltrona di amministratore
delegato. Di Sergio Marchionne si dice che sia l'uomo giusto al posto giusto e
nel momento giusto. L'identikit del nuovo amministratore delegato della Fiat
conferma questa definizione, essendo la sua formazione particolarmente
funzionale ai problemi di gestione che la Fiat dovrà affrontare per uscire dal
tunnel dell'indebitamento e del controllo dei costi. Avvocato e dottore
commercialista, laureato a Toronto, può vantare esperienze sia nel settore
finanziario sia in quello industriale. Dopo essere stato chief Financial Officer
di importanti aziende canadesi e internazionali negli ultimi anni Marchionne è
stato amministratore delegato della SGS, la società leader mondiale nei servizi
di ispezione, verifica e certificazione. Un impegno quello relativo alle attività
di verifica della SGS che richiede quindi forti competenze dei meccanismi
industriali e sui livelli qualitativi di produzione. Naturalmente, come è
avvenuto per i suoi predecessori, la sua formazione, per quanto all'altezza
della situazione, si dovrà misurare con la cruda realtà di una crisi
industriale tutt'altro che superata, con un indebitamento che al di là delle
dichiarazioni di impegno, preoccupa il sistema bancario e con un gruppo che ogni
anno e mezzo subisce comunque una rottura nella gestione aziendale.
Dal miracolo
all'incubo
Il governatore della Banca d'Italia attacca il governo e
le sue promesse: il deficit rompe gli argini, sarà necessaria una manovra-bis,
nessuna riduzione delle tasse se non si tagliano le spese, e tanto. Le cifre del
declino economico italiano e la conferma del declino delle amicizie
berlusconiane
ROBERTA CARLINI
ROMA
Antonio Fazio entra a braccetto con Francesco Cossiga. I 10 minuti di ritardo e
l'inconsueto compagno incuriosiscono i più, tra i gessati e i tailleur del dì
di festa di via Nazionale, che si chiedono cosa diavolo ci faccia a fianco del
governatore della Banca d'Italia uno dei suoi accusatori storici. Pare che lo
strappo al protocollo sia stato improvvisato dall'ex-presidente che si è
autonominato e imposto accompagnatore del governatore. Il piccolo brivido
rientra, tutti seduti e composti, via alle Considerazioni finali anno 2004: un
elenco - anzi, uno stillicidio - dei mali che hanno messo in ginocchio
l'economia italiana, una difesa dell'operato del sistema bancario e della Banca
d'Italia, un altolà al governo sulla riduzione delle tasse, l'annuncio di
un'imminente manovra-bis. Alla vigilia delle elezioni europee, il definitivo
distacco del governatore della Banca d'Italia dal governo di Berlusconi.
Declino in corso
All'altro presidente - quello che domani assisterà dal palco più alto
all'esibizione della produttivissima industria delle armi - il termine «declino»
non piace, ma è difficile trovare un'altra parola per descrivere la situazione
che Bankitalia mette nero su bianco. Le note sono dolenti per tutti, a partire
dall'anno 2000 nel quale si è fermata la lunga crescita legata ai settori ad
alta tecnologia e alla relativa bolla speculativa: a retromarcia già innestata,
è arrivato l'11 settembre, e poi nel 2002 si è vista la guerra all'Iraq
all'orizzonte. Tutti eventi-choc, contrastati solo negli Stati uniti da una
ripresina derivante da quella che Bankitalia definisce «una politica di stampo
keynesiano»: politica della domanda pubblica - soprattutto nel settore della
difesa, possiamo aggiungere - che ha gonfiato i due deficit «gemelli»,
pubblico ed estero, ma ha risollevato un po' l'economia. Risultato: una crescita
del 2004 che negli Usa sta sul 4,5%. Quanto agli altri, ci sono i soliti
sprinter asiatici con un più 7% (trainati da India e Cina), il Giappone con un
buon 4%, mentre l'area dell'euro arranca con un più 1,5%. E questo risultato
viene da una media: va così così la Francia, meglio la Gran Bretagna,
malissimo la Germania e l'Italia.
Veniamo a noi. Le cifre elencate con metodica monotonia da Fazio sono il
bollettino di una disfatta. L'Italia è sotto la media europea, con uno sviluppo
dell'1,5% all'anno negli ultimi cinque anni. Negli stessi anni la produzione
industriale è aumentata solo dello 0,9% (in tutto). Gli investimenti
industriali negli ultimi due anni sono diminuiti di oltre 5 punti percentuali.
Le esportazioni di beni e servizi si sono ridotte in quantità del 3,4%
nel 2002 e del 3,9% nel 2003. La quota di prodotti italiani sul commercio
mondiale a prezzi costanti è scesa dal 4,5% del `95, al 3,9 nel `98, al 3% nel
2003: una quota tutta concentrata «in settori tradizionali e di lusso»:
scarpe, vestiti e Ferrari, insomma. Sono cifre che danno l'idea di quello che
eufemisticamente la Banca d'Italia chiama «debolezza del sistema economico».
In questo contesto, dice più avanti il governatore, il fatto che l'occupazione
non sia crollata - anzi sia aumentata - lo si deve solo alla «moderazione
salariale» e alla aumentata flessibilità del lavoro. Insomma, ai piani bassi
del lavoro dipendente ci si è spartiti la fetta rimpicciolita della torta,
mentre «la redditività delle imprese è rimasta, in media, soddisfacente».
L'allarme sul deficit
Questo il quadro. All'interno del quale la Banca d'Italia non vede in atto
alcuna linea di politica economia in grado far invertire la rotta. Anzi. Le
ultime due paginette delle Considerazioni finali - quelle che contengono la
summa politica del messaggio - sono tutte dedicate alla sconfessione della linea
che il governo Berlusconi sta seguendo: minimizzare il problema, promettere la
soluzione nella solita riduzione delle tasse. Benché lo stesso governatore
avesse in passato propugnato tale soluzione, adesso scrive di suo pugno: «Un
abbassamento della pressione fiscale deve trovare fondamento in una riduzione
delle spese correnti in rapporto al prodotto interno lordo». Figuriamoci. Con
il deficit che già - scrive e recita lo stesso Fazio - quest'anno salirà al
3,5% del prodotto e nel 2005 «in assenza di correzioni» supererà il 4%,
intervenire a recuperare quattrini per invertire la rotta - con una «manovra
bis», che il governatore di fatto annuncia irritando non poco l'esecutivo - e
finanziare anche la riforma fiscale è una missione impossibile.
Antonio Fazio strappa dunque i sogni di carta dei cartelloni 6 per 3, quelli con
la faccia di Berlusconi e il simbolo di Forza Italia; ma non dà granché da
sognare e nessun altro, quando pone come premessa rigida, quasi come legge
dell'economia, la seguente affermazione: «compito prioritario della politica
economica, nell'attuale difficile contesto, è il contenimento del volume delle
risorse assorbite dal settore pubblico». Un'ulteriore manovra deflattiva, ossia
che va a ridurre la domanda, il carburante per l'economia; che il governatore -
che non è mai stato un euroentusiasta - motiva sulla base dell'osservanza
rigida dei criteri del patto di stabilità.
Parmalat e dintorni
Gli scandali finanziari, infine. Il governatore ne parla a metà del suo
discorso, per difendere l'operato delle banche e dunque della Vigilanza di
Bankitalia: se le imprese presentano bilanci falsi, è il succo del discorso,
noi non possiamo farci niente. E' il sistema dei controlli interni - revisori e
sindaci - che non ha funzionato. E quello dei controlli esterni - la Consob in
primis - che deve avere più risorse. Quanto alle contromisure, grandi lodi per
quelle prese negli Usa. Su quelle italiane - che sono state al centro di un
braccio di ferro tra la Banca d'Italia e Tremonti - il governatore adotta una
linea di basso profilo: ci rimettiamo al parlamento. E' invece il banchiere
Bazoli a picchiare più duro: c'è il rischio di assoggettare la finanza «alla
tutela politica», ha detto il presidente di Banca Intesa, mentre le autorità
poste a tutela del risparmio devono essere indipendenti dall'esecutivo, ha
aggiunto. A proposito di potere bancario: en passant, quasi in chiusura
della sua relazione, Fazio lancia un'ideuzza: modificare il diritto
dell'economia, perché «le banche devono poter sovvenire le imprese in
difficoltà, ristrutturarle e valorizzare, anche in diversi contesti
proprietari, le componenti produttive valide». Di fronte a lui, seduto in prima
fila, Luca Cordero di Montezemolo, neopresidente della Fiat - la più a rischio
delle grandi imprese, con un prestito «convertendo» in scadenza da 3 miliardi
di euro.
FINCANTIERI
Conto alla rovescia per il referendum
Si svolgerà settimana prossima, il 9 e il 10 giugno, la consultazione dei
lavoratori Fincantieri dopo l'ipotesi d'accordo siglata venerdì. L'intesa - che
prevede 131 euro d'aumento mensile, 400 euro di una tantum a giugno e maggiori
tutele contro la precarietà (c'è anche uno stop alla legge 30) - è stata
raggiunta da tutti i sindacati, dopo una vertenza tribolata. Le prime
consultazioni che misureranno il gradimento dei lavoratori sono già cominciate:
a Monfalcone, il cantiere più grande del gruppo, si sono espresse a favore
tutte le rsu. Altre assemblee si sono svolte a Napoli, Ancona e La Spezia.
POLTI
Anche il Vescovo si mobilita
La solidarietà agli operai della Polti Sud di Piano Lago ha
avuto ieri la benedizione di monsignor Giuseppe Agostino, vescovo di Cosenza.
L'alto prelato ha espresso solidarietà ai lavoratori, in lotta dopo che martedì
scorso tre iscritti Fiom sono stati cacciati con un pretesto. Agostino - noto
per i molti gesti di questo genere fatti in passato - ha anche espresso
l'intenzione di visitare la fabbrica e portare conforto direttamente agli
operai. I quali non fermano la protesta: anche ieri hanno presidiato i cancelli
della fabbrica. «Dopo il primissimo giorno - racconta il segretario regionale
della Fiom Mario Sinopoli - neanche il direttore viene più: sa che è inutile,
non si entra». Oggi sono previste altre manifestazioni, per chiedere il ritiro
immediato dei licenziamenti, «il presupposto per ogni possibilità di dialogo»,
secondo Sinopoli. Ma non certo l'unica rivendicazione: i lavoratori lamentano
condizioni al limite della tollerabilità: chi vuole andare in bagno è
cronometrato o addirittura gli viene negata la possibilità. Fino a crudeli
paradossi: a un operaio in dialisi, raccontano, è stato imposto di urinare in
una bottiglia di plastica.La pressione di lavoratori, autorità e politici
calabresi finora è stata inutile: l'azienda non vuole ascoltare nessuno. «La
trattativa locale è fallita - dice ancora Sinopoli - adesso bisogna portarla a
livello nazionale». Ossia all'attenzione del governo.
IMESI
Oggi alle 12 corteo a Roma
Un centinaio di operai dell'Imesi di Carini (Gruppo
Ansaldo-Breda), in provincia di Palermo, manifestano oggi a Roma. Proprio nella
capitale, a partire dalle 14, è in programma un vertice al ministero delle
attività produttive. Presenti - oltre al governo - sindacati, azienda e regione
Sicilia. I soldi per partire derivano in parte da un contributo di 2.500 euro,
raccolto da alcuni gruppi parlamentari della giunta siciliana, e a somme messe a
disposizione da Fiom, Fim e Uilm. Lo stabilimento di Carini è occupato da 62
giorni. I lavoratori protestano contro la cassa integrazione a zero ore scattata
dal primo aprile e prevista fino al prossimo 31 dicembre